• - TUSCANIA 20 LUGLIO 1954: UN BELL’ARTICOLO DEL GIORNALE D’ITALIA, UN MESE PRIMA CHE LA TORRE DEL BARGELLO CROLLASSE. - Succede a Tuscania - Toscanella - Blog 2020

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• - TUSCANIA 20 LUGLIO 1954: UN BELL’ARTICOLO DEL GIORNALE D’ITALIA, UN MESE PRIMA CHE LA TORRE DEL BARGELLO CROLLASSE.

Pubblicato da in Mauro Loreti ·
Ho trovato nell’archivio comunale di Tuscania un articolo che apparve sul quotidiano  “Il Giornale d’Italia” nella rubrica “Itinerari italiani”. Fu pubblicato pochi giorni prima che cadesse la Torre del Bargello (19 agosto 1954, ore 17.00) ed è molto interessante. Ho pensato di riproporlo nella sua interezza perché penso che pochi tuscanesi l’abbiano letto. Mauro Loreti.
 
“Pochi, son ben pochi i turisti che, giunti a Viterbo ed ammirata la città di Santa Rosa e dei papi, sentono la curiosità di andare oltre, esplorando quella parte del Lazio, forse solitaria, forse non tutta di facile accesso, che da Viterbo giunge al mare, la quale è pure così abbondante di segni e di ricordi d’un passato lontano ed egregio e, insieme così squisitamente pittoresco.
 
Paesaggio triste, paesaggio quasi malato, ma a tratti spunta poi qui e là qualche città o paese non solo insigne pei suoi monumenti e per la sua storia, ma anche in sommo grado caratteristica per l’atmosfera fisica nella quale è nata e vive, per le sue vie e viuzze, per le sue fontane, per i suoi angoli singolari, per i suoi abitanti medesimi. Siamo in una regione dove il treno non giunge, dove le strade sono poche e non tutte eccellenti: dove la vita, pur attiva materialmente è spiritualmente come rattratta , trattenuta.
 
Il Tirreno non è molto lontano; ma, se anche non lo si vede, si sente: e l’aria è bassa, anche un poco torbida, ma l’odore di salsa che si mischia a quella dei paduli e dei boschi, la riscatta, la solleva, la fa viva. Paesi, città che oggi non contano più o quasi; e, tuttavia, quando vi si penetra, subito, anche senza conoscerne la storia, si ha la sensazione della loro grandezza passata, del loro ieri sommamente indicativo.
 
Vivono chiusi, silenziosi in se stessi: la sera cala su di loro senza quasi incontrare voci o clamori; ma, chi abbia la fortuna di capitare quando il sole non c’è più, prova veramente l’impressione di camminare in luoghi, dove, chissà quando, chissà come, si sono mossi non degli uomini, ma dei giganti: dove la storia non abbia espresso un respiro sottomesso, ma pieno, ma potente, forse impressionante. Ecco Tuscania. Da pochi anni ha ripreso il suo vecchio nome glorioso; ma fino al 1911 si chiamava con un nome che esprimeva la sua decadenza degli ultimi tempi, o, almeno il suo stato di paese solitario, affondato nella maremma: Toscanella.
 
Ma “Tuscania” era e restava lo stesso: ché , fossero deserte le sue vie, stanca, come denutrita la sua vita presente, abbandonate le sue chiese vetuste, la sua fisionomia era pur sempre quella di una città, non di un paesucolo, e bastava vederla anche da lontano, con le sue torri smozzicate, con i suoi campanili erti, con la sua aria spavalda, e tutta la sua storia parlava. Chiusa in un vallone più aspro che dolce, circondata tutt’intorno da vecchi alberi isolati, difesa ancora da torri diroccate, intorno alle quali volteggiano i falchi e le cornacchie a branchi.
 
Tuscania, oh, non è morta! Già  a chi viene da Viterbo, essa presenta subito uno dei suoi lati più insigni; e , precisamente la collina dove s’erge San Pietro, che io non esito a definire una delle più belle chiese del mondo, così potente per la sua architettura e per la sua posizione; più che una chiesa, un sacro fortilizio.
 
Come e quando nacque? Si crede nel secolo ottavo: e certo era in antico chiesa e fortezza: potere spirituale e potere temporale. Sono ancora in piedi i grandi, immensi fianchi del palazzo abbaziale e vescovile, donde certamente uscivano parole religiose, ma anche editti civili: ordini di preghiera , ma anche di battaglia. La sua facciata , il suo interno, la sua abside, soprattutto se visti di sera, dopo il tramonto, provocano immediatamente una sensazione di potenza, di grandezza.

 

Quassù  era al tempo degli Etruschi (perché Tuscania è di origine etrusca) l’acropoli, o cittadella: e questi falchi che volteggiano maestosi sono certo i diretti nepoti dei falchi che già salutarono con il loro volo maestoso quella civiltà lontana tanto diversa dalla nostra e pure non meno piena di armonie sottili, di tutta la poesia del vivere. Santa Maria Maggiore è più sotto, come nascosta in fondo valle: ed anch’essa non raccoglie più i fedeli tutti i giorni, ma solo una volta all’anno. Pesante anche Santa Maria Maggiore: e si vorrebbe dire grossolana: ma che senso di forza  e di mistero essa poi esprime! Non ci sono falchi, non ci sono cornacchie quaggiù: ma quelle torri dell’antico castello che la guardano dall’alto, ma quest’erba che cresce dovunque, ma il silenzio rotto a momenti solo da qualche uggiolio di cane, producono nel visitatore un sentimento che è insieme di malinconia e di timore, come se da un momento all’altro possa risuonare in questi dintorni un corno antico di guerra, l’annunzio di una invasione.
 
La Tuscania interna è meno cupa, ed anzi persino graziosa.  Sono belli soprattutto i suoi angoli in ombra, le sue fontane, che ve n’è una per ogni spiazzo o largo: i punti d’incontro delle case, degli atri, dei palazzi, i vicoli, i vicoletti, i ripiani. Belli, pittoreschi, sinuosi, gentili. Tutto il giuoco vario dei secoli qui è rimasto a sorridere: e certo con gli anni s’è un poco congelato, raffreddato: ma, basta che un bimbo compaia, che una donna faccia sentire la sua voce, e ogni cosa si disgela, rivive , canta. Vie, vicoli, viuzze: e quasi si cammina come in sogno, sperduti in una sonnolenza dolce e serena. Nomi di vie, di cui nessuno sa darvi la spiegazione, e sono  pure nomi dolci all’orecchio ed espressivi in sommo grado: via di Valle dell’Oro, via del Monastero, via della Scrofa, via del Belvedere, via di Poggio Barone; mentre s’alzano davanti a noi, qui, una pura finestra gotica, qua un portone trecentesco, più oltre, un delizioso balcone barocco; e quante scale, scalette, terrazze, angiporti, che par risuonino di tutti i rumori dei secoli morti; quando non c’erano né queste lampade elettriche, né questi fili telefonici!
 
Ah, ce li ricorderemo a lungo questi vicoli, giardini pensili, rimediati qui e là sopra un arco o uno spicchio di muro: questi incroci di vie dove sorride un balconcino e , sotto, c’è un’immagine vecchia della Madonna: questi piccoli ponti scuri alzati tra una casa e l’altra, chissà mai per quali ragioni e se solo fisiche o anche sentimentali; queste torri che sembra si sciolgano  a fatica dalle case che le pressano, per cercare un po’ più di cielo oltre le strette vie: e infine queste fontane, oh, le fontane di Tuscania!  
 
Dove l’acqua zampilla sempre rumorosa e felice, e le donne e i bimbi mischiano ad esse la loro voce non meno rumorosa e non meno felice. Il Cicerone”.

Mauro Loreti.



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