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• - 6 FEBBRAIO 1971: TERREMOTO DI TUSCANIA, UNA CRONISTORIA DI QUEI TRAGICI MOMENTI. di Vincenzo Ceniti. (VIDEO)

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Fonte: TusciaWeb
 
La popolazione si riversa nelle strade in uno scenario apocalittico con polvere, grida e lamenti.
 
Sabato 6 febbraio 1971, 49 anni fa. L’orologio di porta del Poggio a Tuscania si ferma alle ore 19,09 per la prima violenta scossa di terremoto di 4,46 di magnitudo (ottavo grado della scala Mercalli) preceduta da un sinistro boato.
 
La seconda di magnitudo 3,56 sarà alle 22,25 . Il centro storico contenuto entro le mura è pressoché totalmente crollato. Fragile com’era, con case anche prive di fondamenta, non poteva resistere a scosse così violente. Saltano luce, acqua, gas e linee telefoniche.
 
La popolazione si riversa nelle strade in uno scenario apocalittico con polvere, grida e lamenti. Le scosse vengono avvertite anche a Viterbo da dove partono i primi soccorsi: vigili del fuoco, carabinieri, soldati, agenti di polizia, giovani della protezione civile, ambulanze, fotoelettriche. Il ministero dell’Interno mette in moto i reparti della Colonna Mobile.


 
Mario Moscatelli (in quell’anno funzionario di Prefettura) mi racconta che quella sera, a quell’ora stava ascoltando la Messa nella chiesa dell’Ellera a Viterbo. Avvertì il boato, vide tremare il lampadario e corse subito in Prefettura dove era appena arrivata la notizia.
 
Raggiunse immediatamente Tuscania assumendo il coordinamento delle operazioni di soccorso.


 
Alle prime ore dell’alba del giorno seguente a tempo di record era già stata allestita una tendopoli in un terreno alle porte del paese in località Guadigliolo lungo la strada per Piansano con 1.100 posti, una grande tenda di ritrovo-riunioni, una per l’infermeria, una per l’assistenza ai bambini, la mensa e una cucina da campo.


 
Fa freddo, si accendono grandi fuochi. Chi può preferisce dormire nelle auto. Alcuni trovano rifugio presso parenti ed amici e nelle colonie marine e montane della provincia.
 
Arrivano i camions con coperte ,viveri e acqua. Vengono allertati alcuni forni di Viterbo e dintorni che alle ore 7 del mattino consegnano agli sfollati decine di pagnotte di pane. La notizia diffusa dai telegiornali raggiunge in un baleno ogni parte d’Italia. Prezioso il lavoro svolto dal direttore generale dei Servizi Antincendio prefetto Giuseppe Migliore, dall’ispettore generale dei vigili del fuoco Massimo Silvestrini e dal sindaco Cesare Leonardi.


 
Vengono estratti i primi corpi. L’Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo e quelli di Montefiascone e Tarquinia sono informati dell’arrivo di feriti e traumatizzati. Le vittime a fine tragedia saranno 36 tra cui 3 bambini: Michela Borgi, Pierluigi Scriboni e Romolo Arpini. Interrotto il ponte sul fiume Marta.
 
La camera ardente è allestita nel teatro che in quella sera di sabato si sarebbe inaugurato, dopo la ricostruzione, con una festa danzante.
 
L’immagine del parroco di San Marco, don Lidano, con il volto insanguinato è sulle prime pagine di tutti i giornali, non solo italiani. Gli sfollati sono oltre 4.000, più della metà degli abitanti. Alcuni sciacalli già sorpresi a rubare vengono fermati e arrestati dai carabinieri. Il centro storico è interdetto. Incessanti le richieste di chi vuole ritornare nelle proprie abitazioni per raccattare il necessario, coperte, indumenti, foss’anche una foto cara, il libretto della pensione o una bambola.
 
La Prefettura di Viterbo dispone l’immediata elargizione di contributi a commercianti, artigiani ed operatori per non abbandonare all’esterno del centro storico ove è possibile le rispettive attività lavorative. Unanime condanna nei riguardi di chi raggiunge Tuscania per curiosare e fare foto. Tra l’altro le loro auto intralciano il lavoro dei soccorritori.
 
Le due storiche chiese di San Pietro e Santa Maria Maggiore sono ferite a morte così come molte altre nel centro storico, soprattutto il duomo. Impressionanti il crollo del catino dell’abside e del rosone di San Pietro; in frantumi l’affresco dell’Ascensione di Cristo.
 
Nella chiesa di Santa Maria Maggiore il grande affresco del Giudizio Finale è gravemente lesionato. Arrivano in elicottero il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat accompagnato dal capo del Governo Emilio Colombo. Sono guidati dal sottosegretario Adolfo Sarti. Assicurano interventi e una pronta ricostruzione.
 
Il vescovo Luigi Boccadoro verifica di persona i danni al patrimonio della curia ed organizza sussidi per i più bisognosi attraverso la Caritas. Celebra al cimitero la messa funebre delle vittime al termine di un mesto corteo cui partecipano il ministro dei Lavori Pubblici Salvatore Lauricella in rappresentanza del Governo, i sottosegretari Adolfo Sarti, Attilio Jozzelli, Vittorio Cervone, il prefetto di Viterbo Raimondo Nicastro, il questore Aristide Andreassi, il sindaco Cesare Leonardi e una folla ammutolita.
 
Funzionari delle Soprintendenze ai Monumenti, Archeologica per l’Etruria Meridionale e alle Gallerie sono perennemente sul posto per la ricognizione dei danni.
 
Malgrado la presenza di molte opere d’arte, Tuscania in quegli anni non aveva la risonanza turistica di oggi. Un solo hotel di piccole dimensioni con ristorante “Al Gallo”. Per la verità oggi non c’è più neanche quello, ma in compenso sono attivi numerosi B&B , agriturismi, ristoranti-pizzerie e negozi di artigianato. Come responsabile dell’ufficio alberghi dell’allora Ente Provinciale per il Turismo mi recai per un sopralluogo il lunedì successivo al terremoto. La prima persona che vidi fu don Angelo Gargiuli, nativo del posto, che aveva a Tuscania alcuni familiari. La preoccupazione maggiore di Pietro Vincenti gestore del “Gallo” era quella di mettere tutto sotto chiave per paura degli sciacalli.
 
Il sor Pietro, come veniva bonariamente chiamato, aveva il volto rassegnato ma sereno di chi nutre speranza e fede in Dio. Qualche anno prima aveva ospitato nel suo ristorante l’équipe del re di Svezia Gustavo VI Adolfo.
 
Le operazioni di soccorso e quelle per la ricostruzione hanno registrato ovunque ammirazione per tempestività ed efficacia. I lavori iniziarono nella parte esterna al centro storico una settimana dopo il terremoto. Merito anche di una popolazione testarda e tenace, di antico lignaggio etrusco, legata mani e piedi al territorio. Il centro storico tornerà a vivere dopo pochi decenni. Uno degli artefici di questo miracolo fu l’ingegnere capo del Genio Civile di allora Otello Testaguzza cui tutti hanno riconosciuto temperamento, efficienza , rigore ed umanità.

 

Oggi tra i vicoli e le piazzette si respira un’altra atmosfera, diversa da quella popolare e paesana degli anni ante terremoto. Alla popolazione locale che ha trovato sistemazione in abitazioni più moderne e confortevoli al di fuori delle mura, se ne è andata pian piano sostituendo un’altra, per lo più esterna, anche internazionale, fatta di nuovi operatori, intellettuali, artisti di vario rango che vivono nella stessa scenografia medioval-rinascimentale ricostruita pietra su pietra da sapienti registi.
 
Per non dimenticare? Certamente. Innanzitutto le vittime: la lapide coi loro nomi è posta in piazza F. Basile. Ed anche per dimostrare che la Tuscia Viterbese nei momenti di necessità e di dolore mette in campo insospettati valori di solidarietà, orgoglio e dignità.
 
Vincenzo Ceniti
 
Ecco un video che ricorda quei tragici momenti:
 



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