• - IO E MIO ZIO TRENTAQUATTRO, QUANDO SI DICE IL DNA..... - Succede a Tuscania - Toscanella - 2018


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• - IO E MIO ZIO TRENTAQUATTRO, QUANDO SI DICE IL DNA.....

Pubblicato da in Blog Toscanella ·
 

 
Questa ve la voglio raccontare, è qualcosa che somiglia molto alle abitudini di mio zio Trentaquattro (al secolo Augusto Pica, fratello di mio padre Boccone, al secolo Angelo Pica) uomo di buona filosofia, scomparso nel 1984.
 
Qui in Chiapas, di giorno fa molto caldo, dai 30 ai 35 gradi, qui a Tuxtla io vado coi mezzi e spesso cammino moltissimo tra le numerose bancarelle che ci sono nel centro, qui è fiera tutti i giorni, trovi le cose più disparate e strane che si possono incontrare, è per questo che mi piace il Mexico ed in particolare il Chiapas, mi piace vivere con “el pueblo”, con la gente vera e con questo folklore del quale i mexicani sono specialisti.
 
Ma c’è un però, spesso il sole picchia ed io con i miei (quasi) 70 anni, ogni tanto mi devo riposare. Siccome nella città, le panchine scarseggiano e se ce ne sono all’ombra, sono quasi tutte occupate, ho trovato una strategia: fare finta di andare a comprarmi le scarpe.
 
Per la città ci sono molti venditori di scarpe (Zapaterias) e molte sono grandi come “Los 3 Hermanos” potete vedere il logo a fianco, queste zapaterias sono grandi, con aria condizionata e naturalmente ci sono delle sedie per misurarsi le scarpe, che faccio? Entro, prendo dallo scaffale un paio di “sciarpelle” e mi metto seduto al fresco, fingendo di misurarmi la sciarpella, mentre mi riposo al fresco, ogni tanto mi misuro, poi ne prendo un altro paio e così via fino a quando non ho ripreso fiato e quando ho deciso che posso continuare il mio cammino, ripongo le sciarpelle sugli scaffali dicendo alla commessa: “No me gusta el color…. Disculpe y gracias…” (trad. “non mi piace il colore, mi scusi e grazie”).
 
Lo so, non è una bella cosa, ma devo sopravvivere a tanto calore.
 
Perché l’analogia con mio zio Trentaquattro? Dovete sapere che mio zio, era un tipo “freddolino” di quelli che anche a ferragosto portavano vestiti e corpetto come a dicembre e quando ti veniva a trovare (in agosto), ti faceva chiudere tutte le finestre, perché secondo lui, “c’era la passata”.
 
Trentaquattro ha sempre abitato in via degli Archi in quella splendida loggetta in cima alla salita, ma dopo il terremoto del 1971, si trasferì a Viterbo dove viveva ed era sposata la figlia e lì vi rimase fino alla morte. Prese un piccolo appartamento, in una traversa di via Cairoli e lì visse senza più tornare a dimorare nella sua Tuscania, Viterbo e i viterbesi gli piacevano, si trovava bene.
 
D’estate non c’era problema, pensionato, usciva tutti i giorni e si recava al Sacrario nei pressi del monumento e lì parlava del più e del meno con altri pensionati raccontando storie di gioventù.
 
Il problema era l’inverno, lui, freddolino com’era, andare in strada era una tragedia, e allora che cosa ti inventa lo zio Trentaquattro...??  Tutte le mattine si recava all’INPS di via Matteotti e lì, al caldo, faceva la fila con altri pensionati o altre persone in procinto di pensione. All’INPS era caldo, c’erano i termosifoni a “tutta callara”, un luogo ideale. A volte si sentiva dire: “prego, tocca a lei”, ma lo zio cortesemente rispondeva: “Ma no, passi pure, non ho fretta”, e così passava la mattinata, tra una chiacchiera e l’altra, ma soprattutto al caldo dei termosifoni, giunta l’ora di pranzo, si recava a casa per mangiare e raccontare le ultime “sfitte” di Viterbo.  


 
Certamente un modo strano di affrontare le intemperie, ma lui era felice così, era un uomo semplice ma con una buona filosofia di vita.
 
Due generazioni, stesso DNA, anche se con temperature diverse.
 
Luigi Pica



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