Interessante conferenza sulla storia della malaria, che ha colpito anche e nostre zone, ecco un interessante sunto del dott. Marco Corsi.
Breve storia della malaria.
Ovvero il filo rosso che ha unito Abele Sola a Ho Chi Minh.
La malaria è una malattia infettiva dovuta alla presenza nell’organismo di parassiti appartenenti ad alcune specie di Protozoi del genere Plasmodium. L’identificazione dell’agente infettivo e del suo vettore (una zanzara) sono molto recenti; il tutto è stato scoperto tra il 1880 ed il 1898.
(Fig. 1 - Sir Ronald Ross (1857-1932). Premio Nobel per la Medicina nel 1902\n per la scoperta, nel luglio 1898,del ciclo vitale del plasmodio della \nmalaria e la trasmissione da una zanzara ad un passero). Nel 1880 Alphonse Laveran per la prima volta scoprì il parassita nei globuli rossi di un paziente. Nel luglio 1898 l’inglese Ronald Ross descrisse la trasmissione del plasmodio da una zanzara ad un essere vivente: un passero. Tre mesi dopo Giovan Battista Grassi, con altri due medici, condusse l’esperimento che per la prima volta dimostrò la trasmissione della malaria dalla zanzara ad un uomo. Raccolsero un certo numero di zanzare nella zona di Maccarese, a nord di Roma. Con queste si recarono all’ospedale Santo Spirito di Roma dove era ricoverato da sei anni un paziente psichiatrico: Abele Sola. Sapevano che in quei sei anni non aveva mai contratto la malaria, e lasciarono libere le zanzare nella stanza. Dopo 8 giorni Abele sviluppò la tipica febbre malarica e fu prontamente curato col chinino. Da quando ho scoperto il nome di questo paziente ho sempre pensato che potrebbe esserci un’attinenza tra il detto popolare “Ho preso una sòla” (cioè ho preso una fregatura) e il nostro Abele.
(fig. 2 Giovan Battista Grassi (1854-1925). Scopritore, nell'ottobre 1898, del del ciclo vitale del plasmodio della malaria e la trasmissione da una zanzara ad un uomo.) Ronald Ross fu insignito del premio Nobel nel 1905 e per questo seguirono molti anni di dispute tra gli scienziati italiani e quelli inglesi sul fatto che il riconoscimento fosse andato a Ross anziché a Giovan Battista Grassi. In realtà, se quel Nobel per la medicina fosse stato assegnato al giorno d’oggi, sarebbe sicuramente andato ex aequo ad entrambi.
I parassiti vengono trasmessi dalle zanzare del genere Anopheles che a loro volta si infettano succhiando il sangue di una persona malata. Le zanzare sono quindi i vettori inconsapevoli. Cinque tipi di plasmodi sono in grado di infettare la nostra specie, dando origine a diversi tipi di malaria. Le cinque specie sono: P. falciparum, P. vivax, P. malariae, P. ovale e P. knowlesi. In Italia era diffuso soprattutto il Plasmodium falciparum, che causa la cosiddetta terzana maligna, ma anche le due specie responsabili delle terzane benigne, P. ovale e P. vivax. Il quadro clinico è caratterizzato dalle tipiche febbri intermittenti che si verificano ogni terza o quarta giornata. Se non progredisce verso la forma grave il paziente accusa, oltre alle alte febbri, una forte debolezza dovuta all’anemia che non gli permette di lavorare. La forma grave o severa può portare rapidamente a morte.
Attualmente la malaria è presente in forma endemica in tutta l’Africa sub-sahariana, nel sud est asiatico e in centro e sud America. In un anno si verificano circa 500 milioni di casi con circa 400.000 morti. All’inizio del nuovo millennio i casi/anno sfioravano il miliardo. La forte riduzione è dovuta all’impegno di moltissime istituzioni pubbliche e private tramite politiche di prevenzione (bonifiche acque stagnanti, zanzariere impregnate di insetticidi) e di cura (nuovi farmaci efficaci e sicuri).
Ma fino a pochi decenni fa la malaria riguardava l’intero globo terrestre, dagli attuali Stati Uniti ai Paesi scandinavi, alla Siberia. Tutti i Paesi che si affacciavano sul mar Mediterraneo ne erano altamente afflitti.
Una probabile diffusione in Italia del Plasmodium falciparum si ha nel corso del III secolo a.C. Il parassita fu introdotto probabilmente per tramite degli scambi commerciali con l’attuale Magreb e il Medio Oriente. Ad esclusione delle zone di alta collina e di quelle montagnose, la malaria ha sempre accompagnato la storia civile e militare del territorio italiano e, più in generale, dell’Europa. Le descrizioni delle caratteristiche febbri intermittenti che portarono a morte personaggi storici, contribuisce a far comprendere quanto detto circa la sua distribuzione geografica. Gli studiosi sono piuttosto concordi nel ritenere che la malaria causò la morte di Alessandro Magno, dell’imperatore Tito, Gengis Khan, Dante Alighieri, Oliver Cromwell, Lord Byron, Anita Garibaldi e Camillo conte di Cavour. Roma stessa e la Santa Sede furono colpite con la morte di molti Papi, tra cui papa Gregorio Magno, Alessandro VI Borgia, Leone X, Sisto V e Urbano VII.
Dal XII secolo le classi più agiate della popolazione presero l’abitudine di ritirarsi in zone più salubri per evitare le febbri intermittenti del periodo estivo. Il Papato praticò questo espediente dal 1116, sotto il Pontificato di Pasquale II e lo mantenne sino al XV secolo. A Grosseto l’“estatura” fu ufficiale dal 1333: le autorità locali si spostavano insieme ai ceti abbienti nella vicina Scansano, pratica perpetuata sino al 1897. Il XVI secolo vide una recrudescenza della malaria, ormai endemica in molte parti d’Italia: un esempio per tutti la grave epidemia che colpì Roma e l’Agro Romano nel 1590.
fig. 3- Mappa (1871) della trasmissione della malaria da Plasmodium falciparum
e Plasmodium vivax nella Maremma toscana e laziale.
I tentativi di risanare l’insalubre zona dell’Agro Romano, attraverso la coltivazione di grano nel XVI secolo, non ebbero però esisti positivi. Tragico paradigma la colonia di toscani stabilitasi a Fiumicino per una sua bonifica nel 1640, completamente falcidiata dalla malaria. Simile sorte ebbero i coloni lorenesi nella Maremma Toscana nel secolo successivo. Sotto i pontificati di Innocenzo XI (1676-1689) e Pio VI (1775-1799) si realizzò in parte il progetto di Cornelio Meyer per il prosciugamento delle Paludi Pontine.
Una carta della distribuzione della malaria nel Lazio e Toscana del 1871, mostra quanto ampia fosse la presenza sia di Plasmodium falciparum (responsabile della forma più grave) che di Plasmodium vivax. Tuscania, l’allora Toscanella, e tutto il territorio percorso dal fiume Marta era indicato come altamente affetto da entrambe le forme. In particolare ci sono riferimenti storici che riguardano la congregazione dei Padri Passionisti e il suo fondatore, San Paolo della Croce, che risiedettero presso il Santuario della Madonna del Cerro dal 1748 al 1796, anno nel quale la loro permanenza finì proprio a causa della malaria.
Il seguente brano è tratto dal libro di Pierluigi Di Eugenio “Sotto la croce appassionatamente” del 1997 dove è narrata, tra l’altro, la vita di un passionista, il Venerabile Giacomo Gianiel.
… “L’aria malsana di Toscanella costringe i religiosi a trasferirsi, da giugno a ottobre degli anni 1748 e ‘49, dal santuario di Santa Maria del Cerro al vicino convento di Vetralla. Il terzo anno vogliono restare al Cerro. Ma la scelta si rivela imprudente. Tutti i religiosi sono colpiti dalla malaria e si ricoverano presso accoglienti benefattori. Alcuni vanno a Piansano. Il Venerabile Giacomo Gianiel è accolto a Cellere dalla famiglia Falandi. Gli altri Passionisti guariscono. Giacomo invece peggiora rapidamente. Morirà dopo quattro giorni.”…
In un altro testo (Organizzazione e ristrutturazione nella storia della Congregazione Passionista, di Fabiano Giorgini, 2005) si legge:
… “Nel 1814 si decise di riaprire (dopo la soppressione napoleonica) solo i ritiri fondati da san Paolo della Croce, eccetto il ritiro di Toscanella abbandonato a causa della malaria”…
Tra il 1872 e il 1881 l’aumento della mortalità per malaria afflisse l’intera penisola. Un primo fattore che può spiegare tale recrudescenza è riconducibile alle particolari condizioni meteorologiche del periodo: straordinarie piovosità e umidità favorirono infatti la riproduzione delle zanzare vettrici della malattia.
Alla fine dell’Ottocento ogni anno circa 2 milioni di persone si ammalavano in Italia di malaria, e di queste ne morivano 15.000. Le zone più colpite erano le pianure ad alta densità di acque stagnanti e le coste di Sardegna e Sicilia. Considerando che la popolazione era la metà di quella attuale, si capisce come la malaria fosse una vera tragedia a forte impatto non solo sanitario ma anche socio-economico. I contadini o morivano o (nella maggior parte) non potevano lavorare a causa della grande debolezza.
Il ‘900 è stato il secolo che ha visto l’eliminazione della malaria dall’Italia. La disponibilità di una cura efficace (il chinino) e le grandi opere di bonifica delle zone paludose sono stati capisaldi dell’opera. Gli ultimi due casi autoctoni furono registrati nel 1964 in Sicilia e nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò l’Italia libera dalla malaria.
Abbiamo visto come la causa e le modalità di trasmissione della malaria sono scoperte recenti, della fine dell’800. La prima cura efficace risale invece alla prima metà del ‘600: il chinino.
(Fig. 4- Francisca de Ribera, contessa di Chinchon (Spagna) e moglie del Vicerè del Perù.) La storia più conosciuta è quella che vede protagonista il Vicerè del Peru, Luis Jerónimo Fernández de Cabrera e sua moglie Francisca Henriquez de Ribera, Contessa di Chinchòn. Intorno al 1620 la Contessa di Chinchòn fu colpita dalle febbri intermittenti, tipiche della malaria. La malattia progrediva rapidamente e i medici di corte già preparavano il Vicerè al peggio. Non essendo in grado di trovare una cura efficace, consigliarono di provare a somministrare la polvere ricavata dalla corteccia di un albero che gli indigeni chiamavano “quina” e che utilizzavano tradizionalmente per curare, in generale, le febbri. Il Vicerè, innamoratissimo della sua bella moglie, accettò questa extrema ratio e… miracolo! Francisca migliorò subito fino a raggiungere una rapida guarigione. Per riconoscenza, una volta ristabilitasi, la Contessa acquistò una grande quantità di corteccia che volle regalare alla popolazione indigena e ai coloni spagnoli. Il suo nome rimase indissolubilmente legato a questo rimedio che per secoli fu chiamato “polvere della Contessa” tanto che il famoso medico naturalista Carlo Linneo (1707-1778), padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, diede il nome della Contessa all’albero, dimenticando però una ”h”. Da allora si chiama albero di Cinchona e le proprietà terapeutiche della sua corteccia dipendono dalla sostanza chimica, appunto il chinino, contenuta in essa.
In realtà si ritiene che chi diffuse la polvere di Cinchona nel mondo furono i gesuiti che costituivano il “braccio scientifico” della Chiesa cattolica. La prima spedizione organizzata di corteccia dal Perù in Europa (precisamente a Roma) avvenne nel 1635 e, successivamente, tutto il continente fu per la prima volta in grado di curare efficacemente questa grave malattia.
Fig. 5- Targa del "Chinino di Stato", venduto nelle tabaccherie.
Nell’800 il chinino era quindi da molto tempo disponibile in Italia ma, in un paese ancora essenzialmente agricolo, la maggioranza dei pazienti erano poveri contadini che vivevano nelle zone malsane. Il chinino prodotto dalle prime industrie farmaceutiche italiane era venduto a un prezzo che superava di gran lunga le disponibilità di chi ne aveva effettivamente più bisogno.
Oggi è piuttosto difficile immaginare una classe politica italiana con una visione lungimirante e di largo respiro sociale. Eppure dal 1900 al 1905 il Parlamento promulgò una serie di leggi per regolare la produzione e la distribuzione del «chinino di Stato». Fu quindi costruita una fabbrica di produzione statale a Torino rendendolo disponibile ad un prezzo molto basso non solo nelle farmacie delle città ma anche nelle tabaccherie dei paesi nelle zone ad alta incidenza di malaria. Successivamente il largo uso di zanzariere e le bonifiche delle zone paludose effettuate negli anni trenta fece drasticamente diminuire i casi di malaria.
Tutte le specie viventi tendono alla sopravvivenza della specie. Così come accade per i virus e i batteri anche i protozoi (tra cui i plasmodi) quando attaccati da un farmaco tendono nel tempo a modificare il loro DNA, divenendo “resistenti”. La stessa cosa è avvenuta per gli antimalarici.
Durante la guerra del Vietnam l’esercito americano ebbe a disposizione un nuovo farmaco, la meflochina, dal momento che i plasmodi erano diventati resistenti alla clorochina. Ora l’esercito del Nord Vietnam non solo aveva minori armamenti, ma era anche flagellato dalla malaria senza avere la disponibilità di un farmaco efficace. Nel 1967 il presidente Ho Chi Minh entrò quindi in contatto con Mao Zedong, chiedendo aiuto. In Cina era iniziata da poco la Rivoluzione Culturale, per cui gli intellettuali e gli universitari erano stati avviati alle campagne per il cosiddetto processo di rieducazione. Il Vietnam aveva però un’importanza strategica per la Cina, che non voleva cadesse sotto il dominio indiretto delle potenze occidentali. Mao quindi promulgò un’unica legge di esenzione dal processo di rieducazione. Circa 550 tra chimici, biologi e medici furono quindi liberi di lavorare nei laboratori per trovare un nuovo antimalarico da fornire al Nord Vietnam.
(Fig. 6- prof.ssa Tu Youyou, scopritice dell'artemisinina e, per questo, premio Nobel per la Medicina nel 2015).
Il successo arrivò nel 1972 quando un gruppo di ricercatori con a capo la prof.ssa Tu Youyou riuscì ad estrarre e purificare il principio attivo (artemisinina) da una pianta, l’Artemisia annua, il cui decotto veniva utilizzato da secoli in Cina per curare le “febbri”. In realtà l’artemisinina si rivelò un efficacissimo farmaco. A partire dal 2006 le combinazioni di antimalarici basati sui derivati dell’artemisinina sono usati come farmaci di prima scelta per curare l’infezione. Nel 2015 la prof.ssa Tu Youyou ha ricevuto il premio Nobel per la sua scoperta.
Purtroppo nel 2014 si sono registrati i primi casi di “resistenza” ai derivati dell’artemisinina nella zona d confine tra la Cambogia e il Laos. Fortunatamente il continente africano non è stato ancora invaso dai ceppi resistenti. Ma è solo questione di tempo…
La Bill & Melinda Gates Foundation si occupa di organizzare e finanziare molte ricerche di nuove terapie per la tubercolosi, HIV e malaria. Ogni anno mette a disposizione centinaia di milioni di dollari ed ha molto contribuito allo sviluppo dei derivati dell’artemisinina. La Fondazione si è data come obiettivo il 2035 come anno per l’eradicazione della malaria. Il termine “eliminazione” sta a significare che una data infezione non è più presente (cioè eliminata) in un dato territorio/Paese. La malaria fu dichiarata “eliminata” in Italia nel 1970. Per “eradicazione” invece si intende che nel mondo non c’è più un singolo paziente affetto da quella determinata infezione. Ad oggi l’unica eradicazione conseguita dall’uomo è stata quella del vaiolo. Gli ultimi due casi si verificarono in Sudan nel 1978. Non a caso la vaccinazione antivaiolosa non è più praticata da molti decenni.
Seguiremo con fiducioso interesse anche i progressi per l’eradicazione della malaria.
Marco Corsi
Tuscania, 16 Aprile 2018