Nella Germania sud-occidentale si trova la Svevia, ducato di origine di alcuni Imperatori del Sacro Romano Impero tra i quali Federico II che, nel 1228, venne, con un grande esercito, nel patrimonio di San Pietro ed occupò Toscanella ed altre città confinanti. Nel 1234 papa Gregorio IX per punire l’arroganza dei Romani che volevano il loro possesso fino alla torre di Montalto, chiamò Federico II. Venne subito con le sue truppe che si unirono a quelle pontificie comandate dal conte di Tolosa e dal vescovo di Wington. Vi fu l’assedio al castello di Roccarespampani, occupato dai Romani, ma non fu espugnato.
L’imperatore tornò in Sicilia e lasciò il comando al cardinale Raniero Capocci il quale riuscì a sconfiggere i Romani l’8 ottobre 1234. Nel 1239 Federico avanzava di nuovo verso lo stato della Chiesa ed arrivò ad Orte, quindi a Viterbo nel febbraio 1240 accolto trionfalmente dai cittadini ghibellini. Il due marzo “recepit etiam Tuscanellam“ dove lo attendevano i locali ghibellini, il 5 fu Montalto, il 6 a Corneto dove si trattenne fino al 10 e poi a Vetralla.
Il 12 era di nuovo a Viterbo, aveva quindi sottomesso tutto il Patrimonio di San Pietro fino al mare e nominò suo vicario imperiale il conte Simone di Chieti. Il 16 marzo ripartì per il regno di Napoli. Nel mese di dicembre 1242 i saraceni di Lucera, per ordine di Federico, attaccarono Roma ed assediarono anche il Patrimonio.
Il 9 settembre 1243 i viterbesi erano stanchi delle angherie e dei soprusi degli ufficiali imperiali per cui il Capocci rientrò a Viterbo e costrinse il vicario imperiale con alcune centinaia di soldati a ritirarsi nel castello di San Lorenzo. Federico si rammaricò di ciò e l’8 ottobre era già a Viterbo per assediarla: non riuscendovi chiese comunque la liberazione del conte Simone e dei rinchiusi nel castello.
All’inizio del mese di novembre 1243, durante l’assedio di Viterbo, anche i soldati di Toscanella erano con l’Imperatore e chiesero ed ottennero da “Fridericus Dei gratia Romanorum imperator semper augustus, Ierusalem et Sicilie rex…. Quod cives tuscanenses, fideles nostri,….cum ipsi soliti sint a longis retro temporibus in portu Murelle carricare et scaricare vassella cum frumento et aliis rebus eorum…. Nos igitur, ipsorum supplicationibus benignius inclinati, ad fidei eorum merita et devotionis affectum respectum habentes, ipsis de gratia nostra concedimus et presentis scripti serie confirmamus… Datum in castri in obsidione Viterbii… “ quindi confermò l’uso del porto commerciale. Il 10 novembre i guelfi viterbesi, cornetani e vetrallesi respinsero l’assalto ed incendiarono l’accampamento tedesco. Nel mese di giugno 1244 Federico “ ad coartationem domini pape milites ducentos mandavit apud Tuscanellam” e comandò a Vitale d’Aversa, uomo arrogante e feroce, capitano imperiale nel Patrimonio e che governava sia Toscanella che Montefiascone, di fare guerra ai viterbesi. Fu costui anche l’uccisore con impiccagione di 31 cornetani e di un tuscanese: Pietro di Letizia “fidus tuscanensis” che era lì per lavoro, negli alberi del pianoro Malafera sotto il poggio della Montarana di fronte al fiume Marta il 4 novembre 1245, nell’operazione di ridurre all’obbedienza le varie popolazioni. Anche oggi vicino al colle scorre l’acqua nel fosso detto degli Impiccati. Erano tutti contadini che lavoravano nei campi e cittadini possidenti: furono uccisi perché i governanti guelfi di Corneto non aprirono le porte e non si sottomisero all’autorità imperiale.
Nel 1261 Pietro IV di Vico, ghibellino, era il principale sostenitore e propugnatore nella Tuscia, di Manfredi re di Sicilia, figlio di Federico. Nelle operazioni concordate Manfredi inviò al prefetto Pietro di Vico un rinforzo di truppe: seicento cavalieri guidati da Francesco Troise. I cittadini di Toscanella nel 1264 avevano assediato Albonetto nel castello di Castel Ghezzo perché era stato podestà ribelle alla Chiesa. Così scrisse Francesco Antonio Turriozzi nelle Memorie Istoriche: “Essendo stata la nostra città presa con violenza, nulla pregiudica al costante animo de’ toscanesi, come alcun giudizio non le recò la sconfitta da essi impensatamente sostenuta nell’assalto improviso di Pietro di Vico, nel tempo che i medesimi eran sopra con le armi al castello di Albonetto, del quale, come ribelle e traditore, eran risoluti di farne la totale distruzzione .”
Lo storico Papirio Massonio così raccontò il fatto:
“L’INTRODUZIONE DEI TEDESCHI NEL PATRIMONIO DI SAN PIETRO. Costui detto Pietro di Vico adoperandosi con tutto lo slancio, con tutto l’ardire di aggiungere guai a guai, proprio lui concentrò seicento cavalieri tedeschi dopo aver verificato la loro attitudine al servizio militare nelle Marche, (mandati da Manfredi ) nella regione di San Pietro. Dai Signori di Castel Ghezzo (Oderisi e Ranuccio Cerasa) questi sul far della notte furono accolti e affrettarono il passo verso il castello di Tolfa.
LA DISTRUZIONE DI CASTEL GHEZZO NELLA DIOCESI TUSCANESE. Il papa (Urbano IV) aveva condannato per eresia questi Signori di Castel Ghezzo, onde subito decretò che il castello era suo. Per cui il rettore Pipione di Pietrasanta con Nicola di Ranuccio Farnese lo assediò con molti soldati, quindi se ne impossessò. Distrutto il castello dalle fondamenta, senza alcun intervallo di tempo, i compagni empi si persero alla vista della spada. Uno dei Signori fuggì, l’altro cadde con i colpi della spada insieme a molti ghibellini.
LA SCONFITTA DEI TUSCANESI A CAUSA DI PIETRO DI VICO. Dopo questi fatti Pietro di Vico si sentiva disorientato dopo l’assedio di Vico. Allora raccolse i tedeschi sparpagliati in più luoghi, preparandosi con le milizie degli amici. Contava di infierire contro i cittadini Tuscanesi leali (al papa), tra i quali c’era un traditore. Questo era Albonetto, la cui fazione era pronta a distruggere il castello della città. Ma poiché Pietro aveva preparato bene il suo assedio, si precipitò contro i cittadini cominciando i crudeli combattimenti. Visto che in tal modo aveva sorpreso quei (tuscanesi) non difesi, ebbe il sopravvento e se ne andò vincitore prendendo molto coraggio. Pertanto, radunati i tedeschi, allora danno della Chiesa, nello stesso tempo egli stesso arrecò gravi punizioni.”
Pietro occupò la guelfa Toscanella nel giugno del 1264 e i tuscanesi furono sconfitti dall’esercito di Manfredi, molti morirono. Nel 1266 il francese Carlo d’Angiò era a Roma e venne nominato senatore. Pietro di Vico, visti i nuovi fatti, diventò guelfo ed il 30 giugno prestò giuramento di fedeltà al papa tramite un procuratore. Il primo luglio lo confermò di persona a Roma assicurando di aver abbandonato la causa di Manfredi, dando ostaggi, garanzie e cedendo la rocca di Civitavecchia al rettore del Patrimonio Matteo Orsini. Il 10 luglio giurò di persona ufficialmente. Il 26 febbraio 1266 Carlo d’Angiò e Pietro di Vico sconfissero Manfredi nella battaglia di Benevento.
Nel 1267 Corradino, figlio di Corrado IV e quindi nipote di Federico, decise di attraversare le Alpi per andare a rivendicare il regno di Napoli. Nel febbraio 1268 i saraceni di Lucera effettuarono la rivolta contro Carlo d’Angiò, fratello di re Luigi IX di Francia, che aveva conquistato nel 1266 il regno di Napoli. Nel 1268 Corradino venne accolto dai ghibellini a Verona . Proseguendo , il 20 gennaio fu a Pavia, il 7 aprile a Pisa, poi a Poggibonsi, il 24 giugno a Siena, quindi a Grosseto e, schivando l’esercito papale che, egli temeva, da Viterbo volesse chiudergli il passo, il 20 luglio giunse a Toscanella dove fu accolto da Pietro di Vico, con i ghibellini della Tuscia, che aveva nuovamente cambiato bandiera. Qui passarono con Corradino le truppe tedesche (bavaresi, svevi e franconi) comandate dal maresciallo Kroff Von Fluglingen , Federico di Baden duca d’Austria e lo zio di Corradino Ludovico II di Baviera, le truppe toscane al comando di Corrado D’Antiochia, Gherardo di Donoratico e gli Aldobrandeschi di Santa Fiora , i lombardi di Galvano, Enrico e Galeotto Lancia e del marchese Pallavicini .
Poi attraversò Vetralla ed il 24 luglio era a Roma. Il papa Clemente IV ,rifugiatosi da tempo a Viterbo, era contrario a Corradino e rinsaldò l’ alleanza con Carlo d’Angiò mentre la città di Roma era nelle mani di Enrico di Castiglia fratello del re Alfonso e di Guido da Montefeltro, sostenitori di Corradino. Questo venne accolto sul Monte Mario dal popolo festante . Quindi si unirono anche i soldati romani, spagnoli e saraceni e dalla via Valeria ed i vari punti di appoggio (Tivoli, Vicovaro, Arsoli) i 5.000 uomini giunsero in Abruzzo a Carsòli il 19 agosto ed il 22 agosto a Tagliacozzo che era in possesso dei fidi Orsini.
Nel frattempo Francesco Troise aveva occupato Sulmona per i ghibellini. Il guelfo Carlo d’Angiò re di Sicilia, aveva assediato dal 2 febbraio Lucera, la città saracena fedele a Corradino di Svevia ed ai ghibellini suoi sostenitori. Visto che le operazioni belliche andavano molto a lungo, abbandonò l’assedio ed il 4 agosto con 3.000 uomini era già arrivato nella conca del Fucino . Ai Piani Palentini, tra Albe, Scurcola Marsicana e Tagliacozzo ci fu la battaglia .I ghibellini, superiori di forze, si sentivano sicuri di vincere e , dopo la battaglia, sarebbero andati a Lucera per ricongiungersi con i forti saraceni per riprendersi il regno di Napoli.
Il 23 agosto 1268 vinsero invece i francesi quando sembrava tutto perduto per loro: infatti una schiera angioina, tenuta in riserva, piombò addosso ai nemici che erano al momento vittoriosi, fece una strage e Pietro di Vico, ferito a morte, si ritirò nel castello sul lago di Vico dove morì dopo il perdono papale. La battaglia di Tagliacozzo cancellò con le sue conseguenze la dinastia degli Svevi dalla scena europea. Quello scontro assunse una portata storica in quanto sanzionò la fine del sogno imperiale e l’affermazione della potenza guelfo-francese nella penisola italiana.