Succede a Tuscania 2012 - Toscanella - Il portale dei tuscanesi

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* L’ECONOMIA ITALIANA E IL TERRITORIO, LA TUSCIA VITERBESE – CONFERENZA DELL’ECONOMISTA PROF. PIERLUIGI CIOCCA

Pubblicato da Stefano Mattei in Nuovo Corriere Viterbese · 24/4/2012 08:59:57

Come economista non ho una cognizione di prima mano della economia del viterbese, del territorio di Tuscania in particolare. Posso provare a dare un contributo di riflessione e di proposta su due punti di carattere più generale, a fini di inquadramento della problematica e della risposta ai quesiti che vorrete porre.

Il primo punto è che l’intera economia italiana deve uscire dalla grave crisi che l’attanaglia. Se ciò continua a non avvenire, è improbabile che l’economia del Lazio, del viterbese, di Tuscania possa prosperare.

Il secondo punto è che fra le carte che il sistema produttivo di Tuscania può giuocare non va sottovalutato il soddisfacimento dei bisogni degli anziani. La Florida è…florida per questo!

A) L’economia italiana rallenta dal 1992, dalla crisi della lira di quell’anno. E’ praticamente ferma dal 2000. E’ caduta di nuovo in recessione dall’estate scorsa, dopo il crollo del Pil – del 6,5% - del 2008-2009. La recessione si acuisce di trimestre in trimestre. Sono ricorrenti i timori per il debito pubblico, anche se io penso che spesso vengano drammatizzati più del dovuto.
Nell’Europa a 27 paesi, suddivisa da Eurostat (l’ufficio statistico europeo) in otto grandi gruppi omogenei di regioni – clusters – il Lazio appartiene a un gruppo di 16 regioni comprendente metropoli come Parigi, Londra, Berlino, Madrid. Dal 2000 al 2007 – quindi prima della crisi finanziaria – l’economia del Lazio è cresciuta molto poco e nettamente meno delle altre 15 regioni del suo gruppo: in termini di Pil, dell’1,8 per cento l’anno (mezzo punto meno della media del gruppo); in termini di Pil pro capite solo dello 0,7 per cento l’anno (un punto secco meno della media del gruppo). Il Pil del viterbese è andato un pò meno peggio di quello del Lazio, ma va considerato che nel 2007 il reddito pro capite della provincia di Viterbo era appena di 21mila euro, ben al disotto dei 30mila di Roma, dei 27mila del Lazio, dei 23mila dell’intera Italia. Nella regione, Viterbo è penultima, seguita a una lunghezza dalla sola Rieti. È la 60esima provincia italiana, nonostante le opportunità che la vicinanza a Roma possono offrire.
Temo che l’economia italiana non stia risolvendo i suoi problemi. Non escludo una caduta del Pil del 3% nel 2012 e ancora dell’1% nel 2013. Ciò significherebbe mezzo milione di posti di lavoro in meno alla fine del biennio.
La responsabilità di questa serissima condizione si divide fra le imprese e i governi. Le imprese italiane da anni investono poco in Italia, non innovano, non introducono progresso tecnico. Quindi la loro produttività e la loro capacità competitiva sono su un trend decrescente, come non era mai accaduto nella storia dell’Italia unita. I governi hanno solo inseguito, invano, con le tasse una spesa pubblica montante e inefficiente. Questo governo sinora ha aumentato le tasse – naturalmente sui tartassati che non evadono, o eludono, le imposte – e ha tagliato redditi reali e pensioni per riequilibrare i conti pubblici, che restano da riequilibrare. Ma la sua politica economica è monocorde, monca, quindi prevalgono gli effetti recessivi. Il governo, al di là degli annunci, non sta attuando risparmi sulle spese pubbliche superflue, non sostiene la produttività, non rilancia la domanda. Il Ministro Giarda ha dichiarato giorni fa che non vi è spazio per abbassare la spesa corrente al disotto degli attuali 727 miliardi di euro (poco meno di metà del Pil) e che non vi è spazio per ridurre, nemmeno in prospettiva, le tasse. Se ciò fosse vero, l’economia dell’Italia e delle sue provincie – Tuscia compresa – sarebbe spacciata…
Ma una diversa politica economica è possibile. Bisogna tagliare le spese correnti riducibili, diverse da quelle sociali, dalle pensioni e dalla sanità. Bisogna tagliarle fino al punto da pareggiare i conti pubblici e da fare spazio nel bilancio per maggiori investimenti pubblici in opere e infrastrutture, materiali e immateriali, e per  ridurre le tasse. Bisogna cedere immobili – non imprese pubbliche – per ridurre in valore assoluto oltre che rispetto al Pil il debito pubblico. Investimenti della P.A. e meno tasse migliorerebbero le aspettative dei consumatori e delle imprese. Contribuirebbero a far uscire l’economia dalla recessione. Questo è il presupposto necessario, mancando il quale non si può nemmeno parlare di ritorno alla crescita. Il  progresso di lungo periodo della produttività verrebbe favorito, oltre che da migliori infrastrutture, da una vasta riforma del diritto e delle istituzioni dell’economia, come pure da una promozione della concorrenza che non conceda alle imprese scorciatoie, vie facili, al profitto come quelle di cui hanno goduto dal 1992, con il cambio debole, la spesa pubblica larga, i salari bloccati. E’ essenziale, naturalmente, che le imprese italiane si dimostrino capaci di raccogliere una sfida da cui dipende la loro stessa esistenza.

B) Passo al secondo punto, che riguarda più specificamente l’economia di questa bella, civile città: Tuscania.
Vicinanza a Roma e anziani, dicevo.
Che Roma possa essere un polmone economico formidabile anche per Tuscania non c’è bisogno di ripeterlo, salvo vedere come cogliere l’occasione. Al contrario, molti credono che una popolazione anziana sia di ostacolo allo sviluppo economico.
Io penso esattamente l’opposto, e provo a dire perché, una volta premesso che in Italia la vita media è fra le più alte al mondo. Più precisamente, il rapporto fra anziani – oltre 65 – e giovanissimi – meno di 15 anni – è alto nel Lazio (1,4), molto alto in Italia (1,6), altissimo nella provincia di Viterbo (1,7). Quest’ultima ha quasi 70mila ultra 65nni, rispetto ad a non più di 35mila ragazzi con meno di 15 anni. Questa struttura per età tiene conto dei quasi 30mila immigrati nella provincia, pari al 9 % della popolazione residente, una percentuale non lontana da quella del Lazio e nettamente superiore a quella dell’intera Italia (7%).
Ma gli anziani italiani godono, grazie al sistema sanitario nazionale, di buona salute. Unita all’esperienza, la buona salute innalza il capitale umano produttivo degli anziani, quale fattore lavoro per lo sviluppo economico.
Ancora più importante ai fini dello sviluppo è che la composizione dei consumi degli anziani è diversa da quella dei più giovani. Ciò aggiunge varietà e varianza ai consumi totali degli italiani. La gamma dei bisogni degli anziani va dalle cure mediche e dall’assistenza sino ai viaggi e alle crociere, con in mezzo ogni tipo di sevizio, sociale e privato. Rispetto ai giovani, gli anziani spendono in proporzione di più per abitazione, energia, alimentari e bevande, ovviamente sanità. Spendono meno per abbigliamento, trasporti, tempo libero, istruzione, tabacchi.
Le opportunità di sviluppo economico si annidano nel dinamismo della riallocazione delle risorse in una società che, invecchiando, vede mutare la struttura dei consumi. Allora, capitale e lavoro si spostano dai prodotti meno domamdati a quelli maggiormente domandati. La "distruzione creatrice" di Schumpeter resta il motore dello sviluppo economico, naturalmente alla condizione che il sistema delle imprese e le infrastrutture siano in grado di intercettare tali opportunità.
Il viterbese ha oggi 34mila imprese, una ogni dieci abitanti, rispetto a una impresa ogni quindici abitanti in Italia: il 37% agricole, il 43% terziarie, il 20% manifatturiere ed edili. Molte ditte sono individuali, o piccole. Nel terziario il 90% degli occupati è addetto ad aziende con meno di 50 dipendenti, nell’industria lapercentuale è diel 70%. Tuttavia le imprese non sono poche. Almeno il potenziale di imprenditorialità non manca. Va incoraggiato e sostenuto, non solo dall’amministrazione e dalle banche, anche favorendo aggregazioni e raccordi, in forma cooperativa o meno. Per il turismo e per i servizi agli anziani –visitatori, villeggianti, residenti – ovviamente va ancor più valorizzato il patrimonio archeologico, storico, urbano, ambientale, come pure la bassa densità della popolazione e la disponibilità di abitazioni, di cui il viterbese sono dotati.  Occorre che imprese e amministrazione curino in particolare alcuni fronti. Mi limito a elencarli: a) agroalimentare di qualità; b) assistenza sanitaria e familiare quotidiana, privata e pubblica; c) speciale recettività per le persone anziane, sino alla casa di riposo dignitosa; d) servizi alla persona e alla abitazione (il tassista, l’elettricista, il meccanico, l’idraulico); e) attrezzature turistiche e proposte culturali e di svago; infine, f) sicurezza e tranquillità: Viterbo accusa pochi reati all’anno, 36 su mille abitanti, meno del Lazio (52) e meno dell’intera Italia (45).
Intercettare Roma è cruciale. Queste offerte, questi servizi, devono essere per gli anziani romani ben disposti verso il soggiorno a Tuscania meno costosi e soprattutto di più agevole accesso di quelli reperibili nella capitale.
Reti e infrastrutture - in specie comunicazioni, utilities e trasporti - sono, anche ai fini del rapporto con Roma, importanti. La Tuscia è già vicina a Roma, in più di un senso. Il porto di Civitavecchia è lì, con i suoi quasi 2 milioni di crocieristi l’anno, di cui oltre un terzo stranieri. L’aeroporto di Fiumicino è lì, con i suoi 33 milioni di viaggiatori l’anno. Ma la dotazione infrastrutturale è molto migliorabile. Per l’intero viterbese l’indice generale delle infrastrutture economiche e sociali è pari solo al 71 per cento di quello nazionale. Conforta la prospettiva che la Tuscia tragga beneficio dalla nuova progettualità infrastrutturale, ammesso che si realizzi, e quando: autostrada tirrenica connessa con la A12 Roma Civitavecchia, strada Civitavecchia-Viterbo-Orte, ferrovie trasversali est-ovest.
La provincia di Viterbo ha un tasso di occupazione di poco superiore al 50% della forza-lavoro, nettamente inferiore al 60% circa del Lazio e dell’intera Italia. E’ vitale fuoruscire dalla recessione e ritrovare il sentiero di uno sviluppo economico capace di creare opportunità di lavoro, il problema più grave della nostra società.




Pierluigi Ciocca                         

Biogafia del prof. Pierluigi Ciocca                       


–  Dal febbraio 1995 al dicembre 2006 Vice Direttore Generale della Banca d’Italia.
–  Dal 1984 Direttore della Rivista di Storia Economica (fondata da Luigi Einaudi).
–  Dal luglio 2008 Socio Corrispondente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, classe di Scienze Morali,
Storiche e Filologiche (categoria VII - Scienze Sociali e Politiche).
Ha tenuto lezioni e conferenze in diverse Università, italiane e straniere.
–   Ha pubblicato fra l’altro:
•  Interesse e Profitto. Saggi sul sistema creditizio, il Mulino, Bologna, 1982.
•  L’instabilità dell’economia. Prospettive di analisi storica, Einaudi, Torino, 1987.
•  Banca, Finanza, Mercato. Bilancio d’un decennio e nuove prospettive, Einaudi, Torino, 1991.
•  The  High  Price  of  Money.  An  Interpretation  of  World  Interest  Rates,  Clarendon  Press,  Oxford,  1996
(Laterza 1993), con G. Nardozzi.
•  L’economia mondiale nel Novecento. Una sintesi, un dibattito, il Mulino, Bologna, 1998.
•  Le vie della storia nell’economia, il Mulino, Bologna, 2002.
•  Il tempo dell’economia. Strutture, fatti, interpreti del Novecento, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.
•  The Italian Financial System Remodelled, Macmillan, London, 2005 (Bollati Boringhieri 2000).
•  Economia per il diritto. Saggi introduttivi, Bollati Boringhieri, Torino, 2006 (a cura di P. Ciocca e I. Musu).
•  Ricchi per sempre? Una storia economica d’Italia (1796-2005), Bollati Boringhieri, Torino, 2007.
•  Guido Carli governatore della Banca d’Italia, 1960-1975, a cura di P. Ciocca, Bollati Boringhieri, Torino,
2008.
•  Hicks versus Marx? On the theory of economic history, in R. Scazzieri, A. Sen, A. Zamagni, S. (Eds.),
Markets,  Money  and  Capital  Hicksian  Economics  for  the  Twenty-First  Century,  Cambridge  University
Press, Cambridge, 2008, pp. 146-156.
•  Kindleberger e l’instabilità, in "Moneta e Credito", n. 251, 2010, pp. 203-220.
•  Dopo  Keynes,  dopo  Sraffa:  il  pensiero  "critico"  e  l’economia  italiana,  in  Accademia  dei  Lincei  "Gli
economisti post-keynesiani di Cambridge e l’Italia", Roma, 2011, pp. 161-186.
•  On Finance and Growth, in "Aperta Contrada", 18 marzo 2011.
•  Esperienza giuridica ed economia: il caso italiano, in "Economia Italiana", n. 1, 2011, pp. 25-63 (versione
inglese "Juridical experience" and the economy: the case of Italy, in "Review of economic conditions in
Italy", n. 1, 2011, pp. 23-61).





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