IL 2 GIUGNO DARK CAMERA PRESENTA SOTTOASSEDIO DI ANTONELLO RICCI
Pubblicato da
Fiorenzo De Stefanis in
Corriere di Viterbo 31/05/2009 17.52.47
Nato da scrupolose ricerche d’archivio, “Sottoassedio” che sarà rappresentato il prossimo 2 giugno alle ore 21,30 presso la sala dell’ associazione Dark Camera in Via della Lupa 10, porta in scena e indaga sentimenti e risentimenti, affetti ed effetti, odi e rancori di parte, accesi e moltiplicati dalla violenza dello squadrismo fascista nella insanguinata stagione che precedette la marcia su Roma e l’avvento del regime. Il testo, di Antonello Ricci, si basa sulla meticolosa ricostruzione e su una interpretazione storiograficamente rigorosa dei cosiddetti “fatti di Viterbo”. A partire dal vaglio sincero e spassionato di tutte le fonti disponibili, dagli atti processuali alle carte di polizia, dagli articoli di giornale alle foto d’epoca, dai memoriali scritti alle testimonianze orali e attraverso la messinscena della sua folla di personaggi “inventati dal vero” Sottoassedio rievoca nel linguaggio del dramma alcuni gravi episodi di violenza politica accaduti a Viterbo tra la primavera 1921 e l’estate 1922. Nella convinzione che rivivere teatralmente certe vicende o, se si preferisce, certi incubi, come in ogni psicodramma che si rispetti, sia il primo passo necessario per una buona terapia. I personaggi dello spettacolo sono interpretati da Michela Benedetti, Pietro Benedetti, Olindo Cicchetti, Domenico Coletta, Sara Grimaldi, Alfonso Prota. Lo spettacolo promosso da Dark Camera racconta di un ragazzino diventato uomo in uno scontro di piazza. Un giovane che si congeda dalla vita quasi senza rendersene conto, tradito dagli amici, arrogante e coraggioso fino all’ultimo. Un vecchio condannato per un omicidio mai commesso: come il marinaio di Coleridge, egli è rimasto prigioniero dei propri ricordi, ogni sera va dal prete e gli racconta di quella “ingiustizia subita ai tempi del fascio”. Due madri impietrite dal dolore. Ciascuna un figlio ammazzato. La prima, straniera e aristocratica, è annichilita dall’orrore per una violenza tutta “locale”, totalmente incomprensibile ai suoi occhi. L’altra invece, testarda popolana viterbese, nei giorni del dilagante conformismo in camicia nera saprà dare il commovente esempio d’una Resistenza declinata al femminile. Infine, una lapide-simbolo che, divenuta meta di pellegrinaggi politicamente imbarazzanti, sarà rimossa per volere dei gerarchi locali. Difesa da alcune donne viterbesi con le unghie e un disperato orgoglio di classe, tornerà al suo posto nei giorni della Liberazione.