ACCUSATI DI TRAFFICO D'ARMI CASO ARCHIVIATO
Pubblicato da
Valeria Sebastiani in
Nuovo Viterbo Oggi 02/10/2009 7.16.47
Sono state definitivamente archiviate le accuse mosse dal GiP di Grosseto Pietro Molino, che nel maggio dello scorso anno avevano fatto condannare al carcere Pietro Marras, originario di Lula, da anni residente a Tuscania, Michelangelo Moni, Gianfranco Moni, Mario Moni, Mauro Monni, Francesco Monni e Pietro Marras, originari di Orune ed attualmente residenti nel Lazio ed in Toscana.
I sei hanno scontato chi cinque, chi dieci mesi di carcere per presunto traffico di armi e coinvolgimento nella faida che da anni insanguina Orune, fatti provati da un intercettazione ambientale del 15 aprile 2007 effettuata sull’auto di Gianfranco Moni, fatti che non furono mai supportati da prove e che ad oggi risultano mai commessi. La beffa ha avuto inizio nel corso della maxi inchiesta “Touch and Go” su una banda composta prevalentemente da sardi colpevole di una lunga serie di azioni criminali avvenute in Toscana dal 2003 L 2007, tra i qual l’assalto ad un furgone portavalori e tre assalti armati ad uffici postali.
Durante le indagini i carabinieri incaricati di esaminare alcune intercettazioni telefoniche hanno completamente sballato l’interpretazione e traduzione di alcuni termini dialettali sardi creando un enorme pasticcio che ha causato il carcere a Pietro Marras e ai suoi cinque compagni di sventura con tutto quello che ne consegue comprese le chiacchiere che mietono vittime anche tra i famigliari, chiacchiere che in un paese sono difficili da arginare e che non hanno atteso gli esiti ultimi delle indagini. Poche settimane fa finalmente la conclusione dell’infelice odissea per i sei ignari protagonisti della vicenda. La seconda perizia sulle intercettazioni, disposta quest’estate dallo stesso Gip Pietro Molino su richiesta del pm Maria Navarro, titolare del fascicolo, ed effettuata dai Ris di Roma e dall’ex maresciallo dei Carabinieri Salvatore Sanna, ha provato inconfutabilmente l’estraneità alle accuse degli imputati.
La traduzione dal dialetto orunese, nel quale conversavano i sei pastori, all’italiano aveva trasformato semplici conversazioni su pecore e foraggi in pianificazioni di omicidi.
Gli esperti avevano tradotto con le parole “mitra” e “fucili” termini dialettali che con le armi non avevano nulla a che vedere. Non era andata meglio con la perizia fonica che aveva attribuito alcuni rumori di sottofondo allo scartellamento delle armi quando altri non erano che banalissimi colpi di cric all’automobile.
Inevitabile la decisione del pm Navarro di archiviare le accuse. Ora ci si chiede chi pagherà per questo? La giustizia per i sei sardi vittime della vicenda si è trasformata in ingiustizia: L’essere stati scagionati come sempre non basterà a riabilitarne l’immagine ne i rimborsi economici a risarcire il valore inestimabile del tempo trascorso in carcere.
Valeria Sebastiani