Il Ministero dei Beni Culturali ha inserito anche la Basilica di San Pietro nel programma degli interventi programmati per il prossimo triennio. È previsto un finanziamento di 290.000,00 euro per la ricomposizione dei frammenti dell’affresco absidale, la sistemazione del deposito dei frammenti, la digitalizzazione dei dati e lo studio preliminare per la sistemazione museale.I danni più gravi provocati dal terremoto di Tuscania, di cui fra qualche giorno ricorre il quarantacinquesimo anniversario, riscontrati nella Basilica di San Pietro, furono causati dal crollo del rosone della facciata principale e di una parte dell’abside dove è raffigurata l’Ascensione di Cristo, un affresco datato fra l’ultimo quarto dell’XI secolo e la metà del XII. I primi interventi nei giorni immediatamente successivi al sisma del 1971 furono realizzati dall’Istituto Centrale per il Restauro, grazie anche alla collaborazione, dei giovani volontari del Gruppo Archeologico Romano.
È giusto ricordare come alla prima attività di catalogazione ha partecipato anche il compianto ed apprezzato restauratore Vincenzo Lucchetti. “La priorità – secondo l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro - era la messa in sicurezza della superfici dei dipinti murali rimasti ancorati alle pareti e la raccolta dei frammenti di quelli crollati. I frammenti furono estratti dalle macerie con grande attenzione e collocati in cassette di legno, seguendo un sistema di raccolta per settori. L’anno successivo, presso i laboratori dell’Istituto Centrale per il Restauro, venne fatto un tentativo di ricomposizione, tentativo presto abbandonato a causa dell’esigua dimensione e della fragilità del materiale. Sulla base dell’esperienza acquisita nella ricomposizione dei frammenti di affresco delle vele crollate all’interno della Basilica di San Francesco ad Assisi nel terremoto del 1997, l’Iscr ha avviato il progetto di conservazione, ricomposizione e valorizzazione dei frammenti dell’affresco absidale di San Pietro a Tuscania. I risultati del primo studio di fattibilità, avviato nel 2006, hanno dimostrato che la superficie potenzialmente sviluppata dai frammenti disponibili corrisponderebbe solo a circa un terzo della superficie crollata. Tale scarsità di materiale ha quindi suggerito, fin dall’inizio del progetto, forme di valorizzazione diverse dalla ricollocazione in situ”.