Fonte: Tusciaweb
E’ partita da Tuscania per tornare nel Salvador nel giorno più bello.
Il giorno in cui suo zio Oscar Romero è stato beatificato. Il 23 maggio Cecilia Romero (foto a sx) ha lasciato la sua casa nella Tuscia per tornare in Salvador ed assistere alla cerimonia di beatificazione di suo zio.
Uno zio ucciso barbaramente nel 1980 perché difendeva i poveri e amava a tal punto la sua terra da denunciare pubblicamente la dittatura militare.
Oscar Arnulfo Romero fu assassinato il 24 marzo 1980, mentre celebrava la messa. Per il popolo salvadoregno fu subito santo. Il santo d’America.
Quanto tempo era che non tornava nel Salvador?
“Nel 2004 io e la mia famiglia ci siamo trasferiti a Tuscania. Mancavo dalla mia terra da undici anni”.
Come mai vive a Tuscania?
“Per amore. Ho sposato un italiano. Quando era ancora nel Salvador ho conosciuto mio marito e ci siamo sposati. Lui lavorava per l’Unione europea e dopo diverso tempo ci siamo trasferiti qui. Devo dire che mi trovo benissimo. A Tuscania si sta bene, la gente è meravigliosa”.
Il 23 maggio scorso suo zio è stato beatificato. Come è stato quel giorno?
“Ancora non me ne rendo conto. Ci sono state troppe emozioni tutte insieme. Mi sembra quasi di volare. Le emozioni sono iniziate appena sono arrivata in aeroporto. Al controllo passaporti appena hanno letto il mio cognome hanno iniziato a festeggiare. Quante emozioni tornare a casa in un giorno così bello.
Il 23 maggio tutto il popolo salvadoregno era presente alla beatificazione. Per noi è stata una grande notizia.
Ricordo ancora come fosse oggi la folla che ascoltava rapita le parole di Romero, tornando a maggio ho rivissuto le stesse emozioni. Durante la sua beatificazione c’era lo stesso popolo, che tanto amò il suo arcivescovo. C’era le stessa tensione. E poi tantissima allegria e festa. Per il Salvador è un momento importante. Di riscatto. E io sono orgoglioso e commossa di essere la nipote del beato Romero. Mi auguro solo che la voce del nostro beato si senta ancora più forte e che in Salvador cambi la situazione”.
Beatificazione di Mons. Romero
Ha un ricordo particolare legato a monsignor Romero?
“Ero una ragazza e studiavo in collegio dalle suore. Un giorno organizzarono una visita all’ospedale della Divina Provvidenza. Volevano farci conoscere da vicino la sofferenza del reparto dei malati di cancro. Mentre eravamo lì alcune pazienti ci raccontarono che la persona che in assoluto li aiutava di più era proprio mio zio. Io non ho detto di essere la nipote, ma questo fatto mi ha particolarmente colpito. Monsignor Romero mandava all’ospedale soli e medicine e inoltre era di conforto spirituale per questi malati che non avevano più speranze di vita. Una donna mi disse che quando lui le era accanto si sentiva rinascere nuovamente”.
Il beato Romero è morto per aver denunciato i crimini della dittatura e per aver dato voce agli ultimi. Lei quando è stato ucciso quanti anni aveva? “
Avevo 18 anni e ricordo bene quel giorno. Per il Salvador era un momento davvero difficile, la guerra civile era in una fase particolarmente acuta. Quando arrivò la notizia della morte dello zio stavamo preparando la cena. Eravamo spaventati. Percepivamo il pericolo. Anche lo zio sapeva che la situazione era drammatica ma ha sempre rifiutato la scorta. Non poteva sopportare che qualcuno per difenderlo rischiasse la sua vita.
Nessuno di noi, i suoi familiari, partecipò al suo funerale. Rischiavamo la vita. Per questo è stato così importante tornare nel Salvador nel giorno della sua beatificazione. E’ stato un riscatto e un momento di vita.
Si aspettava che papa Francesco accelerasse l’iter burocratico per la beatificazione?
“Sono convinta che papa Francesco fosse preoccupato perché al beato Romero non si era ancora data la giusta importanza. Io credo che il pontefice abbia pensato che Romero doveva essere beato e subito! E questa beatificazione è stata importante perché il papa ha dato al popolo salvadoregno e al mondo intero un riconoscimento. E spero che presto diventi santo. Come famiglia non avremo mai giustizia terrena per il suo assassinio, il papa però ha fatto sì che la sua morte non sia stata vana”.
Maria Letizia Riganelli