Nella seconda metà del 1800 l’arciprete Giuseppe di Lorenzo consegna alla memoria storica una piccola opera descrittivo analitica sulla tradizione cristiana che vede la sua testimonianza nei monumenti antichi di Tuscania.
“…. Ora io faccio voti che uniate tutta la vostra possanza con incessanti cure, affinché questi monumenti ragguardevolissimi siano ristorati e diligentemente conservati. Fareste conoscere all’universale che vive ancora in voi il genio e l’amore alle arti belle, che come preziosa eredità ci hanno trasmesso i nostri illustri antenati.
Con stima mi professo
Giuseppe Arciprete di Lorenzo”
Toscanella 17 Aprile 1883
Così concludeva, nella sua prefazione, l’autore dell’operetta da cui traiamo spunto per il nostro articolo. Quello che volle comunicare con un italiano arcaico e forbito, secondo il nostro modo di intendere oggi, non fu solamente una dichiarazione di metodo, ma soprattutto un augurio, una speranza.
L’auspicio dell’autore era di poter toccare, con la sua tensione emotiva, la sensibilità del cittadino e dell’istituzione nel saper preservare e valorizzare il dono che la Storia ha fatto all’umanità. Un testamento spirituale che riecheggia nei secoli e che andrebbe tramandato di padre in figlio. Lo scrittore cecoslovacco Milan Kundera parlava, a questo proposito, di “immortalità”; l’attitudine secondo la quale l’essere umano può lasciare il segno imprimendo nei secoli il sublime della propria esistenza terrena.
L’”immortalità” può essere di piccola entità, circoscritta agli affetti che i nostri cari lasciano in noi quando se ne vanno, oppure di entità più profonda, identitaria. Di quest’ultima specie sono protagonisti gli uomini e il loro agire sociale nelle civiltà cui sono appartenuti, ma i mezzi sono le grandi opere che essi lasciano. Monumenti in terra ed espressioni di eterno nel riecheggiare dei secoli.
Tra i monumenti cristiani di cui l’Arciprete Giuseppe di Lorenzo ha parlato, troviamo opportuno soffermarci sul Tempio di San Pietro Apostolo e sulla Chiesa di Santa Maria Maggiore.
Il Tempio di San Pietro viene pittorescamente apostrofato come “maestoso e venerando per leggiadria di forme, magnificenza di lavoro e grandezza di mole”. In effetti l’edificio, che sorge all’incirca ad un chilometro da Tuscania, venne edificato nel nono secolo sulle rovine dei monumenti etruschi e romani per commemorare l’apostolo San Pietro.
Fino all’epoca etrusca, sul colle dove ora sorge il Tempio, v’era l’acropoli della città Turrenia, l’odierna Tuscania, i cui cittadini erano stati appellati dallo storiografo Plinio Tuscanienses. Il Tempio venne edificato proprio sopra antichi resti etruschi e, ai tempi in cui l’Arciprete di Lorenzo scrive, la città pare si chiamasse ancora Toscanella.
All’epoca in cui fu eretto il Tempio, la tradizione cristiana soleva volgere le facciate delle chiese e gli altari verso Oriente, e cioè guardando la Terra Santa di Gerusalemme. La parte frontale del Tempio di San Pietro, stando agli scritti di Giuseppe di Lorenzo, nell’ottocento, doveva essere ancora più rigogliosa e meglio conservata rispetto ad oggi. Egli parla di ricchi mosaici sull’esterno della facciata, preziosi marmi, bassorilievi e sculture meravigliosamente adornate.
Oggi di tale meraviglia ne resta ancora qualche sentore. Il timpano viene descritto dal di Lorenzo come privo di affreschi, ma l’autore riporta la mente de lettore ad immaginare tempi remoti nei quali anch’esso, forse, era riccamente affrescato. L’ingresso alla chiesa è presentato come un “suntuoso arco maggiore e due minori sostenuti da sei colonne”.
La superficie degli archi minori è descritta come intagliata da fogliami, mentre del pavimento d’ingresso viene sapientemente rievocato, in tutta la sua eleganza, un mosaico ancora visibile e in buono stato di conservazione. Viene descritta, con dovizia di particolari, anche la superficie affrescata dell’arco maggiore, ancor oggi visibile.
“…la superficie dell’arco maggiore in vari ed eguali spartimenti girati da ornati di vario disegno è tutta adorna di bassorilievi con figurative rappresentazioni di virtù, di vizi, e di misteri e riti di nostra santa religione: perché vedesi espresso il mistero dell’eucaristia nel mietitore e vendemmiatore che raccoglie le spighe e acconcia i tini a conservare il vino; vedi il Redentore sotto la figura del buon pastore che pasce le agnelle, e che ha in mano una corona simbolo di premio dovuto a virtù: or sotto la figura di Orfeo a significare che Egli colla sua divina virtù e celeste dottrina ha tratto dietro a sé tutte le nazioni anche più barbare, le ha ammaestrate, e ingentiliti i costumi…”
Per quel che concerne la peculiarità della Chiesa di Santa Maria Maggiore, il di Lorenzo ne omaggia così la magnificenza:
“monumento dei più rari e preziosi che ne avanzano della cristiana antichità è il tempio di santa Maria; in esso la pietà cristiana raccolse quanto di buono, di grande si ebbero l’architettura, la scultura, e la pittura dal IX al XVI secolo.”
Anche in questo caso la facciata è rivolta ad Oriente, a salutare la Città Santa Gerusalemme. La chiesa, dedicata all’assunzione della Madonna in cielo, presenta una facciata arricchita di una doppia fila di colonnine marmoree incastonate all’interno di due fasce di peperino per poi congiungersi a dei capitelli volti a sostenere “archetti di varia forma”. Questi archetti formano dei cerchi e proseguono a volta quasi a ricordare la corona della Regina dei Cieli.
Così ne parla l’Arciprete Giuseppe di Lorenzo:
“…sugli spazi fra gli archi del primo cerchio, e sugli intercolunni del secondo ad illuminare la chiesa sono aperti altrettanti piccoli occhi di una medesima forma e sviluppo a guisa di stelle, e formano una doppia corona simbolo della corona immortale, onde nostra Donna ebbe ornata la fronte nel giorno del suo trionfo.”
L’architettura della facciata, pertanto, è un simbolo che omaggia la grandezza della Madre Celeste Maria e tale armonia di simbolismi prosegue entrando nella chiesa.
“La chiesa è divisa in tre navi distinte da due ordini di belle colonne di peperino, sulle quali si appuntano altrettanti archi a tutto sesto e fanno sostegno ad altissime pareti, che hanno per solo ornamento una cornice, la quale sotto le imposte delle finestre gira leggermente intorno ad esse, e a cui fanno officio di mensole teste di animali ed altre stravaganti figure…”
Grande importanza, come continua il dotto prelato, era attribuita al fonte battesimale. Questo era l’unico, vista l’importanza della chiesa che lo ospitava, cui veniva riconosciuto il privilegio di conferire l’acqua santa per il battesimo, agli infanti, in epoca medievale. A sancire l’esclusività alla fonte battesimale di Santa Maria Maggiore fu Papa Alessandro III con un’apposita bolla del 1180, epoca in cui ancora si praticava il rito del battesimo per immersione. L’Arciprete di Lorenzo così parla del monumentale fonte battesimale:
“In mezzo alla nave destra della chiesa vedesi il fonte battesimale, o vasca di figura ottangolare ornato ai lati esterni di intagli e fogliami, a cui si ascende per due gradini: è desso un importante monumento dell’antica disciplina della Chiesa stata in vigore fino al dodicesimo secolo, quando il battesimo si conferiva per immersione…” Nella sostanza delle cose terrene simili architetture racchiudono in se l’elemento divino dell’idea platonica tutt’uno con l’essere umano. Per il filosofo greco infatti, attingiamo le idee dal mondo ultraterreno, poiché siamo emanazione dell’amore divino. Quando l’artista crea diviene immortale perché imprime nella Storia un segno univoco della sua magnificenza; immagine e somiglianza della grandezza di Dio.
Il fascino dell’operetta dell’Arciprete, di seconda metà dell’ottocento, risiede nello zelo con cui egli si è prodigato nel tramandare l’importanza identitaria di tesori unici nella loro pragmatica testimonianza di civiltà, di fatto, eterne nell’eco dei secoli.
Bibliografia:
Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla monografia “Antichi monumenti di religione cristiana in Toscanella” 1883 Arciprete Giuseppe di Lorenzo.