Fonte: TusciaWeb
Venerdì 27 gennaio ricorre Il giorno della memoria per celebrare le vittime dell’olocausto e di ogni forma di soppressione o compressione dei diritti umani.
Il 27 gennaio fu scelto (con una risoluzione dell’Onu, recepita dalla Repubblica italiana con legge del 2000) perché fu in quel giorno che le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di annientamento di Auschwitz.
Il giorno della memoria è stato istituito per ricordare la shoah e anche “le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte” e tutti coloro che “si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Il riferimento alle leggi razziali e alla “persecuzione italiana dei cittadini ebrei” rimanda a una pagina vergognosa della nostra storia, che per troppo tempo si è cercato di rimuovere, di minimizzare, sotto una coltre di ipocrisia e di occultamento. Sintetizzata nel luogo comune degli “italiani brava gente”.
Diciamo la verità: per quanto riguarda i conti con il proprio passato, e mi riferisco al ventennio tra le due guerre mondiali, l’Italia e gli italiani non hanno nulla da insegnare alla Germania ed ai tedeschi.
Molto più approfondito, doloroso e coinvolgente è stato in Germania il dibattito sul “passato che non passa”. A Viterbo c’è voluto più di mezzo secolo perché si prendesse pubblicamente atto che la macchina dello sterminio etnico e razzista coinvolse anche la nostra provincia: vittime e carnefici viterbesi. Ripeto: vittime e carnefici viterbesi.
Sono emersi dall’oblio, dalla “damnatio memoriae”, i nomi ed i cognomi, le storie, di 33 cittadini italiani-ebrei-viterbesi che nel dicembre 1943 furono arrestati e deportati nei campi di sterminio dai quali non ritornarono mai più.
E ancora oggi queste storie tragiche sembrano bruciare nei meandri della nostra (cattiva) coscienza e ben volentieri ce ne liberiamo, perché rimandano inevitabilmente al contesto storico-culturale-umano (nostro, della nostra città, del nostro territorio, della nostra popolazione) nel quale quelle liste furono stilate.
La memoria di quel “tragico e oscuro periodo della storia del nostro paese” deve servire (dice la legge) “affinché simili eventi non possano mai più accadere”
Bel proponimento!
Ma purtroppo ogni giorno vediamo intorno a noi (in Italia e nel mondo) riaffiorare la mala pianta del razzismo, del pregiudizio etnico, religioso, sessuale. Si alzano muri, culturali e materiali, si “costruisce” e si demonizza “l’altro da sé”; e sulla paura dell’altro, del diverso, si fondano partiti e carriere politiche.
Quante inquietanti analogie con quel tragico passato!
Nessuno ci garantisce che “simili eventi non possano più accadere”.
Nel nostro agire individuale e collettivo dobbiamo contrastare con fermezza queste tendenze, ispirandoci ai principi consacrati nella nostra carta costituzionale.
Certo non siamo soli. Milioni di persone in Italia e nel mondo, di diverso orientamento culturale e politico, condividono questi valori. L’Anpi vuole essere dentro questa grande corrente a difesa della civiltà.
Enrico Mezzetti
Presidente provinciale Anpi di Viterbo