Fonte: Tusciatimes.eu
Di EMANUELE FARAGLIA
Si è tenuta ieri sera, nella sede della galleria Pavart, la presentazione della mostra MANNEQUIN di Angelo Savarese con special guest la tuscanese Roberta Morzetti.
L’evento, curato da Velia Littera, e perfettamente riuscito, si inserisce nella settimana dell’Arte contemporanea di Roma (Rome Art Week, seconda edizione dal 9 al 14 ottobre). Sarà possibile ammirare le opere di Savarese e di Morzetti fino al 10 novembre.
Nel frattempo noi di Tuscia Times abbiamo chiesto all’artista napoletano di spiegarci il senso, il messaggio che intende trasmettere con questi manichini creati con la resina, ma che appaiono “metallizzati”, tanto che non abbiamo resistito alla tentazione di toccarli con le nostre mani: “In genere non si fa – ammonisce Savarese – immaginatevi la Gioconda, è intoccabile! Ma l’opera deve essere materica e quindi il contatto, in questo senso, è ammesso, quasi dovuto. Il messaggio? Non ce n’è uno, ma cinque, tanti quanti sono i manichini e le poesie. Prima scrivo la poesia, poi la poesia è trascritta sul manichino. Questi processi si fondono uno nell’altro”.
“Ci sono cinque malesseri – prosegue Savarese – quindi realizzo le mie opere con la pancia e con i miei pensieri. Il primo manichino ha un alter ego, l’altro nascosto dal velo. Qui c’è il tema del transgender, quando ti accorgi di dover cambiare, di doverti svelare e c’è una sofferenza. Il messaggio è: non soffocarlo! E’ importante quello che senti e quello che sente la persona vicina”.
“Il manichino col cappio al collo è l’unico che sembra camminare. Questo perché la donna, che rappresenta non solo l’universo femminile, ma l’umanità intera, si è liberata del suo stesso cappio che infatti tiene stretto in mano”.
“Abbiamo poi una donna con la maschera antigas che sta ad indicare non solo la reazione all’inquinamento ambientale, ma anche l’inquinamento di una persona che non riesci ad accettare “.
“L’idea della donna con il burqa mi è stata ispirata ovviamente dal tema migranti, ma ciò che conta è capire se si sta rivestendo oppure spogliando. Lascio a voi l’interpretazione”.
“Infine – conclude Savarese – il manichino rosso con il suo buco nello stomaco rappresenta il malessere, il buco dentro che tutti sentiamo di avere, la sensazione di aver sprecato la tua vita. Ha una maschera, perché ha voluto divertirsi, ma sa di aver perso dei momenti importanti, che non torneranno”.
C’è anche una sesta donna, là fuori, che accoglie i visitatori con i suoi … “Respiri” e che sembra invitare i passanti ad entrare, a guardarsi intorno e guardarsi dentro.
Al fianco di Savarese un’entusiasta Roberta Morzetti: “Sono contenta di aver realizzato questo evento con Angelo e di aver trovato la collaborazione con Velia Littera, insieme siamo una squadra che funziona. Per quanto riguarda le mie opere il comune denominatore è sempre la sofferenza della donna. Al fianco di C5 C7 c’è un pensiero di Alda Merini, Non ho più notizie di me da tanto tempo, su cui è superfluo ogni commento. Poi la frase di Terzani che accompagna R-Esistenza e che è un invito alla speranza, a guardare al futuro con fiducia in sé stessi. In Coriandoli la donna cerca di proteggersi dagli attacchi esterni e porta dentro di sé i segni delle battaglie che ha vissuto. La frase di Simone de Beauvoir, compagna di Sartre, è significativa in tal senso, Una donna libera è il contrario di una donna leggera . Poi abbiamo BBQ 17, ecco i cuori che vedete, qui e in R-Esistenza, sono presi da organi di animali. Mentre per le precedenti opere, dopo aver preso come sempre il calco su me stessa per i soggetti femminili, per i cuori avevo utilizzato materiale didattico, che si usa nelle università o negli ospedali, questa volta ho voluto utilizzare il calco da un organo vero perché si partisse dalla carne, dalla sofferenza…”.
Una delle costanti, che ritroviamo anche in BebèBangBang, è il bianco. Perché? “Perché il bianco dà respiro, è silenzio, è quiete, è tutto” spiega Morzetti. Lo ritroveremo nei prossimi lavori senza dubbio, questo colore, che poi è l’insieme dei colori, la vita, il tutto, appunto, che l’artista viterbese riesce ogni volta, da una sofferenza diversa, a far emergere con forza, veemenza, perfino con rabbia.