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Mi sono ispirata solo e unicamente al vangelo.
Così affermava nel suo testamento. E il 12 gennaio del 1966 scriveva:
Il Vangelo: pagine sante dove attingo tutta la cultura spirituale che mi serve. Non mi stanco mai di leggerlo, trovo sempre cose nuove, penetro a fondo lo spirito di Gesù. Ho la risposta a tutti i miei dubbi, alle mie aspirazioni, so come comportarmi in ogni circostanza, poiché se la mia unica aspirazione è vivere il più conformemente possibile alla vita di Gesù, dove altro potrei trovare se non nel Vangelo la risposta a come agiva e pensava Lui?
E che il vangelo fosse il libro che lei sempre leggeva e meditava e sul quale esemplava la propria vita lo capivamo quando, nel corso dei nostri colloqui, le chiedevamo consiglio sul da farsi in certi casi, e allora ci domandava come per prepararci alla risposta: la compirebbe questa azione Gesù?le sue risposte erano veramente illuminate, aderenti ad un ideale di giustizia e di carità veramente evangelico. E soprattutto sulla giustizia non transigeva, perché - diceva - la giustizia di un seguace di Cristo deve essere più alta della giustizia dei farisei.
Durante il tempo di quaresima ogni giorno leggevamo un brano di un vangelo, e dalle osservazioni personalissime e vive, che lei faceva sui vari episodi e che erano senz'altro il frutto di una lunga meditazione, maturata sulla propria esperienza, capivamo che proprio sul vangelo ispirava tutta la sua vita.
“Perché i fatti del vangelo - come diceva santa Teresa del B.G . - non sono stati scritti per essere raccontati, ma rivissuti. Dobbiamo entrare dentro la pagina del Vangelo e divenire attori, parte in causa, perché il Vangelo è un libro vivo, non un libro morto”. malattia del nostro tempo, che ci colpisce più da vicino, è l'ansia, la paura; quell''umanissimo sentimento, cioè, che è il segno più chiaro del nostro limite. Abbiamo paura: paura del domani; paura della salute che declina; paura della vecchiaia; paura della notte; paura della morte e viviamo sempre col batticuore.' vero che un male potrà avvenire, ma non è assolutamente certo che avvenga; e quante cose sono avvenute che non erano aspettate, e quante aspettate non sono avvenute mai!però sono considerazioni umane e dovrebbero darci tranquillità e sicurezza, ma non è così e noi abbiamo sempre paura, paura del domani, di quello che ci potrà accadere.
E allora, quando eravamo in ansia per qualche caso particolare o avevamo qualche preoccupazione che ci toglieva la pace, Madera ripetutamente ci diceva di non fasciarci la testa prima di essercela rotta. per sollevarci da questa paura “inconsistente” ci raccontava, commentandolo, l'episodio del Vangelo di Gesù che cammina sulle acque:
Tutti, chi più chi meno, abbiamo paura- Ci diceva - di non essere capiti, paura di non farcela a sopportare il male, paura di rimanere soli…Il futuro infatti molto spesso ci si presenta minaccioso e abbiamo paura di non farcela ad andare avanti; spesso la tristezza ci prende per tante situazioni apparentemente dolorose, che sembra non abbiano vie d'uscita. Ma sono paure e preoccupazioni che poi alla prova dei fatti si rivelano inconsistenti, ma che pure hanno messo nel nostro cuore tanto sgomento, tanta paura.
Ed ecco Gesù che cammina sulle acque e agli apostoli impauriti sembra un fantasma. Come le nostre preoccupazioni: non sono altro che fantasmi. Fantasmi che camminano sulle acque e che solo quando siamo capaci di rivolgerci a Dio svaniscono nella luce del mattino. E al posto di quei fantasmi appare il Signore, che calma il vento e infonde nei nostri cuori la pace e la sicurezza.questa sicurezza- diceva - dobbiamo dimostrare anche agli altri.
Perché “quando ci troviamo in mezzo a persone scosse da un'angoscia mortale, paralizzate dalla fosca incertezza del futuro, allora dobbiamo irradiare intorno a noi la pace di Dio, che è superiore ad ogni follia del mondo”.
Ecco, immaginatevi di essere con altre persone, che non hanno la stessa nostra fede, su una stessa barca, la nostra vita; il mare è in tempesta, davanti a noi c'è il porto, già lo vediamo e stiamo remando per poterlo raggiungere. Gli altri si affannano, urlano, gridano presi dalla paura; noi dobbiamo remare, tranquilli, dobbiamo far vedere agli altri la nostra sicurezza, la nostra fede, perché siamo sicuri che a quel porto ci arriveremo e non affonderemo mai nei marosi.
La parabola del Figliol Prodigo poi era per lei una specie di cartina di tornasole per valutare il cammino fatto nell'amore.
Chi si sente solidale con il fratello rimasto a casa, quello- diceva - è uno che ancora non ha capito l'amore e soprattutto l'amore di Dio.
Perché il fratello, che era rimasto a casa, era il fratello che non sapeva amare. Certamente era un uomo integro, aveva sempre ubbidito al padre, era un uomo serio, un uomo d'onore. Ma quando il fratello finalmente ritornò a casa e il padre se lo strinse al petto, lui rimase freddo, mentre la gelosia gli rodeva il cuore. Quel fratello degenere, che se ne era andato da casa e aveva sperperato tutta la sua eredità, l'aveva visto come un uomo fallito, con disprezzo. Lui non aveva mai conosciuto naufragi morali, né le tentazioni che avevano squassato il cuore selvaggio e inquieto del fratello. Era vissuto sempre negli agi comodi di una vita borghese. E siccome non amava, gli era mancata la capacità di immaginare che uno potesse finire in prigione per un qualche delitto. Per questo nella sua opaca moralità non aveva un cuore che batteva all'unisono con quello del padre. E così in effetti è proprio lui che emigra verso regioni lontane, dalle quali non c'è possibilità di ritorno, perché chi non sa amare non trova mai la strada di casa.
E si serviva della parabola del Figliol Prodigo per confortare, ma anche per genitori che avevano problemi nell'educazione dei figli.
Perché i figli- diceva - sono fatti per i genitori e devono affrontare la vita a modo loro. E se anche, purtroppo, qualche volta l'affrontano in modo sbagliato, devono andare per la loro strada. E i genitori di quei figli che se ne vanno da casa o prendono una strada sbagliata, non si devono identificare nel padre del Figliol Prodigo, che scruta ogni giorno l'orizzonte per vedere se spunti il figlio che se ne è andato e possa riabbracciarlo e fare festa. La parabola presenta una situazione diversa: nella parabola Gesù mette in evidenza l'atteggiamento misericordioso del padre che è sempre pronto a perdonare e fare festa, ma non condanna il figlio, libero di scegliersi un futuro.
Era il pensiero di Gibran: “I vostri figli non sono figli vostri. Essi sono figli e figlie della vita. E benché essi siano con voi essi non vi appartengano.”
E il preoccuparsi troppo dei figli - ripeteva un pensiero di San Cipriano - soprattutto nell'accumulare per loro denaro, non fa parte della cultura cristiana. I genitori si devono preoccupare della vita dei figli, della loro educazione, ma i beni materiali i figli se li devono acquistare da soli con pazienza, con ostinazione, con orgoglio.
E quando i figli - diceva ancora - si sono allontanati da Dio e non si può più parlare a loro di Dio e della religione, bisogna invertire la rotta e parlare a Dio dei figli.
Originale e viva era poi la spiegazione della parabola dei lavoratori a giornata, che un padrone chiama a lavorare nel suo campo nelle varie ore del giorno.
Non si fermava all'aspetto “sindacale”, discutibile, ma andava oltre e capiva benissimo le ragioni dello strano comportamento del padrone.
I lavoratori dell'ultima ora dovevano avere la stessa paga di quelli della prima ora, perché dovevano essere “risarciti” dell'umiliazione di essere rimasti senza lavoro per tutta la giornata: nessuno li aveva chiamati, nessuno aveva dato loro la consapevolezza di essere utili a qualche cosa; per tutto il giorno avevano sofferto il senso di impotenza, di inoperosità che può provare chi, in cerca di un lavoro, rimane inerte con la nera prospettiva di non poter mantenere la propria famiglia. Gli altri, certo, avevano faticato sotto il sole, ma avevano avuto la sicurezza di un lavoro, e la certezza che a sera avrebbero avuto il loro salario, la loro mercede.
Così nel campo morale. Noi fin da piccoli abbiamo conosciuto Dio, e da questa conoscenza abbiano avuto le risposte a tutte le nostre ansie, ai nostri problemi, siamo vissuti all'ombra della sua Provvidenza, il domani non ci ha mai fatto paura, perché nelle mani di Dio; ma gli altri che per tutta la vita sono vissuti senza la consolante presenza di Dio, che hanno tremato di fronte alla malattia, alla solitudine, all'angoscia devono avere alla fine della vita, quando finalmente conosceranno Dio, la nostra stessa “paga”.
E come era presente il vangelo nella sua intierezza durante la Settimana Santa!
Così scriveva nel 1966
4 aprile- Lunedì Santo
Gesù andò di nuovo a Gerusalemme e parlò al tempio, dando le ultime istruzioni alla folla, poi la sera ritornò a Betania.
5 aprile- Martedì Santo
Come ieri, anche oggi Gesù ha parlato nel tempio; ha visto il fermento che suscitava la sua persona, poiché era ormai decisa la sua morte e non sarà perciò mancata qualche cattiveria da parte dei facinorosi di allora (di sempre). La sera ritornò a Betania.
6 aprile- Mercoledì santo
Gesù non si è mosso da Betania, è voluto rimanere in questo ultimo giorno prima della sua passione, con i suoi amici e certamente con la sua Madre. Quante cose avrà detto! Come avrà cercato di preparare gli apostoli per i giorni dolorosi che dovevano venire! Certamente chi più l'amava avrà capito che Gesù stava per passare qualcosa di molto grave; lo si vedeva guardandolo negli occhi, ma lui per non rattristarli, vedendo la gioia che provavano i suoi cari ad averlo tutto per loro, non parlava chiaro; tutta la sofferenza la teneva per sé, come aveva sempre fatto.
7 aprile- Giovedì Santo
E' l'alba, Gesù incarica i tre di andare a Gerusalemme per preparare la Pasqua. Lui rimane fino a sera con i suoi amici a Betania. Il suo cuore desiderava presto potersi donare nel sacrificio supremo e la sua umanità sentiva tutto il peso di questo sacrificio. Si avvia piedi sul far della prima sera verso Gerusalemme; sono con Lui gli apostoli che non capiscono nulla (o molto poco) di ciò che passa nel suo cuore, altrimenti non avrebbero bisticciato per i posti a tavola più tardi. L'addio è tra i più mesti, tra i più belli, tra i più perfetti, poiché non manca la tristezza umana, la speranza di ritrovarsi, la perfezione nell'Amore grande con l'istituzione della eucarestia. Nella preghiera finale c'è tutto e per loro e per noi. Poi la vera e propria passione, la tristezza della solitudine, la visione cruenta della sofferenza, l'ingratitudine umana di allora e di sempre, il tradimento, il rinnegamento fino a giungere a sentire questo dolore morale così forte da non dargli la morte, perché il cuore anziché scoppiare travasa facendo uscire dai pori il sangue.
8 aprile- Venerdì Santo
Notte e mattino pieni di sofferenze: lo schiaffo del servo di Anna; il rinnegamento di Pietro nell'atrio; i dileggi della soldataglia; le bestemmie; gli insulti; gli interrogatori di tre tribunali; la cattiveria del popolo; l'infamia dei capi del Sinedrio; la cruenta flagellazione, supplizio tremendo, anche perché la mansuetudine di Gesù eccitava ancora di più i carnefici; la coronazione di spine e infine la condanna e il popolo che preferisce Barabba; il tragitto; la crocifissione, dolore tremendo; l'agonia spasmodica fra indicibili sofferenze; il peso del corpo che allargava sempre di più i fori dei chiodi; i crampi tremendi che facevano sussultare le piaghe di tutto il corpo; l'affanno per la difficoltà della respirazione; la febbre altissima; la sete ardente; l'immobilità…tutto questo per tre lunghe ore, poi la morte.
9 aprile- Sabato santo
Silenzio di attesa. Ricordo dei dolori di Gesù in unione con Maria SS. Solitudine per la mancanza di Gesù, ma certezza e speranza della sua vittoria sul dolore e sulla morte.
10 aprile- Pasqua di Resurrezione
Gioa radiosa per la vittoria su tutto: sulla morte, sul dolore, su tutta questa umanità che crede di distruggere Dio, perché riesce a farlo soffrire nella sua umanità, ieri in Gesù, oggi nei martiri. Certezza della nostra resurrezione. Anche se per noi la passione, più o meno dolorosa, durerà tutta la vita. Ritrovamento di Gesù, del suo amore e grande dolcezza di sentircelo sempre vicino.
(aprile 1966)