di Daniele Camilli.
Sono i visitatori dei circuiti museali e delle aree archeologiche del Mibact - Nella Tuscia soltanto 430 mila turisti - Tra i fanalini di coda anche gli etruschi di Rocca Albornoz.
Ventidue milioni di turisti su ventitré che vengono nel Lazio se ne vanno a Roma. E la Tuscia non la filano di striscio. La città dei papi soprattutto. La Rocca Albornoz, dove sta il museo nazionale etrusco, in un anno ha fatto 10.400 visitatori. Tremila paganti e 7.400 no. Il che potrebbe pure significare che se avessero dovuto pagare, magari neanche loro ci sarebbero andati.
Sono i dati del Mibact, il ministero per i beni culturali, ufficio statistica, e l’anno di riferimento è il 2017. L’ultimo di riferimento. Un patrimonio inesauribile di dati che riguardano le proprietà del ministero. Se la Tuscia dovesse campare di turismo a partire dai beni dello Stato, starebbe messa veramente male.
Nel 2017 ventitré milioni di persone hanno visitato musei, circuiti, monumenti e aree archeologiche del Lazio gestiti dal Mibact. Di questi, 11 milioni e 400 mila sono entrati in beni con ingresso gratuito. Undici milioni e seicentomila in beni col biglietto da pagare. Otto milioni e 300 mila sono stati i paganti. Tre milioni e duecentomila i non paganti. I picchi più alti si registrano tra i mesi di aprile e ottobre, con più di due milioni di turisti ogni trenta giorni.
Su ventitré milioni di turisti che hanno scelto il Lazio, 22 sono andati in provincia di Roma. Dove c’è appunto la capitale. Quasi undici milioni sono finiti all’interno del circuito del gratuito. Undici milioni e passa in quello a pagamento. Otto milioni i paganti, tre i non paganti.
Quanti di questi hanno scelto la Tuscia? 435mila circa. Meno di Frosinone, che ne ha totalizzati 514 mila. Vabbé che in provincia di Roma c’è Roma. Ma meno di mezzo milione di turisti su più di venti che arrivano a una settantina di chilometri dalla Tuscia è veramente tanto.
Ad esempio, Civita di Bagnoregio, che non ha nulla a che fare con i beni di stato, da sola, quest’anno, ha oltrepassato abbondantemente il milione di turisti.
Dati che confermano come le persone vadano attirate sul territorio. Difficilmente cadono dal cielo. Non per i prossimi anni. Una situazione che si fa sentire pure in termini di incassi. Su oltre 75 milioni di euro incassati in tutta la regione, 74 riguardano la provincia di Roma. Uno quella di Viterbo. Agli altri finiscono solo le briciole.
Sempre per fare un confronto, Civita di Bagnoregio, da sola, un milione di euro lo fa solo con i turisti che parcheggiano la macchina.
In provincia di Viterbo il Mibact gestisce cinque musei (tre a pagamento e due gratuiti), 14 tra aree archeologiche e monumenti (sei a pagamento e otto gratuiti) e un circuito museale, a pagamento. In tutto il Lazio, le proprietà statali sono 92, 47 a pagamento e 45 gratis.
Nella Tuscia, i musei portano a casa complessivamente quasi 78 mila euro in un anno. Questo grazie a 76 mila visitatori in tutto. Meno di un euro a testa. Manco ‘na birretta.
Stanno messi peggio monumenti e aree archeologiche. I visitatori sono stati 251 mila. Cento undici mila non paganti. per un incasso complessivo di 717 mila euro. Meno dei parcheggi di Civita. Il circuito museale di Tarquinia frega invece tutti. Ben oltre ventisei mila spettatori. Tutti paganti e con introiti che superano i 200 mila euro.
Per quanto riguarda le visite, tra le realtà a ingresso gratuito, brilla il Santuario della Madonna della Quercia a Viterbo con 29.500 presenze. Fanalino di coda, la città romana di Volsini a Bolsena con 2.700 persone.
Tra i beni a pagamento, Villa Lante a Bagnaia batte tutti. Novanta mila biglietti e 201 mila euro in tasca. A guadagnare più di tutti è tuttavia Palazzo Farnese a Caprarola che con 71 mila visitatori (46 mila paganti) mette da parte 226 mila euro. Ultimo classificato in termini presenze, palazzo Altieri a Oriolo Romano. Tremila e ottocento anime e 5.800 di incassi. Penultimo posto per il museo nazionale etrusco Rocca Albornoz a Viterbo con 10.400 ingressi e 17 mila euro di incassi in un anno.
Infine una domanda. Perché?
Daniele Camilli