La mia iscrizione alla prima elementare avvenne a Tuscania nel lontano 1957, trent’anni dopo l’inaugurazione di quello che oggi è l’Istituto comprensivo Ridolfi.
La mia, era una classe numerosa, eravamo tutti maschi perché all’epoca le classi erano tutte maschili o tutte femminili. Ricordo che alcune scuole avevano le entrate distinte per bambini e per bambine. I maschi indossavamo un grembiule nero con colletto e fiocco bianco, le femmine avevano un grembiule bianco con fiocco blu.
L’aula con grandi finestre era molto luminosa e arredata con banchi, quelli di una volta, stravecchi, in legno, a due o più posti, scomodissimi, di dimensioni non adatte alle nostre taglie, con buchi per incastrarvi i calamai in cui intingevamo i pennini delle nostre penne a cannuccia.
Di fronte ai banchi c’era la cattedra, rialzata da una pedana sulla quale sovrastava l’insegnate. Al centro della parete alle sue spalle, erano appesi un grande crocifisso e un quadretto con la foto dell’allora presidente della Repubblica Gronchi; alla sua destra una gigantesca lavagna in ardesia.
I sussidi didattici a nostra disposizione consistevano in un alfabetiere mobile, uno sgangherato pallottoliere, un traballante mappamondo, una carta geografica dell’Italia, una lavagna, gesso e cancellino.
Non c’era riscaldamento e durante la stagione invernale si stava al freddo.
Non c’era lo scuolabus e neanche la consuetudine di essere accompagnati. Sia per l’andata che per il ritorno a casa, eravamo obbligati ad essere autonomi, dovevamo badare a noi stessi ed eravamo investiti dalla necessità di “filare dritto” e non fare marachelle.
Fu quello un anno caratterizzato da pagine e pagine di “asticelle” e “tondini”, di paginate innumerevoli di copiatura di intere pagine del nostro abbecedario, pagine di bella scrittura, dettati, numerazioni ascendenti e discendenti, filastrocche.
Eravamo tutti piuttosto irrequieti anche se intimoriti dalla bacchetta che, manovrata dal maestro, inesorabile, si abbatteva sulle teste dei distratti o sulle dita delle mani dei chiacchieroni.
Era contemplato un elenco di punizioni quanto mai vario e fantasioso che includeva sonori ceffoni all’indirizzo del malcapitato, tirate d’orecchie, dolorosi pizzicotti e, quando ti andava bene, lo stare dietro la lavagna, con la testa rivolta verso il muro. Se andava male, l’imposizione di inginocchiarsi su uno strato di ceci, di chicchi di granturco, di fagioli secchi o, peggio di sassolini.
Un’altra punizione in voga, e non certo meno indolore, era quella di ricopiare svariate volte, sul quaderno, l’errore commesso o una frase che avesse a che fare con il comportamento corretto da tenere.
Rispetto ai miei primi anni scolastici oggi siamo in una “situazione di lusso” ma passando davanti alla scuola media non si può fare a meno di non notare i numerosi fogli di carta attaccati alle finestre per riparare i ragazzi dal sole.
E’ una cosa indecorosa. Probabilmente è un “fai da te” necessario perché le finestre sono prive di sistemi di schermatura dei vetri dai raggi solari.
Non ci sono tende, veneziane o quant’altro.
Ne consegue che durante le giornate di sole il riverbero della luce provoca il surriscaldamento delle aule, ai ragazzi una eccessiva sudorazione, ma anche una probabile compromissione della vista e una scarsa concentrazione.
E’ vero che le nostre scuole medie si trovano all’interno del comprensorio della Ex Gescal dove il degrado regna ovunque, ma quanto possono costare le tende per 4-5 aule?.
E comprare anche un paio di rastrelliere per biciclette visto che quella che viene fornita è completamente distrutta?
Il regolamento d’istituto richiede agli alunni un comportamento e un abbigliamento decorosi ma anche l’istituto a sua volta dovrebbe, con l’intervento dei nostri amministratori, eliminare tutte le situazioni sconvenienti.
Regino Brachetti