“Italiane e italiani, sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo … Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari … Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi. E i superstiti presi di rabbia mi dicevano che non disponevano degli attrezzi necessari per poter salvare questi nostri congiunti, liberarli dalle macerie”.
(Sandro Pertini, discorso alla nazione dopo il terremoto in Irpinia del 1980)
Ci vollero due catastrofi come quelle dei terremoti del Friuli (1976) e dell'Irpinia (1980), per far capire alla politica che serviva un’organizzazione che si prendesse cura della terra inquieta d'Italia e dei suoi abitanti. E ci volle anche una contestazione a Sandro Pertini, il presidente più popolare di sempre, per vincere le ultime resistenze e arrivare a stabilire una chiara catena di comando nel momento dell'emergenza che vide come suo primo capo, nel 1982, Giuseppe Zamberletti, il primo ministro con delega alla Protezione civile. Un uomo che criticò la classe dirigente italiana, “sempre pronta a correre di fronte all'emergenza ma anche svelta nel dimenticarne le conseguenze”.
Era anche solito dire che: “non esistono piani di emergenza belli o brutti, ma piani che funzionano e non funzionano”.
L’obiettivo principale del Piano di emergenza comunale (PEC) è la gestione autonoma delle emergenze/calamità nelle prime 72 ore, e a seguire: la riduzione dell’esposizione al rischio della cittadinanza e dei beni presenti sul territorio, in modo tale che, al verificarsi di emergenze/calamità anche gravi, possano essere prontamente attivate dal responsabile locale di protezione civile, il sindaco, tutte le azioni finalizzate al superamento dell’emergenza.
Il PEC, di semplice consultazione, deve stabilire in modo univoco e chiaro le azioni, chi e in quale modo le deve svolgere, le strutture e i servizi che saranno coinvolti o danneggiati e quali sono le risorse umane, i mezzi e i materiali messi a disposizione dal comune per fronteggiare l’evento.
Ora vorrei mettere a confronto le risorse a nostra disposizione con quelle di un altro comune a noi vicino.
MONTEFIASCONE
TUSCANIA
In base a quanto stabilito dal nostro PEC tutte le risorse umane, i materiali e i mezzi che il nostro Comune può mettere a disposizione in caso di emergenza sono: i volontari del Gruppo di Protezione civile, quelli della C.R.I. e un automezzo Fiat Doblò.
Ora le questioni sono due:
1. Chi ha redatto il Piano lo ha fatto in modo estremamente superficiale, visto che non mi risulta che disponiamo di un solo automezzo, peraltro dato in comodato alla C.R.I. e mi sembra molto strano che il nostro Comune non dispone neanche di una pala o un piccone. Non mi risulta neanche che a Tuscania non ci siano ditte con le quali sia possibile firmare convenzioni in caso di un loro eventuale impiego di emergenza.
2. Quanto riportato nel PEC è vero e pertanto, in caso di calamità, siamo in braghe di tela.
Esiste forse una terza possibilità ed è quella che in caso di sisma potremmo organizzare la “1^ sagra della scossa”.
In questo caso non ci batterebbe nessuno, neanche Montefiascone.