Il 17 gennaio ricorre la festa di Sant’Antonio Abate e la tradizione cristiana prevede la benedizione degli animali e delle stalle, ponendoli sotto la protezione del santo. A Tuscania è stata celebrata quest’oggi con una grande festa con tanto di falò e bancarelle, sfilata della banda cittadina, delle “Coccinelle”, dei butteri, di calessi trainati da cavalli e un carro contadino con due bellissimi buoi.
C’era anche il carro del santo circondato da diversi animali della vita contadina: galli, galline, conigli, oche e una pecorella. Non ho visto però nessun maialino, l’animale che accompagna da sempre il beato.
Erano presenti oltre un centinaio di cani domestici condotti al guinzaglio da persone, famiglie e bambini. Tra questi ho riconosciuto diversi cani che trascorrono gran parte della loro esistenza sempre rinchiusi in un cortile, un balcone o una rampa di garage e uno meno fortunato sempre legato ad una catena all’interno di un sottoscala.
Davvero oggi il santo ha fatto il miracolo regalando a questi cani una “passeggiata fuori programma”. Secondo la tradizione culturale contadina la notte tra il 16 e il 17 gennaio è una notte magica, l'unica nella quale gli animali avrebbero il dono della parola. In passato i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udirli conversare era segno di cattivo auspicio.
Chi aveva animali, quella notte, li accudiva molto bene, per paura che annunciassero disgrazie o potessero lamentarsi per come venivano trattati. Se solo fosse vero, chissà quali frasi, critiche o accuse ci rivolgerebbero e cosa ci racconterebbero delle loro vite.
Se davvero i nostri amici animali in questa notte potessero parlare forse ci direbbero: "Mi fai male, sono triste, malato, o sono solo felice di vederti. Aiutami sono stato investito da un'auto. Sono sempre solo, vorrei uscire per una passeggiata e socializzare con altri simili. Mi piacerebbe correre in mezzo alla campagna, non l’ho mai fatto! Ho tanta fame, non posso mangiare sempre pane secco o pasta cruda. Ho bisogno di una cuccia per ripararmi dalla pioggia e dal freddo. Ho paura perché mi hai tolto la mamma e rinchiuso da solo in un balcone? Perché mi hai abbandonato? Perché mi uccidi per indossare la mia pelliccia?”.
O ancora i vitelli e gli agnellini al mattatoio, benedetti il giorno prima durante la festa di Sant’Antonio, che urlano “ti prego non mi uccidere!”. Se c'è tanta resistenza ad accettare le capacità emotive degli animali dipende quasi certamente dal modo in cui continuiamo a servirci di loro. Ammettere che soffrono quanto noi significherebbe poi smettere di ucciderli, maltrattarli, rinchiuderli, smettere di considerarli inferiori a noi.