Si rringrazia Enio Staccini per le foto
Nel 1400 la presenza dei francescani a Toscanella era molto importante ed erano benvoluti perché aiutavano tutta la popolazione. In quell’anno tra gli aristocratici tuscanesi c’era anche messer Loccio Marcelli, benefattore dei frati.
Francesco Giannotti nella storia di Tuscania del secolo XVI scrisse che nella zona del quinto colle detto di Giove “era la casa del quondam (fu) Ms. Loccio Marcelli dottor di legge famosissimo che, a li dì 22 de Xbre 1401 habitava in Fiorenza et credo fosse quivi officiale di quella Repubblica ….
Il qual Mes. Loccio, dopo haver fatto fabbricare in San Francesco di Toscanella una bellissima Cappella et una tavola d’altar maggiore con ferrata et altro del 1415, fece testamento in Toscanella tanto bello e con tanti legati pii che importano molte migliaia di scudi, di modo che si vien a comprendere che fosse ricchissimo et grande homo et, secondo che si vede in la detta tavola et quadro dipinto, mostra che fosse segretario apostolico al vestire, sebbene di ciò non ne trovo altro rincontro, se non che ne le scritture della comunità vien nominato sempre molto onoratamente.
”Inoltre era molto devoto della Madonna e, conoscendo bene gli ambienti artistici toscani, chiamò a Toscanella il pittore senese Andrea di Bartolo di Fredi che dipinse il bellissimo polittico di Maria con Gesù bambino, con i santi Francesco, Pietro, Paolo, Ludovico d’Angiò vescovo di Tolosa e sette quadretti con le storie della passione di Cristo e due cimase o cuspidi con San Marco e San Tommaso d’Aquino. Messer Loccio lo vediamo inginocchiato ai piedi di Maria. Questi quadri facevano parte della predella dell’altare maggiore di San Francesco.
Ora il polittico è nella Concattedrale di San Giacomo. Lo studioso Giuseppe Di Lorenzo nel 1883 scrisse: ”Alla chiesa di San Francesco e alla suddetta epoca appartengono la grande tavola dipinta a fondo d’oro conservate nella cappella di padronato del nostro Vescovo nella Chiesa Cattedrale e i sette quadretti in tavola della grandezza di centimetri quaranta quadrati, ove è effigiata la passione di nostro Signore ….
La pittura del quadro rettangolare alto metri tre sopra una base di metro uno e centimetri cinquanta non ha un concetto unico. Sono in esso otto figure né l’una ha rapporto con l’altra. Tiene il centro in alto nostra Signora assisa in maestoso seggio di porpora screziato con arabeschi in oro; volge i suoi dolcissimi sguardi al suo figliuolo dritto sulle di lei ginocchia il quale colla mano sinistra tiene stretto un uccello.
A’ suoi piedi ginocchioni in piccina statura a segno di umiltà è ritratto il committente della pittura messer Loccio toscanese vestito degli abiti di segretario apostolico colle mani giunte a modo di chi prega. Il maestoso velo azzurro cosperso di stelle dal capo di nostra Donna le scende ai piedi …. Agli angoli estremi della sommità della tavola sono i semibusti di due piccole figure.
A (sinistra) e in linea con nostra Signora è san Francesco; in alto pio e devoto mostra fra le pieghe dell’abito le stimate rosseggianti di sangue. A (destra) … (è San Ludovico d’Angiò vescovo di Tolosa con i gigli angioini ed il saio francescano) ha la mitra in capo guarnita di cinta d’oro, il pastorale nella destra mano e nella sinistra un libro; indossa un pluviale magnifico di color ceruleo asperso di gigli d’oro.
Ai lati … sono S. Pietro colle somme chiavi, S. Paolo colla spada in resta nella destra e nella sinistra ha un libro su cui è scritto “ad Romanos”. La predella del quadro era divisa in sette partimenti rappresentanti l’ultima cena, il tradimento di Giuda, l’incontro di nostra Signora col suo figlio portante la croce, la crocifissione, la deposizione, la sepoltura, la resurrezione di Gesù.
…Cristo è in mezzo agli apostoli, la bionda capigliatura gli scende sulle spalle, una tunica di color rosso copre le membra divine …. l’artista coglie il momento in cui il divino Maestro profetizza come alcuno di loro l’avrebbe tradito; onde tutti sorpresi gli apostoli con pena e tristezza si guardano l’un l’altro meravigliati e, mentre in essi si vede espresso il dubbio, il sospetto, la paura, nel volto di Giuda sono espressi i lineamenti più marcati della perfidia, sicché a buon dritto può chiamarsi il vero ritratto del tradimento. Il colore giallognolo dato alla faccia di Giuda è adoperato con molta filosofia essendo che indica un animo tanto fermo nel male che più non ne sente quella vergogna che spesso si palesa col rossore nel volto.
Né meno sorprendente per l’espressione dei caratteri, per perfezione di disegno e di colorito è la tavola in cui è ritratta la cattura di Gesù. Venuto Giuda alla testa di numerosa moltitudine di soldati armati con guardo sospettoso, con sacrilego amplesso dà il bacio al divino Maestro che lo riceve con placido e modesto contegno.
A lui vicino Pietro taglia d’un colpo di spada l’orecchio a Malco (il servo del sommo sacerdote Caifa, che accompagnò Giuda Iscariota insieme ad altri uomini quando andarono ad arrestare Gesù nel giardino del Getsemani, un piccolo oliveto) che, caduto boccone a terra versa sangue dall’aperta ferita. La scena è rischiarata da numerose faci poste in cima a pali a guisa di lumiere. Ma pieno di pietose immagini e di molteplici affetti di dolore e di tenerezza è l’incontro di nostra Donna col suo figliuolo Gesù che, grave del peso della Croce, circondato da soldati e da ebrei truci e terribili nell’aspetto, si avvia al Calvario.
Egli volge il guardo alla diletta sua madre che, vinta dal dolore nell’avvicinarsi a lui, è barbaramente respinta indietro insieme alle divote donne da un crudele soldato che, con grande impeto collo scudo in braccio, si scaglia contro l’addolorata Signora. Dà magnifico risalto alla bella pittura la vista di vasta campagna e la città di Gerusalemme che, con vaga prospettiva, si presenta maestosa nella sua porta, nelle alte torri, nelle grandiose sue mura. Il quadro della crocifissione esprime nostro Signore già morto. Presso la croce è S. Giovanni che, fisso lo sguardo sul diletto Maestro, con le mani incrocicchiate dinnanzi al petto, si scioglie in dirotto pianto.
Dietro a lui nostra Signora svenuta per l’immenso dolore è tratta in disparte e sorretta dalle braccia delle piangenti Marie, fra le quali la Maddalena colle chiome sparse, levate alto le mani in segno di smisurato dolore, piange la morte del suo Gesù. A sinistra della croce i soldati romani si vanno allontanando e Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo ed latri discepoli del Cristo ragionano presso la croce fra loro, forse per deporre il corpo di Gesù. Tra le altre cose notabili ancora che vi sono è Longino (il soldato romano che trafisse con la propria lancia Gesù crocifisso per accertare che fosse morto) a sinistra della croce che guarda il crocifisso Signore.
Si conosce in lui l’empietà nell’avere aperto il costato di Gesù e la penitenza e la conversione nel trovarsi alluminato. La tavola della deposizione si distingue per vivacità d’invenzione, per perfezione di scorci, per soavissimi e tenerissimi affetti che vivi sono espressi nelle figure con perfetta unità di soggetto. Giuseppe d’Arimatea, schiodate le mani di Cristo, discende per i gradini della scala appoggiato alla croce; sorreggendo sulle ginocchia il cadavere di Gesù lascia cadere pendente il braccio destro che, presolo nostra Signora con ambo le mani, amorosamente con gran dolore ed affetto stringe al suo viso e imprime in esso teneri baci.
La Maddalena genuflessa colle mani sorregge i piedi di Gesù grondanti sangue che lascia scorrere sopra una ciocca dei suoi capelli, mentre un pietoso colla tenaglia estrae i chiodi che li trafissero. Il diletto discepolo sostiene con ambo le mani le ginocchia di Gesù e, piangendo, le stringe affettuosamente al suo petto. A piè d’una stagliata roccia, in aperta campagna, si vede il sepolcro di Cristo.
Quivi, riverentemente allocato il di lui cadavere, la nostra Donna, con tenero slancio ripiegatasi sul di lui volto, gli dà l’estremo bacio, mentre una Maria bacia la mano sinistra e la Maddalena, levate alto le braccia con grande dolore, vede chiudersi la tomba del suo Gesù. Nell’ultimo quadretto è ritratta la resurrezione. Scoperchiata la tomba Cristo, per propria virtù, risorge alto levando colla destra una bandiera con l’insegna trionfatrice della croce, mentre i soldati che erano a guardia del sepolcro, atterriti dall’improvviso terremoto, stanno qua e là prostrati a terra in vari atteggiamenti.”
Oltre che a Tuscania Andrea di Bartolo dipinse altri capolavori in Toscana a Montalcino, Buonconvento e Siena, in Dalmazia a Zara, in Veneto a Venezia e Treviso, nelle Marche a Fano ed in Lombardia a Milano.