9. Tuscania torna alla Chiesa - Toscanella - Storia di Tuscania

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9. Tuscania torna alla Chiesa

La sottomissione al Campidoglio

9. TUSCANIA RITORNA, PER BREVE TEMPO, ALL’AUTORITÀ DELLA CHIESA: IL VESCOVO ANGELO TIGNOSI (1323).

Dopo la pace del 1319 tra Tuscania ed Orvieto, seguì un biennio di scorrerie nel Patrimonio. Guittuccio era sempre inferocito verso gli Orvietani e trascinava contro di loro i ghibellini Tuscanesi, che, però, alla fine preferirono dissociare le loro azioni da quelle di Guittuccio, riappacificandosi con Orvieto.

Giovanni XXII da Avignone faceva quello che poteva: scriveva continuamente a tutti (un paio di lettere anche ai Tuscanesi), per stimolarli a tornare alla fedeltà alla Chiesa. Guitto Farnese, contrariamente alle previsioni, si rivelò incapace a ricoprire la carica di rettore, per cui venne affiancato dal Vescovo di Viterbo e Tuscania, Angelo Tignosi.
Il Papa incitava continuamente quest’ultimo, lo elogiava al più piccolo successo, ma, nei primi tempi, anche il Tignosi non riusciva a combinare molto; poi, grazie alla sua tenace volontà, ottenne discreti risultati.

Nei riguardi di Tuscania, il suo paziente lavoro diplomatico ottenne il successo desiderato. Egli riuscì a trovare un punto d’incontro, nel luglio 1323, con i "cinque priori" del Comune[2] e con il podestà, anzi con il suo "vicario", perché il podestà, Giovanni Papa da Roma, era in quel momento assente.

Con il ritorno di Tuscania alla Chiesa, il vescovo Tignosi riuscì anche a rientrare in possesso dei suoi beni, che costituivano la massa della "Mensa Vescovile".
E poiché nessuno ormai era più in grado di individuare quali fossero i beni della "Mensa", essendo trascorso troppo tempo da quando erano stati usurpati, il Comune offrì al vescovo tutto il territorio fuori le mura, compreso tra il Riuscello-Riofecciaro ed il fiume Marta nonché l’usufrutto quinquennale del castello di Acquabona (o castel Grezzo, come già allora si chiamava).

Anche Papa Giovanni XXII, il mese dopo, da Avignone scrisse ai Tuscanesi con accenti benevoli, considerandoli ormai tornati definitivamente alla Chiesa.

Essi gli risposero, inviando un "memorandum" con cui richiedevano il ripristino dei privilegi di giurisdizione civile, penale e amministrativa (il "merum et mixtum imperium"); l’esenzione dal pagamento (alla Camera Apostolica) dell’imposta sull’erbatico, da trattenere nelle casse comunali per utilizzarlo nella riparazione della cerchia muraria cittadina; invocavano severi provvedimenti contro Guittuccio, che, dopo la rottura coi Tuscanesi, pretendeva il pagamento del pedaggio sulle merci che attraversavano Montebello; chiedevano che la diocesi di Tuscania riacquistasse il suo splendore, divenendo autonoma da Viterbo, con un proprio vescovo, e pregavano il Papa di nominarne subito uno, in modo da evitare anzitutto gli scandali e gli attriti interminabili fra il clero delle due diocesi; si lamentavano, infine, circa la tassa pretesa dal clero tuscanesi nei confronti dell’Ospedale di S. Maria della Rosa, troppo gravosa per la povera gente sulla quale finiva per gravare.

Non conosciamo l’eco di tale "memorandum", ma certamente non produsse molte novità di rilievo.

Chi invece si agitava, era l’esercito inviato dal Campidoglio per recuperare nuovamente Tuscania. Vane furono le lettere di Giovanni XXII, piuttosto dure verso i senatori capitolini, molto affettuose verso i Tuscanesi, con esortazioni a non ricadere sotto il dominio capitolino.

Verso la fine del 1325, i Romani avevano nuovamente sottomesso Tuscania.

[2] In sostituzione dei Tre Anteposti, a Tuscania era stato istituito un Priorato composto da cinque Priori.


 
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