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TUSCANIA ATTRAVERSO I SECOLI
di Giuseppe Giontella
IL PERIODO ETRUSCO (VIII -
La «Scienza del Territorio» inserisce Tuscania nei percorsi di crinale tracciati dall'uomo primitivo in epoca preistorica. Tale scienza ipotizza un percorso di crinale da Monte Albano (Firenze) a Ponte Milvio (Roma) aperto dall'uomo preistorico durante il ciclo originario, essenzialmente nomadico e silvo-
Campagne di scavo, relative alla preistoria ed alla protostoria, sono iniziate soltanto in questi ultimi anni. Per il passato abbiamo dei rinvenimenti sporadici, come quelli effettuati dai giovani del G.A.R., che portarono alla luce reperti paleolitici (punte di frecce, raschiatoi), durante la ripulitura della necropoli delle Scalette. Nelle estati 1986, 1987, 1988, 1989 e 1990, la «British School at Rome» ha condotto ricognizioni sul territorio di Tuscania.
Quasi dappertutto è stato rinvenuto materiale litico preistorico. Un sicuro insediamento (in contrada Pantacciano) è databile fra l'Età del Rame ed il Bronzo Antico (III millennio -
Sembrerebbe che verso la fine dell'Età del Bronzo e durante il periodo Villanoviano (900-Lungo il corso, del VII sec. a.C. costituiscono una nota dominante le «tombe ogivali a fenditura superiore» (studiate da A. Akerstrom nel 1934 come tipiche dell'area tarquiniese). Nel descrivere tali tombe, la Quilici Gigli ne individua due tipi: uno a soffitto «ogivale» ed uno a soffitto «spioventi» (fig. 1); questo secondo tipo, a suo dire, sembrerebbe esclusivo di Tuscania. Il Colonna osserva che, data la notevole presenza in Tuscania delle «tombe ogivali a fenditura
superiore» (fig. 2) (si possono visitare nelle necropoli di Ara del Tufo, delle Scalette, di Sasso Pizzuto, ecc.), sono facilmente deducibili «dei contatti con la grande metropoli costiera» di Tarquinia. A questo proposito, anche la Sgubini Moretti parla di «una fase iniziale di influenza tarquiniese» nei confronti di Tuscania.
Nell'Orientalizzante Recente (630-
L'importanza di Tuscania è rilevabile anche dalle numerose necropoli, che circondano letteralmente l'aggregato urbano ubicato sul colle di S. Pietro: esse sono dislocate lungo le direttrici viarie, che, uscendo a raggiera, conducono verso i centri limitrofi. Così abbiamo:
I. lungo la via per Tarquinia:
1. Carcarello VI sec. a.C. -
2. Madonna dell'Olivo V-
3. Ara del Tufo VII-
4. San Giusto VII-
5. Solfarate II sec. a.C.
II. lungo la via per Norchia (futura via Clodia):
6. Sasso Pizzuto VII-
7. Piantata IV-
8. San Lazzaro VII-
9. Doganelle IV-
III. lungo la via per Ferento:
10. Le Scalette VII-
11. Sughereto (Fioritella) III-
IV. lungo la via per Marta:
12. Pian di Mola VII -
V. lungo la via per Bisenzo:
13. La Peschiera VII-
14. La Castelluzza VI-
15. Le Ristrette III-
VI. lungo la via per Vulci:
16. Rosavecchia III-
VII. tra la via tarquiniese e la via vulcente:
17. Valvidone VII-
raggiunta già allora dalla sua necropoli, superiore a quella di qualsiasi altro centro dell'Etruria meridionale interna, Bisenzio compresa, e non di molto inferiore a quella delle altre città costiere». Anche Pallottino precisa come Tuscania, in epoca Arcaica, sia un «centro primario del retroterra tarquiniese, le cui necropoli rivelano un fiorente sviluppo» e più che con Tarquinia vanno confrontate con Caere. Le tombe a tumulo con tamburo circolare (fig. 3) della necropoli dell'Ara del Tufo «appaiono inconfondibilmente simili a coevi monumenti ceriti di cui ripetono, nell' assetto e organizzazione degli interni, le soluzioni e le decorazioni architettoniche» (Sgubini Moretti). Tale influsso, percepibile anche nei materiali di corredo delle tombe, si spiega con la posizione di Tuscania in una zona di transito.
«Nuovo in particolare è il concetto di una dipendenza economica da Caere, pur limitata all' epoca arcaica puntualizza il Colonna -Naturalmente Tuscania risente dell'influsso tarquiniese (planimetrie di tombe, uso del columen in negativo, finta porta nella parete di fondo di una tomba, ecc.) (fig. 4); così pure recepisce i caratteri culturali di Vulci, attestati dalla presenza di ceramiche etrusco-
Un altro aspetto da puntualizzare, per il VI sec. a.C., è l'inserimento di Tuscania tra i centri delle necropoli rupestri, tipici dell'Etruria meridionale interna. Le necropoli rupestri tuscanesi sono ubicate lungo i fiumi Marta e Maschiolo; tra queste ve ne sono alcune «a facciata rupestre»: non si tratta di tombe normali; «sono tombe scrive il Colonna -Tipiche di tali necropoli sono le «tombe a dado», la 'cui formazione si è avuta a Caere nel VII secolo; «le necropoli del Biedano costituiscono, com'è noto, il tramite per cui il tipo della tomba a dado ceretana si è propagato verso il nord» (Colonna), cioè verso Tuscania, fino ad Orvieto, «dove troviamo un intero sepolcreto, quello del Crocefisso del Tufo, pianificato nella seconda metà del VI secolo sulla base di questo tipo di edificio funerario» (Colonna). I due esempi di «tomba a
dado» tuscanesi più importanti sono quella della necropoli della Peschiera (fig. 5) e quella, con portico tetrastilo, della necropoli di Pian di Mola (fig. 6); di fianco a quest'ultima stanno venendo alla luce altre due tombe a dado e, forse, ne verranno scoperte ancora lungo le pendici della valle del Maschiolo.
Prima di chiudere il discorso sul VI secolo, dobbiamo dedicare due parole ai numerosi frammenti di terrecotte architettoniche rinvenute nella necropoli dell' Ara del Tufo (lastre, sime, antefisse, parti di acroterio, di tegole di gronda dipinte): sembra che «debbano essere necessariamente riferite ad uno o più edifici»; i frammenti recuperati sono «quelli canonici nelle coperture di edifici, ma ove questi fossero ubicati e quali siano state le funzioni cui assolsero, sarebbero ipotesi a dir poco imprudenti»; se questi reperti possono riferirsi a dei sacelli (tenendo conto anche della varietà dei tipi architettonici attestati), ne deriva «in modo inoppugnabile un'intensa attività di maestranze specializzate operanti in loco, con riflessi facilmente ipotizzabili anche sullo sviluppo dell' antico centro urbano» (Sgubini Moretti), sul colle di S. Pietro, dove, in uno scavo del 1982, venne trovato un frammento di terracotta architettonica. La maggior parte delle terrecotte recuperate presso la necropoli dell’Ara del Tufo appare «in buono stato di conservazione talora mantenendo cospicue tracce dell'originaria policromia. Il rilievo inoltre appare così fresco da far pensare che il periodo di utilizzazione (e quindi di esposizione alle intemperie) sia stato relativamente limitato. Si ha nel complesso l'impressione di essere di fronte ad un vero e proprio smantellamento di uno o più 'edifici, dovuto a cause per ora ignote» (Sgubini Moretti) (lt fig. 7). Alla fine del VI sec. a.C. «o poco dopo, dovette aver luogo la dispersione dei frammenti architettonici (...). Sembra di essere di fronte ad una nuova ed imponente testimonianza di quel noto, drammatico processo storico vissuto alla fine del VI sec. a.C. dai centri dell'Etruria meridionale interna» (Sgubini Moretti).
Tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. il Colonna ritiene che le città costiere dell'Etruria meridionale (e quelle della Valle tiberina) inizino «ad esercitare un controllo più intenso del retroterra, mirino alla costituzione di piccoli stati territoriali, al posto delle precedenti, politicamente blande, sfere d'influenza. Siamo nell'età di Porsenna e della sua avventurosa politica espansionistica nella valle del Tevere» (Colonna). Tarquinia si espande lungo la valle del fiume Marta, verso Tuscania, fino a Bisenzo e al lago di Bolsena: si nota un impoverimento di Tuscania, che subisce una stasi. La battaglia di Cuma (474 a.C.) segna la fine del dominio nel Tirreno. È possibile ipotizzare che, nel V sec. a.C., i Tuscanesi partecipino alle vicende di cui i Tarquiniesi sono protagonisti, come le imprese di Velthur Spurinna o la costituzione definitiva della Confederazione dei 12 (poi 15) Stati etruschi. La sottomissione del territorio di Tuscania da parte della potente Tarquinia può aver verificato l'improvviso smantellamento degli edifici situati nella necropoli dell' Ara del Tufo, rilevato dalla Sgubini Moretti.
Con l'inizio del IV sec. a.C. riemergono a Tuscania nuovi fermenti di vita. L'importanza della valle del Biedano e dell' Alta VaI Mignone viene meno (solo San Giuliano conserva una certa vitalità, che non va oltre il 111 sec. a.C.); ora «il baricentro dell'area si è manifestatamente spostato nel triangolo Tuscania-Dalla metà del IV sec. a.C. si diffonde nell'architettura funeraria la tomba a camera unica con banchine e sarcofagi in pietra locale. Di solito si afferma che i sarcofagi di nenfro trovati nelle necropoli tuscanesi siano importati da Tarquinia. Il Moretti e la Sgubini Moretti, por non negando questa possibilità, affermano che «non sembra neppure doversi escludere che essi possano essere opera di maestranze tarquiniesi itineranti, che operavano su commissione». Questa ipotesi è avvalorata dal fatto che i sarcofagi tuscanesi di nenfro sono numerosissimi e presentano «precise scelte di soggetti ornamentali; inoltre la decorazione del sarcofago effettuata in funzione della sua ubicazione all'interno del sepolcro testimonia la necessaria presenza dell'artigiano a Tuscania». Quanto supposto non sembra contrastare, peraltro, con le testimonianze offerteci nella stessa Tuscania da altre sculture già note, quali la famosa «Lasa» (della tomba dei Vipinana nella necropoli del Carcarello) o il «Leone» (della tomba dei Nevznas nella necropoli di Valvidone),
entrambi al museo Archeologico di Firenze; questi, con altri monumenti rinvenuti nell'area della necropoli di Madonna dell'Olivo, potrebbero documentare una fiorente attività di artigiani operanti in loco ed impegnati anche nella decorazione dei sepolcri (fig. 8).
Un discorso a parte meriterebbero (data l'abbondanza di reperti) le tombe della famiglia Curunas (fig. 9) (il cui capostipite Vel Curunas è vissuto poco dopo la metà del IV sec. a.C.) e della famiglia Vipinana (il cui capostipite Sethre Vipinana è un po' più giovane di Vel Curunas). Altre famiglie di questo periodo, i Nevznas e gli Hermelu, sono scarsamente documentate.
Intorno al 320 a.C. l'egemonia sulla «Lega etrusca» passa da Tarquinia a Volsinii o a Perugia, e la città costiera perde ormai la sua potenza. Dopo la guerra di Roma contro l'Etruria (312-come contraccolpo al più duro impatto della politica romana nella regione», sostiene Colonna; il quale ritiene che la fuga dalla città verso la campagna (da Tarquinia verso Tuscania, nel nostro caso) «sia un fatto in un certo senso promosso, sollecitato da Roma», perché Roma», perché Roma teme le grandi città e ritiene più opportuno che l'aristocrazia risieda nelle campagne anziché nei centri urbani; gli aristocratici, lontani dalle beghe politiche della città, possono così condurre una vita anonima, ma economicamente agiata: questo benessere «credo che sia -
magistrature di «eisnev» (sacerdote), «eprthne»(pritano, cioè il più alto grado nel Collegio degli Zilath), «macstre» (magister: carica amministrativa e militare), nonché le cariche di «eznchval» (?) e di «tamera zelarvenas»(cioè duovir del Collegio dei Tamia: un collegio di due membri con carattere pubblico o sacrale; ai due titolari del collegio spettava il titolo di «tamera»).
Dal sarcofago di Vel figlio di Larth Atna (111 sec. a.C.) risulta che costui, oltre a «zil maruchva», è stato anche «cepta», carica ricollegabile al titolo sacerdotale «cepen». Quanto alla possibilità di esercitare più volte una medesima magistratura, la risposta è affermativa: Velthur figlio di Velthur Vipinana ha ricoperto la carica di zilath di Tuscania per ben undici volte (primi decenni del 111 sec. a.C.) (fig. 11). Nel corso di questo secolo conosciamo numerose famiglie gentilizie: i Flenchrinas, i Velisina (Velisna), i Ceise, gli Uple, i Treptie e gli Ancna.