Nel 1560 il cardinale visitò il santuario della Madonna della Quercia con San Filippo Neri e vi si trattenne “con molta soddisfazione del suo spirito”. Nel concilio di Trento, terminato nel 1563, il tuscanese Girolamo Maccabei vescovo di Castro partecipò alle varie sessioni insieme a Carlo Borromeo, vescovo di Milano, e poi ebbe con lui una continua corrispondenza epistolare. San Carlo ebbe molte corrispondenze anche col vescovo di Toscanella e Viterbo il cardinale Giovanni Francesco Gambara e fu a Bagnaia nel 1580 e nel 1582.
Il vescovo riformatore di Milano riteneva troppo lussuosa la villa e la residenza del Gambara e glielo disse apertamente. Carlo Borromeo era il modello dei cardinali per il suo zelo e nel mese di gennaio 1580 scrisse proprio al Gambara : ”Son arrivato questa sera a San Lorenzo e, sebbene per l’errore che si è preso nel viaggio da chi ci guida, io non ho potuto gustare quella devozione di Santa Maria della Quercia come desideravo, ho però visto e goduto il luogo di Vostra Signoria Illustrissima di Bagnaia, et ivi le molte cortesie dei suoi, come ho anche visto con questa occasione così di transito Caprarola del Signor Cardinal Farnese (Alessandro il giovane), dove, avendo considerato nell’uno e nell’altro luogo le grossissime spese fatteli un uno d’essi e gli apparecchi e distinzioni di luoghi per tener colombi, galline, pesci, capri, daini et altre sorti di uccelli e selvaticine, sono restato con qualche meraviglia che, fra tante comodità di animali, io non ho ancor visto che vi sia stato fatto o deputato luogo alcuno per raccogliere e ricapitare quei poveri cattolici Ungari, Boemi e Fiamminghi specialmente ,che capitano nelle parti nostre, cacciati dalle case loro empiamente dagli nemici di Santa Chiesa. Il che ho voluto dir a Vostra Signoria Illustrissima perché se ne ricordi nel pensiero che mi hanno detto giù, che ella ha di accrescere quelle sue delizie e farvi nuove fontane e nuove fabbriche e altre spese; e perché anche lo metta in considerazione al Signor Cardinal Farnese al quale, in speciale, è stata raccomandata la protezione di alcune di quelle miserabili nazioni, se forse, conforme a quello che ragionammo per via di Civitavecchia, risolvesse a supplire a questo difetto delle nuove fabbriche di Caprarola, introducendo e ricapitando con ogni carità questi poveri forastieri.”
La fama e la venerazione di San Carlo Borromeo si diffuse in tutta Italia ed anche a Toscanella, dal 1620, si ammira un quadro del santo che, prima, era nella chiesa di Santa Maria della Rosa ed ora è nella Concattedrale di San Giacomo Maggiore Apostolo. Fu dipinto dall’artista fiorentino Andrea Commodi e raffigura il santo che prega per la cessazione della peste con tratti molto verosimili. In Roma il Commodi aveva avuto continui rapporti con i pittori fiamminghi.
Nell’atteggiamento di San Carlo si nota un sentimento solenne, drammatico e pieno di emozione e sofferenza. Vi è un’attenta e minuziosa descrizione dei particolari. Il santo contempla un angelo che ripone nel fodero la spada insanguinata per indicare la fine della terribile peste del 1576 che colpì Trento, Verona, Mantova , Milano, Monza e Palermo. Allora l’arcivescovo s’impegnò nell’assistenza dei malati, con le preghiere, con l’approvvigionamento dei viveri, con l’organizzazione dei servizi sanitari, con gli ospedali e con il seppellimento dei morti. La peste cessò nel luglio del 1577.
Per curare gli ammalati chiamò anche un luminare della scienza medica dell’epoca: Ludovico Settala che si prodigò molto. Nel quadro il santo è in abito cardinalizio, reca al collo la corda della penitenza e prega davanti alla croce. E’ il compendio dell’uomo devoto e caritatevole: il naso è pronunciato ed il pallore del volto ha un colore mortale: realismo e spiritualità!
Anche nel 1623 i Canonici della cattedrale di Toscanella si dettero da fare onde poter ammirare e venerare, anche in questa chiesa, il lavoro di un artista molto ricercato: Alessandro Turchi da Verona. Il suo quadro (numero 2) nel secondo altare della navata sinistra raffigura la Santa Madre di Gesù con i Santi Carlo Borromeo, Nicola da Bari e Lucia. Lo stile è eccellente e classicista. L’artista, detto l’Orbetto, dopo aver affrescato la Sala regia del palazzo del Quirinale, si era inserito stabilmente nel mondo culturale ed artistico di Roma. Dipinse a Toscanella questo quadro veramente interessante con la Madonna seduta sulla casa di Nazareth portata in volo dagli Angeli. Il culto della Signora di Loreto era collegato alle Anime del Purgatorio ed all’attenzione per gli ammalati. E’ chiamata anche della Sanità. Si nota nei colori molto profondi e nei chiaroscuri caravaggeschi il drappo d’onore retto dagli Angeli, San Carlo ascetico, Santa Lucia , martirizzata a Siracusa nel IV secolo sotto l’imperatore Diocleziano, che, con molto sentimento, porge la tazza con gli occhi, secondo la leggenda dell’accecamento, San Nicola, col mantello vescovile, che tiene su un cuscino le tre sfere d’oro che donò a tre ragazze per salvarle dal disonore. Le foto numeri 1 e 2 sono state concesse da Vincenzo Valentini dal libro “Tuscania, patrimonio d’arte “ Edizioni Penne e Papiri .
Anche in un affresco nell’altare degli allevatori transumanti e degli affidati di Visso e di Norcia nella chiesa di Santa Maria del Riposo è raffigurato San Carlo, molto venerato dalle popolazioni dell’Appennino. Un altro quadro del santo, di scuola lombarda della fine del 1600, si trova in Tuscania nel palazzo di Cesare Pocci ed è di proprietà della moglie Maria Lodovica Borromeo figlia di Gian Vico , discendente di Renato, fratello del cardinale Federico, i cugini di San Carlo.
Castello Borromeo
Renato era il marito di Ersilia Farnese, figlia di Ottavio, duca di Parma, Piacenza e Castro. I nonni di Ersilia , Pierluigi Farnese e Girolama Orsini avevano un palazzo nel terziere di Poggio Fiorentino a Toscanella. In questo dipinto il santo raccomanda il popolo cristiano alla Vergine Madre di Gesù. A Montalto di Castro San Carlo è il patrono dei volontari della Misericordia. A Capodimonte vi è la chiesa di San Carlo del 1616 con le tele : “San Carlo ed i confratelli in adorazione della croce” del 1640 e “ San Carlo in preghiera di fronte alla Pietà” sempre del 1640.
A Viterbo dal 1636 la chiesa di San Nicola fu intitolata a San Carlo come anche a Bagnaia, nel 1670, la chiesa di San Sebastiano cambiò nome in San Carlo in cui si ammira un’altra tela del santo. A Celleno nel 1625 fu intitolata un’altra chiesa al santo.
Mauro Loreti