TUSCANIA ATTRAVERSO I SECOLI
IL PERIODO ROMANO (III sec. a.C. - V sec. d.C.)
Quando Tarquinia perde ogni controllo sul territorio, quasi subito è Roma a subentrare al suo posto nell'Etruria meridionale. Nessuno storico antico ci narra quando Tuscania sia stata sottomessa da Roma: forse ciò avviene, intorno al 280 a.C., in modo pacifico. Il Colonna osserva come i centri più ricchi di tombe rupestri (fra questi Tuscania) si trovino nelle immediate vicinanze dell' Ager Romanus, confiscato da Roma alle città dell'Etruria meridionale: queste vaste zone agricole finiscono, poi, per essere sfruttate dalla nobiltà dei piccoli centri etruschi con il consenso di Roma; «in fondo era questo un modo per ricompensare il ceto nobiliare per illealismo sempre dimostrato verso Roma». Come controprova di questo, il Colonna ritiene che l'apertura della via Clodia (225 oppure 183 a.C.) sia il risultato di una concessione benevola di Roma verso la nobiltà etrusca a lei favorevole. La via Clodia «è una strada ben diversa dall' Aurelia e dalla Cassia, in quanto non porta verso il nord, ma, anche se il suo obbiettivo finale è il territorio delle due prefetture vulcenti (Saturnia e Statonia), serve a collegare pazientemente tra loro e con Roma le città dell'Etruria interna: Blera, Norchia, Tuscania, Castro, Sovana. L'apertura di questa strada (...) significa il riconoscimento del ruolo politico assolto dalle aristocrazie locali nei confronti di Roma, e - conclude il Colonna - quasi un premio per il loro lealismo» (fig. 12).
Fin dagli inizi del III e durante il II sec. a.C., si sviluppa a Tuscania una fabbrica di sarcofagi in terracotta, lavorati a parti staccate e successivamente ricomposte; «le teste ottenute a stampo, sono poi ritoccate e vivificate con un' ampia lavorazione a stecca» (Bianchi Bandinelli - Giuliano).
La nascita della fabbrica tuscanese dei sarcofagi in cotto è la conseguenza del declino e dello scadimento dei sarcofagi tarquiniesi: la produzione fittile di Tuscania si rivela «atta a soddisfare una piccola classe dirigente locale ansiosa di conservare un' autonomia, conquistata prima di fatto e poi - dopo il 90 a.C. - di diritto e di esibire il proprio rango con questi prodotti provinciali, nei quali il ritratto espressivo e popolaresco, costituisce l'unica nota di interesse» (Torelli). Esempi molto conosciuti di questa produzione sono il sarcofago fittile proveniente dalla tomba degli Statlane (fig. 13) (ora al Museo Archeologico di Firenze, inv. n. 77639: giovane recumbente a banchetto), il sarcofago della «Suocera» (MuSeo Nazionale Tuscanese) (fig. 14) e l'urnetta con Adone morente (Museo Etrusco Gregoriano) (fig. 15). Tra gli Statlane, ricordo Larth figlio di Vel Statlane, che morì a 36 anni dopo aver esercitato la carica di «Sacerdote del collegio di Bacco (Pacha) e del dio Sole (Catha»> (CIE 5720): è interessante notare come il culto di Bacco, verso la prima metà del n sec. a.C. diviene quasi una società segreta e maschera una certa eversione contro Roma. Nel 186 a.C. viene emanato un senatoconsulto per abolire i Baccanali. Il culto di Bacco, però, può eccezionalmente essere ammesso, «grazie anche al legame che ha con la divinità femminile Catha» (Cristofani Martelli).
Oltre agli Statlane conosciamo i nomi gentilizi di numerose famiglie del n sec. a.C.: i Rufre, i Nerina, gli Hintiu, i Petru, i Puplina, i Ceisina, i Vipe, i Cae, i Sisinia. La documentazione più ricca riguarda gli Statlane (della quale tratterà certamente Marina Cristofani Martelli nella sua imminente pubblicazione «Le tombe di Tuscania nel Museo Archeologico di Firenze», che sarà edita per i tipi di OlschKi).
Conosciamo anche qualche nome delle famiglie che vivevano nei maggiori centri del territorio tuscanese, come i Ceisu a Roccarespàmpani; gli Heiri e i Thuethlies a Collina d'Arcione; i Satna e i Pelies ad Arlena; gli Arinas, i Pepna, i Ceisu, gli Apuna, i Ritna, i Cales alla Cipollara.La Guerra Sociale (90-88 a.C.) segna la fine del mondo etrusco e la sua completa romanizzazione: Tuscania viene inclusa nella Tribù Stellatina (come tutto il territorio ex-tarquiniese) ed è elevata al rango di municipio. Alcune epigrafi, conservate presso il Museo Nazionale, ci permettono di conoscere i nomi di individui che hanno esercitato la magistratura di quattuorvir iure dicundo, la massima autorità del municipio: Sesto ScanziOo(fig. 16), Lucio Numisio, Lucio Scribonio Restituto e Caio Vetilio, che per ben cinque volte ha rivestito tale carica. La magistratura di Triumvir Quinquennalis (Censore) non è chiaramente documentata: forse si può intuire dall' epigrafe funeraria di Lucio Numisio (CIL 2958), che sembrerebbe sia stato designato ad esercitarla, se alle parole QUINQUENNALI DESIGNATO si sottintende il termine TRIUMVIRO.
Del Collegio dei Decurioni, il «Senato» locale, è stato membro Caio Copone Crescente (CIL 2956). Anche ,.
in epoca romana, continuano a sopravvivere le cariche sacerdotali: troviamo così Lucio Emilio figlio di Lucio Festo, che ha esercitato la carica di «Aruspice Decuriale» (CIL 2955).
Dopo la conquista romana gli aristocratici etruschi si comportano da conservatori. «l pochi personaggi sicuramente conosciuti di quest'epoca (88-44 a.C.) ostentano posizioni conservatrici dal volterrano Caecina, acceso filopompeiano, a Tanusio Gemini forse di Chiusi, con l'accusa a Cesare di partecipazione alla congiura «monarchica» del 66-65 a.C., a Silicio Corona di Tuscania, solo giurato a votare per l'assoluzione» (Torelli) degli uccisori di Cesare: Silicio Corona appartiene all'antica famiglia Curunas, che non solo domina in Tuscania ancora nel I sec. a.C., ma riesce anche ad inserire qualche suo membro negli ambienti politici di Roma, grazie al conseguimento della cittadinanza romana. «La pace augustea (...) è il grande momento per i residui campioni dell' oligarchia etrusca. Il senato di Roma tra Augusto e Nerone riceve questo pugno di famiglie, premiate via via con il consolato. Volterra, Perugia, Tuscania, Ferento e Tarquinia forniscono solo senatori di origine etrusca: di moltissimi di costoro conosciamo le tombe avite, che risalgono ora al IV (come quelle dei Curunas), ora al III, ora al II sec. a.C.» (Torelli).
Due parole, infine, sulle origini del nome «Tuscania». Il nome etrusco della città è sconosciuto. Il nome latino, TUSCANA, è citato per la prima volta da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, III, 5, 52); o meglio, egli non nomina la città, ma i suoi abitanti, i TUSCANIENSES, con una grafia errata, perché tutte le successive iscrizioni I riportano la forma corretta TUSCANENSES.
E esatta, ad esempio, la forma in genitivo TUSCANENSIUM di CIL 2956. Il Colonna spiega che l'errato TUSCANIENSES possa essersi prodotto per analogia con TARQUINIENSES. Il nome TUSCANA è attestato solo nel 143 d.c., in un elenco di soldati, tra i quali compare appunto un tuscanese, Caio Claudio Menodoto. Nel Basso Impero non abbiamo altra documentazione del nome: per ritrovarlo bisogna giungere alla Tabula Peutingeriana e all' Anonimo Ravennate (IV, 36).