Eugenio Battisti , storico dell’arte, nel 1951 scrisse: “Può essere utile talora proporre problemi prima ancora di poterne additare una precisa soluzione, specie quando ciò costituisce un invito alla collaborazione nella ricerca e un appello alla tutela di un’insigne opera d’arte, altrimenti condannata in breve volger di tempo all’annientamento. E’ questo il caso della veneranda abbazia di San Giusto, presso Tuscania, la cittadina laziale ben nota ai medievalisti per l’ancor problematica basilica di San Pietro. Si tratta di un vastissimo complesso di edifici: chiesa, chiostro, officine e foresteria, sorgente lungo il Marta, l’emissario del lago di Bolsena, a cinque chilometri (da Tuscania) sull’antica strada che portava a Corneto Tarquinia.
La posizione doveva essere strategica , nella umida conca percorsa dal fiume , per sorvegliare l’accesso dal mare all’alto Lazio. Questa è forse la ragione delle sue alternative di sviluppo e di decadenza, conclusesi con l’abbandono nel 1460 e la progressiva trasformazione in rustici e stalle.
“Dalle cronologie antiche” si ha notizia dell’adozione da parte dell’abbazia di Fontevivo (Parma)della veneranda abbazia di San Giusto … e dell’invio ad essa di un gruppo di monaci il data 26 luglio 1146. Però già anteriormente S. Giusto aveva avuto lunghe vicende. E’ quasi certa la sua origine benedettina … è probabile anche che passasse ben presto ai Cistercensi, in occasione della riforma promossa da Ottone il Grande ( re di Germania, re d’Italia e Imperatore del Sacro Romano Impero): nello stesso Tuscanese , secondo un documento esistente a Cluny (Borgogna), un convento dedicato a San Savino passò al nuovo ordine nel 969. Data che potrebbe valere anche per S. Giusto.
… A questi periodi si possono riferire i resti della parte più antica della chiesa, consistente in una unica navata, illuminata da finestrelle ora chiuse, non troppo strette, un tempo evidentemente coperta con tetto a capriate in vista, con una muratura assai rozza … opera di maestranze locali. Mancano in questo corpo decorazioni e ornati, ed anche non è più verificabile l’eventuale strombatura delle finestrelle. Inoltre il pavimento è coperto oggi da almeno un metro di letame. Notevole però l’ampiezza della nave, che poté essere conservata al culto nei rifacimenti posteriori. … Probabilmente accanto alla chiesa esisteva fin dall’X I secolo una costruzione conventuale. Che una colonia di monaci sia stata inviata dal nord dell’Italia, non può far stupire, qualora si pensi che Tuscania faceva parte dei territori della contessa Matilde. … I vari ampliamenti dell’Abbazia di S. Giusto, nonostante le loro diversità stilistiche,sono da collocarsi nei decenni successivi al 1146. Si conservò la navata della chiesa, allungandola sia verso l’abside che verso la facciata. Il terreno è in forte declivio e scende ripido verso il Marta: allungare la navata solo verso oriente (la chiesa è orientata) avrebbe reso necessario costruzioni monumentali.
Alla facciata si accompagnò una specie di vestibolo interno, come si può dedurre da resti di semicolonne addossate all’inizio dell’antica navata; ed al lato nord, verso l’acropoli di Tuscania, si costruisse una robustissima e grossissima torre campanaria. La torre appartiene, nonostante l’eccezionalità delle sue dimensioni, al consueto tipo lombardo -laziale … ha gli stessi caratteri di titanica potenza di quella di S. Maria Maggiore a Tuscania.
Identica la decorazione ad archetti, solo, in Tuscania, il registro inferiore si stacca per una policroma inserzione di mattoni sul bruno della pietra. In San Giusto le divisioni fra zona e zona sono segnate da un a fascia orizzontale, mentre presso S. Maria si ricorre comunemente alle file di archetti. In entrambe le torri la parte superiore è diruta, ma reca tracce di ampie aperture; in quella di San Giusto si possono anche supporre collegate in bifore.
La torre di Santa Maria conserva il carattere violentemente decorativo, esuberante, ricco di colore, della basilica: ora essa incombe sulla facciata, ma, come è noto, questa è stata avanzata di parecchi metri … Le dimensioni delle due torri sono determinate dal loro scopo difensivo e, non a caso, dall’una si vede l’altra, nonostante le anse della valle del Marta e la notevole distanza. … E caratteri che non hanno alcun riscontro con l’architettura locale ha soprattutto l’ampliamento absidale, che è la parte più complessa e superstite dell’abbazia. Si tratta di un vero e proprio transetto, che è ora superstite nella parte sinistra e per tre quarti del corpo centrale. Un vasto corridoio rettangolare porta ai vani absidali, preceduti ciascuno da un locale di pianta quadrata, ornato ai due fianchi da nicchioni.
… Il presbiterio si stacca nettamente dalla navata, non solo come esecuzione muraria, ma anche esteticamente, mediante un grosso arcone, anch’esso appoggiato su mensole. L’aspetto estetico è falsato dall’innalzamento del terreno, anzi del letame che ha invaso la chiesa, onde le volte sembrano più basse di circa un metro. Inoltre l’edificio è completamente scoperto e l’erosione delle acque ha sconnesso la muratura di blocchi squadrati assai regolarmente, colando fra gli interstizi. Ed è questa la ragione del crollo totale del corpo di destra e della conca dell’abside centrale, un tempo forse arricchita da due finestre. L’inclinazione del terreno favorì la costruzione di una cripta, che si estende in lunghezza sotto tutto il transetto. Essa è affogata nel fango per due terzi dell’altezza … è anch’essa a volta e, sotto l’abside centrale, ha due colonne da cui partono pennacchi, poggianti su capitelli rozzi o d’accatto. … Il tufo forniva un materiale abbondante e dove in genere la pietra è facile da lavorarsi la costruzione è a filari regolarissimi, di grossi blocchi squadrati e mostra una sicura esperienza di costruttori. … Il portale con il suo arco normanno ed il severo gioco dei mensoloni presenta chiaramente caratteri oltremontani. Non vi sono sapienti armonie di marmi lucidi entro la cornice della pietra scura … ma vi domina un gioco di sporgenze e rientranze e l’uniformità di colore della materia, rotta soltanto dall’inserzione di un arco di pietra bianca. Sull’architrave sono incise le forme degli iniziatori dell’opera di rinnovamento dell’antica abbazia: “RAYNERIUS LEVITA ET MONACHUS HOC OPUS FIERI IUSSIT TEMPORIBUS R. P. D. ALBERICI HUMILIS ABBATIS.”
Il diacono levita e monaco Raniero ordinò di costruire questo tempio ai tempi del Reverendo Padre Signor Alberico umile abate. … Assai vicino all’inizio del 1200, se non entro a questo secolo, deve portarci l’ultimazione della chiesa e la definitiva sistemazione di tutta la zona monasteriale. Lunghe mura dimezzate si stendono lungo un tratturo, interrotte dai residui dei piani superiori, ormai isolati come torrioni. Macerie, coltivazioni ingombrano l’interno dei cortili: non appare più traccia né del chiostro né dell’aula capitolare; tuttavia lo strapiombo del terreno ha interrato il piano inferiore del monastero, verso il Marta. Da una grotta l’occhio spazia in un vasto salone con archi ogivali slanciatissimi, ora utilizzato come cisterna. Solo a destra della facciata della chiesa si apre, crollatene ormai le volte, l’ampio spiazzo occupato forse dal refettorio, con mura aperte al piano terreno da finestrelle dall’architrave triangolare. Quadrate sono quelle del piano superiore ….
Come sappiamo da (Francesco Antonio) Turriozzi nel 1460 venne soppresso. Lo storico ricorda ancora pitture nella cripta, oggi perdute. Con il crollo delle due volte superstiti, della torre campanaria e del frontone, già leso, rischia di concludersi definitivamente in pochissimi anni la sua storia; lasciando come traccia alcuni macigni troppo scomodi per il trasporto o il reimpiego, così come in questi ultimi tre mesi accadde per un’altra chiesa tuscanese: il S. Pantaleo.
“I monaci contadini coltivavano la terra, erano anche allevatori e piscicoltori. Nella giornata era molto importante la preghiera e la meditazione. Nell’abbazia oltre ai coltivatori ci furono anche religiosi che erano medici, architetti, agronomi, muratori, ingegneri e bonificatori. Da San Giusto dipendevano le chiese di San Nicola a Tarquinia, S.Andrea a Centocelle (Leopoli), S. Firmina a Civitavecchia, S. Maria a San Lorenzo vecchio, S. Maria a Roccarespampani nella diocesi di Tuscania e S. Mamiliano nell’Abbadia del Ponte nella diocesi di Castro. Il 28 giugno 1984 scrissi un articolo:” San Giusto: un’abbazia di Tuscania da salvare. Oggi il complesso, formato da Chiesa con Cripta e Campanile è adibito a magazzino e stalla. È in uno stato fatiscente. ..
Il valore storico di questo monumento è indubbio ma ora è soprattutto il valore artistico e architettonico che deve essere restaurato e reso disponibile alla fruizione del pubblico. Tra l’altro questa abbazia è situata a poca distanza dalla zona archeologica etrusca dell’Ara del Tufo. Il restauro di San Giusto sarebbe un ulteriore elemento di valorizzazione di un itinerario archeologico che, partendo dalla Tomba del Dado e dalla Necropoli della Peschiera, attraverso il colle di San Pietro, la Tomba della Regina e l’Ara del Tufo, giungerebbe all’antica Abbazia.
Questo argomento è stato discusso nelle riunioni di alcune associazioni culturali come l’Archeoclub e due soci: il Presidente Cavaliere Leonida Santi ed il Professore Giuseppe Giontella, attraverso una televisione locale, hanno invitato il proprietario del terreno dove si trova San Giusto, a permettere il passaggio a piedi dei visitatori desiderosi di raggiungere questa preziosa testimonianza del Medioevo e della Cristianità in Tuscania. Ciò ovviamente non basterà: l’auspicio è che la Sovrintendenza competente decida di restaurare questa interessante Abbazia.
“Finalmente nel 1990 l’azienda e l’abbazia furono acquistate dall’Ingegnere progettista architettonico Mauro Checcoli di Bologna che nel 1964 alle Olimpiadi di Tokio conquistò due medaglie d’oro nell’equitazione. Il mecenate provvide al totale restauro che ha riportato l’abbazia all’antico splendore anche con la perizia del tuscanese Rinaldo Celestini e delle sue maestranze. Nel mese di marzo 2002 presso la sala delle conferenze della biblioteca comunale di Tuscania l’Ingegnere e l’archeologa Giovanna Velluti, che si è occupata del recupero della struttura, illustrarono tutti gli edifici dell’abbazia: la chiesa, il chiostro, la torre, la sala capitolare, il locutorium, lo scriptorium, la sagrestia, il campo cimiteriale, il refettorio, il cellarium, l’armarium, il dormitorio per 24 monaci ed il dormitorio per 24 conversi e novizi, l’hospitium che accoglieva i pellegrini e i malati, le officine, i magazzini, la foresteria, le latrine.
Nel 2012 Ippolita Checcoli scrisse : “Le indagini archeologiche hanno messo in luce una stratificazione di insediamenti … sicuramente precedenti al I X ° secolo e, all’interno dell’attuale chiesa, sono stati messi in luce resti di mura perimetrali e di un’abside precedenti, presumibilmente una pieve benedettina dell’V III ° – I X ° secolo … gli edifici cistercensi dal 1140 hanno dato origine ad un ampliamento notevole ed il frontale della chiesa ha un disegno elegante , geometrico , estremamente preciso e raffinato e corrisponde pienamente agli stilemi dell’architettura cistercense. Con ogni probabilità gli artigiani ed i capomastri che i cistercensi portarono con sé erano di provenienza comacina. Si stima che la torre campanaria fosse alta almeno 40 metri, per poter comunicare visivamente con le torri di guardia del territorio circostante (san Pietro e Rocca Respampani).”
Mauro Checcoli nel 2013 aggiunse : “l’opera di scavo è stata senza dubbio di dimensioni imponenti, necessari per i consistenti interramenti prodotti dalle secolari alluvioni: più di 5000 metri cubi di terriccio alluvionale e detriti sono stati rimossi e risistemati. In un simile abbandono, tuttavia, l’interramento ha protetto una notevole quantità di materiali preziosi, come pietre lavorate, marmi, attrezzi e anche qualche suppellettile. Tutto questo materiale , pulito, ordinato e analizzato, è stato impiegato nel restauro degli edifici e ha dato preziose indicazioni sulle tecniche costruttive cistercensi. Gli scavi archeologici del chiostro ci hanno restituito centinaia di pezzi e di frammenti … furono asportati solo pochissimi capitelli dei ventiquattro originari, molti per fortuna intatti. Anche le colonnine di marmo di Carrara sono state ritrovate in pezzi anche piccoli, ma fortunatamente non asportate. Come in ogni abbazia cistercense il sistema idraulico era ed è efficiente, capillare e raffinato. Di notevole interesse l’inconsueto ritrovamento sotto il livello del pavimento della chiesa, di ben due forni di fusione delle campane con probabilità sia benedettine che cistercensi: due profonde buche nel pavimento, con un cunicolo di alimentazione dei fuochi. Un’antica tradizione degli ordini religiosi richiedeva che la fusione avvenisse su suolo consacrato da parte di compagnie di fonditori itineranti. E’ stata inoltre ritrovata la forma intera di una base di campana.”
Nella chiesa c’è il presbiterio vicino all’altare che era per i monaci, la parte intermedia per i conversi ed i novizi, la zona vicina al portale per gli ospiti, i pellegrini ed i malati. La sua famiglia ora gestisce l’azienda agricola biologica che produce oli essenziali di lavanda e di elicriso ed olio di oliva. Checcoli è stato definito da Vincenzo Ceniti : “novello mecenate di rango rinascimentale ed apprezzato ingegnere di impianti sportivi.”