- LIBERAZIONE: LA RESISTENZA A TUSCANIA FATTA COL CIOCCOLATO (FINTO) - Succede a Tuscania 2013 - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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- LIBERAZIONE: LA RESISTENZA A TUSCANIA FATTA COL CIOCCOLATO (FINTO)

Pubblicato da Tarquinio Secondo in Articoli Toscanella · 27/4/2013 09:42:54

(Tutte le foto, sono solo indicative)

Questa storia (perché di storia si tratta), mi fu raccontata da mio padre, in una serataccia di febbraio mentre stavamo a scaldarci davanti al camino acceso.

"Il fattaccio – raccontava mio padre, mentre  attizzava il fuoco con le molle - capitò nei primi di giorni di giugno del ’44. Allora ero ancora un lattonzo: avevo compiuto da poco nove anni.  

Vedevo che tutti di casa stavano in pensiero, erano preoccupati, perché gli americani già avevano liberato Roma e si stavano avvicinando dalle nostre parti.  

La notizia, appresa da radio Londra, doveva essere vera, perché da alcuni giorni il nostro paese era attraversato da truppe tedesche, che venendo da Vetralla e da Viterbo,  si dirigevano verso il Nord. Anche quei pochi soldati  tedeschi, che erano di stanza qui da noi, stavano smantellando i loro uffici e si preparavano a partire.

Il sole era già andato sotto e il cielo imbruniva; le strade del paese stavano diventando deserte, non solo per il coprifuoco che sarebbe iniziato da lì a qualche ora, ma anche perché tanti nel pomeriggio avevano già lasciato le proprie case e si erano rifugiati in campagna, nei casolari o nelle grotte che  erano state scavate già da tempo per potercisi rifugiare, quando sarebbero giunti gli alleati e i tedeschi avrebbero opposto loro resistenza.

Anche noi – dico la nostra famiglia -  avevamo già pronta la grotta a Sant’Angelo, fatta scavare da un pozzarolo nel mese di marzo in quelle  pareti di tufo sul lato sinistro del Maschiolo, sulla cui sommità c’erano i terreni di Pian di Mola, e avevamo deciso che l’indomani ci saremmo andati anche noi.  

Quella sera io ero con mio padre, cioè tuo nonno Mario, nel negozio di alimentari, che gestiva insieme a tua nonna, e ci preparavamo a chiuderlo per tornare a casa, quando si presentò un soldato tedesco, armato fino ai denti, che, entrato nella bottega, dopo aver guardato a destra e a sinistra, fissò il suo sguardo su un barattolo che stava tra tanti barattoli posti sugli scaffali.

C’erano in quel barattolo delle tavolette di cioccolata,  ma che aveva della cioccolata solo l’aspetto, perché di tutto era fatta tranne che col cacao (eravamo in guerra!). Era un impasto di miele, mandorle e soprattutto di fichi.  Stavano lì in quel barattolo non ti saprei dire da quanti mesi. Quelle tavolette  erano avariate, e in alcune  c’erano addirittura dei bachi. Il nonno quelle tavolette  le teneva lì, in bella mostra, solo per dare credito al negozio, come i barattoli di spezie che le farmacie tengono  negli scaffali, ma dentro non hanno niente, sono vuoti come le zucche.

Il tedesco, puntando il dito verso quel barattolo: - Cioccolata! – disse.
Il nonno allora, più con i gesti che con le parole, (non è che sapeva il tedesco), cercò di fargli capire che quella cioccolata non era buona; stava lì per dare credito alla bottega, ma non era mangiabile, perché era fatta soprattutto  di fichi e in più c’erano dei bachi.

- Non buona! Non buona! – Gli diceva il nonno -  Cioccolata no buona! Cioccolata no buona!
- Cioccolata! –
Ripeté allora in modo risoluto il tedesco.
- Non buona! Camerade! – Ripeteva, accorato, il nonno – Cioccolata baco!
- Cioccolata! -  Disse con forza il tedesco.
E mentre diceva così, forse per puro caso,  accarezzò con la mano destra il mitra che aveva a tracolla.  
-  Cioccolata! – Insistette.

Il nonno, quando vide che non c’era verso di fargli capire che quella cioccolata era immangiabile e soprattutto quando vide la mossa che quel tedesco aveva fatto, anche se impaurito, tirò giù il barattolo, prese una tavoletta di quell’intruglio, la mise davanti al tedesco e cercava in tutti i modi di fargli capire che non era buona; ma il tedesco l’afferrò, se la mise in tasca, poi  tirò fuori il portafoglio e fece segno che il nonno gli dicesse quanto costava.  E il nonno allora, quasi balbettando, gli disse il prezzo. Il tedesco, dopo aver pagato, salutò se ne andò.

A questo punto vidi il nonno che si stava sbiancando in viso.
- Forza! – Mi disse - Chiudiamo e andiamocene. Che quando il tedesco mangerà o tenterà di mangiare quello che gli abbiamo dato, ritorna e ci spara.

Si mise ad attaccare gli scuri alla vetrina, raccolse i soldi nel cassetto e, mentre cercava di spegnere la luce per andare via, eccoti di nuovo quel tedesco; e questa volta non era solo, ma con altri quattro soldati, tutti armati fino a i denti.

Vidi il nonno diventare bianco come un panno lavato; mi sembrava che stesse per svenire. Mi disse subito quasi sottovoce:
- Corri, va’ a casa!     
Non feci in tempo, però, ad uscire dal negozio che  il tedesco che prima era venuto e aveva comperato quella cioccolata, indicando il barattolo:
- Cioccolata! Cioccolata! –
Il nonno non sapeva più che fare, perché credeva che il tedesco fosse venuto perché aveva scoperto la schifezza di quella cioccolata  e invece, additando il barattolo, indicava che ne voleva altre di quelle cioccolate.

E il bello era che quella cioccolata la volevano anche gli altri soldati che erano venuti con lui:
- Cioccolata!
- Cioccolata
- Cioccolata
- Cioccolata.
In quattro e quattr’otto il barattolo fu vuotato.
Ti lascio immaginare come rimase il nonno. Gli ritornò il colorito del viso e subito, non appena i  tedeschi se ne furono andati, chiuse il negozio e via di corsa a casa.

Due giorni dopo, e precisamente il 10 giugno, nel primo pomeriggio, arrivarono gli alleati. I tedeschi fecero una breve resistenza con un piccolo cannone piazzato sul poggio di San Pietro, poi, fatta saltare un’arcata del ponte sul fiume Marta, abbandonarono il paese.

Eravamo liberi! Non dovevamo più scendere nelle cantine o fuggire, lesti lesti, in campagna, quando suonava la sirena dell’allarme o il campanone della torre civica, oppure non dovevamo rintanarci in casa al suono delle campane dell’Ave Maria, per il coprifuoco.

L’indomani, fin dal primo mattino, tutti coloro che erano andati a rifugiarsi nei casolari di campagna o nelle grotte cominciarono a ritornare in paese. E al passaggio degli alleati, che durò alcuni giorni, con i carri armati, le autoblindo e le camionette, facevamo ala ai lati delle vie, e salutavamo i nostri liberatori, che ci gettavano caramelle e biscotti.   

- E la "cioccolata"?

- La storia, strana, della cioccolata con il baco, non finì, dimenticata, con l’arrivo delle truppe degli alleati. Anzi!.. Sta a sentire che cosa successe.

Dopo l’arrivo e il passaggio dei nostri liberatori, entrarono in paese, inquadrati e armati fino ai denti, i partigiani che si trovavano nelle campagne. Avevano compiuto qualche azione di disturbo contro i tedeschi e tra le loro file c’erano stati purtroppo due morti. Uno era stato colpito da un tedesco che stava appollaiato su un albero e un altro  era stato catturato, messo in carcere e poi ucciso alle Fosse Ardeatine. Avrebbero dovuto impedire ai tedeschi di far saltare il ponte sul fiume Marta, ma non c’erano riusciti e il ponte, purtroppo,  era saltato come un caprone impazzito.

Il nonno allora, qualche giorno dopo il trionfale ingresso dei partigiani, con la faccia come un bussatore,  si presentò al maresciallo che  comandava quel drappello, gli raccontò la storia della cioccolata  e disse che anche lui meritava  il riconoscimento di partigiano. E quello che diceva lo diceva con  convinzione!  Affermava infatti che quattro tedeschi, anzi cinque,  nella ritirata verso il Nord, non avrebbero potuto combattere, per la semplice ragione che con quella "cioccolata baco" che avevano mangiato, si sarebbero dovuti nascondere dietro alle fratte, abbandonando così la linea di  difesa e lì, con i calzoni alle calcagna, oppressi da lancinanti dolori di corpo, sarebbero stati costretti ad evacuare chissà quante volte.

Questa storia della "cioccolata baco" si sparse  presto in paese, argomento concettoso trattato nei bar e nelle osterie, e quando qualcuno chiedeva al nonno  se veramente era stato partigiano, rispondeva:
 - Sì! As-so-lu-ta-men-te! - (E alzava la voce nel pronunciare questo avverbio che allungava come un pezzo di elastico) – Perché, anche  se non mi sono dato alla macchia e non ho sparato neppure un colpo di fucile, ho contribuito, con quella "cioccolata coi bachi", alla disfatta dell’esercito tedesco.

Tarquinio Secondo




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