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Tuscania)
Il Forno. Il forno con il lavatoio pubblico e le compagnie
di lavoratrici, che si recano in campagna per i lavori agricoli, sono i
cosiddetti «tre salotti» meglio informati sui pettegolezzi e le maldicenze del
paese.
Dicendo «forno» non intendo naturalmente i forni razionali,
nei quali si confeziona il pane sotto varie forme, che poi viene venduto al
pubblico, ma un forno primitivo che esegue la sola cottura del pane
confezionato in privato da singole famiglie. Generalmente le «pezzature» sono
due: a «pagnotte» rotonde, del peso di circa due chilogrammi; ed a grossi
«filoni» aventi lo stesso peso.
Tale sistema è ancora abbastanza in uso, in quanto, dato il
sistema di lievitazione naturale, il pane si mantiene più fresco ed è quindi
più adatto per essere consumato in campagna e per più giorni.
Il forno ha il cielo a forma semisferica, costruito con
mattoni di terracotta, ed ha la base lastricata con lastre di peperino; sul
davanti ha un’apertura rettangolare (bocca) che serve per infornare il pane e
la legna da ardere; la chiusura si effettua a mezzo di una lamiera di ghisa
delle dimensioni di circa cm. 50x60. A fianco di questa apertura ve ne è una
piccola, rotonda, del diametro di circa cm. 15, la cui chiusura è costituita da
un cilindro di pietra: questa apertura serve come «spioncino» e per regolare la
evaporazione dell’acqua contenuta nel pane.
Le due aperture sono sovrastate da una canna fumaria, che
aspira il vapore ed il fumo che esce dal forno, quando vi brucia la legna.
La sera si mette la legna al centro del forno, in modo che
il calore residuo la «secchi», dato che la legna da ardere è, nella maggioranza
dei casi, tagliata da pochi giorni. La mattina si incendia; quando è tutta
consumata, per mezzo di un ferro a forma di rastrello senza denti, vengono
tirati da una parte, vicino allo «spioncino», i carboni residui e le ceneri, in
modo che continuino a trasmettere ancora calore; infine, con un panno «mondolo»
legato ad un’asta, il forno viene nettato dalle polveri e scorie (il nome di
mondolo è poi passato ad indicare anche tutte le persone sporche e poco
ordinate).
Il forno in genere ha la capienza di circa 100 pagnotte;
ogni cliente ne confeziona circa 10, e perciò per ogni «infornata» si riesce a
cuocere il pane per 9 o 10 «vicennare» (clienti che si avvicendano).
Quando una vicennara deve fare il pane, la sera precedente
si reca a casa della fornara per prendere accordi, cioè prenotarsi e ritirare
il «tavolello»(una tavola larga circa cm. 50 e lunga m. 1,50, dove al mattino
verrà sistemato il pane appena confezionato, per essere poi trasportato al
forno). Quando il pane viene messo nel «tavolello» si «intela», vi si mette
cioè sopra un telo un po’ più grande della tavola, quasi sempre di canapa; con
esso si fa una piega ad ogni coppia di pagnotte che vi viene deposta; tale
piega serve per dividerla dalla coppia successiva, in modo che non si
attacchino. Affinché venga poi riconosciuto quando si toglie dal forno, si
«merca» il pane nei modi più vari: con una stella, una croce, un cerchio, ecc.
Si ricopre in line con un altro telo di tessuto più «fino» che viene rimesso
sotto il pane nei quattro lati del tavolello; da ultimo viene coperto,
specialmente d’inverno, con coperte di lana, per accelerare la lievitazione.
Nel caso poi che «si lievitasse troppo», per riportarlo in linea con quello
delle altre vicennare bisogna ricorrere a bagni freddi con panni bagnati,
oppure metterlo all’aperto dopo averlo scoperto.
Quando dunque le vicennare si recano al forno per ritirare
il tavolello e mettersi in nota, dovranno anche dire se preferiscono cuocere al
primo, al secondo o al terzo turno (sono tre quando il numero delle clienti è
alto).
Qui cominciano le prime discussioni, perché nel periodo in
cui i lavori della campagna sono più intensi la maggioranza delle vicennare
vuol cuocere al primo «forno», in modo che appena infornato il pane esse
possano recarsi in campagna; quando poi i lavori agricoli ristagnano, allora
vogliono cuocere tutti al secondo o al terzo, per aver modo di riposare al
mattino. All’inizio la fornara cerca di convincerle con mezzi persuasivi,
tentando di far comprendere a queste donne che tutte nello stesso «forno» non
possono cuocere e bisogna che qualcuno venga pur sacrificato; ma queste non
intendono ragione, tutte si sentono trattate ingiustamente, e spesso si
verifica che qualcuna dica parole che toccano la suscettibilità della fornara.
Non è raro, perciò, che succeda un pandemonio: queste «fornare», infatti, forse
abbrutite dal lavoro ed innervosite da queste continue discussioni, sono quasi
tutte donne colleriche e sboccate.
La mattina, per dare inizio alla confezione del pane, inizio
che va dalle ore 3 alle 5, a secondo della stagione ed il numero dei forni da
cuocere nella giornata, il marito della fornara si reca casa per casa dalle
vicennare del primo forno e le chiama per nome dalla strada; attende la
risposta, poi dice la frase caratteristica: «Fa ‘l pane! » (questo è l’unico
rapporto che ha il fornaio con le vicennare, perché il lavoro del forno è un lavoro
prettamente femminile).
Il fornaio si reca quindi in campagna per i lavori agricoli
e per l’approvvigionamento della legna, che la sera porta in paese con un
«biroccio» trainato da asino o mulo (in tempi più remoti la caricava
direttamente sulle bestie).
Dopo tre ore circa (tempo necessario per la confezione e la
lievitazione del pane) viene la «carreggiatora», donna che ha il compito di
ritirare nelle case il pane da cuocere e di riportarvelo cotto.
La «carreggiatora» viene pagata dalla fornara in natura,
dato che anche per la cottura la paga è in natura: per ogni vicennara tocca
alla fornara una pagnotta, che ella si sceglie (naturalmente è la più grossa);
tutto questo quando le pagnotte rientrano in un numero tollerabile altrimenti
si paga in denaro.
Le «carreggiatore» sono donne abilissime e bene allenate a
portare in testa i «tavolelli» con il pane per dei lunghi tratti che arrivano
persino a 800 e 1000 metri; e se trovano per strada la «comare» per fare due
chiacchiere, si fermano anche a parlare con la massima disinvoltura. Per
portare più agevolmente questo «tavolello» tengono sulla testa un panno avvolto
in forma di ciambella: la «coroia».
Al forno, poco dopo, giungono anche le vicennare, perché
tutte vogliono essere presenti al momento di mettere il pane nel forno.
Mentre arde la legna al centro del forno, vengono cotte a
«fuoco ardente» alcune pizze tradizionali del luogo: il «dimeneguarde» (una
pastella molto morbida fatta con acqua e farina), la «pizza a rocchio» (così
chiamata perché non si mette in alcun recipiente e si cuoce a contatto della
cenere del forno; è a base di formaggio).
Cotte le pizze, la fornara «mondola» il forno e,
nell’attesa, si cominciano a passare in rassegna gli avvenimenti del giorno:
morti, nascite, fidanzamenti, nozze, ecc.; è facile di qui scivolare nei
pettegolezzi e nella maldicenza; non si salva nessuno, dal governo al clero,
dalle ragazze alle maritate, dal dottore al farmacista, ed infine sono le
stesse presenti a pagare lo scotto, in ordine di successione man mano che se ne
vanno dal forno.
Ed ora veniamo al momento più cruciale, quando cioè si deve
mettere il pane nel forno; anche qui interessi contrastanti: chi ha il pane
lievitato in anticipo, per cause ambientali o altro, vuol metterlo nel forno a
costo di sacrificare tutto il pane degli altri; mentre quelle che si trovano in
ritardo con la lievitazione vorrebbero che si ritardasse «la messa al forno»
del pane, per attendere che anche il proprio lieviti.
Altro motivo di contrasto è poi la scelta del punto dove
metterlo a cuocere, dato che nel forno il calore non è uniforme; perciò vi sono
delle zone in cui il pane viene più cotto, e dove poco cotto. Se le famiglie di
queste vicennare sono di gusti diversi in fatto di cottura, tutto procede bene;
se questi gusti sono invece uguali, allora succede il finimondo: quando la
fornara mette il pane in una zona che non piace, nessuno le porge la tavola con
il pane da infornare; mentre quando la zona è quella desiderata dalla
maggioranza, tutte le tavole sono in movimento e spesso capita che si urtano e
il pane va a terra; in questi casi oltre a imprecazioni e male parole, finisce
sempre con l’accapigliamento generale.