GIOVANNI E ANTONIO SPARAPANE DA NORCIA A TOSCANELLA. di
Mauro Loreti
NEL 1466 a Toscanella c’erano molti pastori
transumanti e mastro Giacomo figlio di Agostino Petti era un
grande pellaio che lavorava e conciava le pelli ed usava l’allume che da poco
era stato scoperto nei monti del nuovo borgo di Allumiere.
Giacomo si era arricchito con gli allevatori e, essendo
molto devoto, commissionò agli Sparapane (norcini come tanti pastori
umbri) la pittura della cappella della crocifissione nella parete a
sinistra della chiesa di San Francesco d’Assisi in Tuscania ed
anche quella di un’altra cappella nella parete a destra della stessa chiesa.
“Nella pittura a fresco” scrisse Giuseppe Di Lorenzo
nel 1883 “ nella parete principale è ritratta la crocifissione e
morte di nostro Signore, dove oltre i due ladroni in croce, è una moltitudine
di figure di tutte età, differenti di aria, di forme, a piedi a cavallo; nella
quale pittura tutte le cose vedonsi fatte assai ingegnosamente con bella
invenzione, giudizio, discrezione e grazia. Essa occupa tutto lo spazio
semicircolare formato dall’arco della volta, il quale si sviluppa sopra un
diametro di metri sei di larghezza. S’innalza in mezzo sublime la croce ove è confitto
Gesù. Chinato amorosamente il capo, è già morto; tre angeli fermati in aria
sulle ali, disciolti in amarissimo pianto, raccolgono nei calici il sangue che
distilla ancora dalle ferite delle mani e del costato.
Al lato destro di Gesù sono due soldati a cavallo, l’un dei
quali impugnata una poderosa mazza, ne arresta d’improvviso il colpo, mentre a
lui d’appresso tre soldati a piedi si fanno avvertiti essere Gesù già morto né
a lui doversi rompere le gambe: vicino ad essi un giovinetto con la destra mano
tiene in alto una canna con una spugna, e nella sinistra sorregge il vasetto
dell’amara bevanda presentata all’assetato Signore.
Genuflessa presso la Croce la Maddalena scarmigliata le chiome, disfoga
l’immenso suo dolore con largo pianto, stretta con impetuoso slancio di amore
ai piedi di Gesù: a sinistra è il diletto discepolo che, fisso lo sguardo
sull’estinto maestro, strette le mani al sen conserte, in atto dolcissimo ed
affettuoso ne piange la morte con tanta amaritudine che nell’aria del viso
tutto si pare l’aspro dolore onde è trafitto. Al sinistro lato della
croce è Longino, dritto su bianco destriere, atteggiato a sorpresa ed a
pentimento: ha già trafitto il costato di Gesù rosseggiante ancora di sangue.
Presso a lui Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo ed altri
chiusi in ampi mantelli e raccolti in dolorosi pensieri son presti a deporre di
croce l’estinto Signore. All’angolo sinistro dell’arco tre Marie
piangenti sorreggono nelle braccia nostra Signora svenuta per la morte del
figlio. … A destra di Cristo è il buon ladrone crocifisso anche egli; chinato
amorosamente verso il Redentore, ha reso l’ultimo respiro colla serenità del
giusto che accoglie la morte con la certezza del promesso paradiso. Sotto la di
lui croce sono due soldati a cavallo con ricche bardature, l’uno tiene in resta
una bandiera nella quale è dipinto uno Scorpione, l’altro è in atto di
scaricare il colpo di una mazza sulle di lui gambe che, dilacerate e peste,
colano sangue rosso scuro quale suole uscire dalle ferite di corpo morto.
Ma terribile nell’aspetto a sinistra della croce di nostro
Signore è il cattivo ladro: avviticchiate alla croce con disperate contrazioni
braccia e piedi con amaro dispetto volge il tergo a Gesù: irti i capelli con
gli occhi di bragia è spirato, vomitando ancora bianca bava.
Sotto la di lui croce sono due soldati a cavallo, uno dei
quali sostiene una bandiera col motto S. P. Q. R., l’altro impugna una mazza e
ne scaglia il colpo sulle di lui gambe. Qua e là vedonsi dischi bianchi a guisa
di piccole bandiere col numero romano II, forse a denotare la legione
incaricata della esecuzione della sacrilega sentenza di morte. Ai lati estremi
dell’arco sono due soldati con le lunghe trombe romane al di cui lugubre suono
solevano precedere il corteo dei condannati.
Chiudono l’angolo destro della pittura quattro soldati che
si giuocano la veste di nostro Signore, nel viso dei quali si scorge la
speranza ed il timore nel trarre dei dadi; tre di essi, fatto un piano della
veste sulla terra, vi stanno attorno a disagio; colla bocca, cogli occhi
aperti, colle ciglia inarcate guardano i dadi per sospetto di frode; sovrasta
ad essi minaccioso il quarto soldato colla spada sguainata, aspettando la sua
volta. Questa grandiosa pittura ha tutti i caratteri per essere considerata fra
le belle pitture della seconda età … si scorge in essa l’arte assai migliorata
nell’invenzione, nel condurre delle figure a rilievo proprio e naturale, nella
varietà e finezza dei caratteri, nell’aggiustamento dei panni e verità delle
pieghe. …
Nei quattro vani della volta sono effigiati i quattro
principali dottori della chiesa (Gerolamo, Agostino, Gregorio,
Ambrogio); … Sotto la pittura della crocifissione è ritratta nostra
Donna col bambino dritto sulle di lei ginocchia, a destra è S. Giovanni
Battista, i tre Santi protettori della Città Secondiano, Veriano e
Marcelliano in abito di Senatori romani, e nelle altre pareti molte
immagini di santi e sante … vi è anche la storia del giudizio dipinta nella
parete destra della cappella … Cristo seduto in trono con terribile aspetto ai
dannati si volge per maledirli: a destra è nostra Signora e molti Santi altri
in ginocchioni, altri levati in piè. I dannati partiti per bolge … i superbi e
gli avari, sui quali, nudi e stipati fra loro si scarica un rovescio di sacchetti
pieni e pesanti con fiamme e fumo, e tutti a precipizio sono spinti dentro la
gran bocca d’un dragone in mezzo ad un lago di fuoco.
Dannati a simil croce
hanno scritta questa sentenza: “Quando superbi forno e assai
arroganti per questo giacciono in gola del dragone.” Due
iscrizioni in caratteri gotici che leggonsi all’ingresso della cappella ci
danno contezza dell’autore della pittura, del committente e della sua
epoca: “MCCCCLXVI QUESTA CHAPELLA A FACTA MURARE ET DEPENGNERE
MASTRU GIACOBU DE AUSTINO DE PETTO PELL’ANIMA SUA ET DELLI MORTI SOI” a
rimpetto di questa si legge: ”QUESTA CHAPELLA SI E’ DEPENTA PER LE MANO
DE IOHANNI DESPARAPANE ET ANTONIU SUO FIGLIOLU DE NORSCIA A DI DODICI DE MAGIO
FO FORNITA”. In una nicchia della parete destra della stessa
chiesa si ammira un altro affresco della crocifissione con S. Giovanni
evangelista con le mani allargate che dimostrano il dolore per la morte di
Gesù, la Maddalena inginocchiata e la Vergine Addolorata.
Verso la fine del secolo l’importante famiglia
tuscanese Toscanelli Ludovisi ed in particolar modo Paolo auditore,
ovvero giudice istruttore delle cause del Palazzo apostolico di Roma ed
avvocato concistoriale che patrocinava e difendeva in giudizio una delle parti
in causa presso la Santa Sede, fece costruire la cappella gentilizia nella
chiesa di S. Agostino in Tuscania e la dedicò a S. Giobbe, protettore contro la
peste.
Dettero l’incarico agli stessi Sparapane per la parte
pittorica che fu terminata il 5 maggio 1492. Lì vediamo tutti i ritratti dei
componenti della nobile famiglia. Il loro primo cognome era Toscanelli, poi
aggiunsero anche Ludovisi “forse per ragione di ereditaggio” scrisse Secondiano
Campanari.
Leggiamo ancora nel libro di Di Lorenzo: ”Tre Angeli
librati sulle ali raccolgono nei calici il sangue delle ferite delle mani e del
costato di Cristo levato in croce, sotto di cui sono ritratti in costume e abbigliati
all’usanza dei tempi uomini e donne di quella famiglia.“
Nel 1494 il fratello Ludovico, dottore in legge,
era gonfaloniere del popolo a Toscanella.
Le foto sono di Gabriele Loreti.