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IL BRIGANTAGGIO A TUSCANIA NELLA SECONDA META’ DELL’OTTOCENTO
Il brigantaggio nel XVI secolo non era una realtà nuova sia nello Stato Pontificio che in tutti gli Stati italiani e nell’area mediterranea. Le fonti letterarie del Medioevo sono ricche di un susseguirsi di avvenimenti criminosi, in particolare saccheggi ed aggressioni ai danni di mercanti, specialmente lungo le vie di traffico, nei passi montani e nelle fiere; così pure erano frequenti i sequestri di persone facoltose, compiute dai banditi che scorrazzavano tra una città e l’altra. Alla peculiarità ed insicurezza della vita quotidiana, insidiata continuamente dalla fame, dal succedersi di carestie, da gravi malattie come la peste, il colera, e le guerre in genere, si aggiungeva minacciosa, quasi ovunque, la presenza di persone dedite a compiere atti contro il patrimonio e la persona, che, secondo l’epoca e le circostanze, erano identificate con nomi e forme diverse, come malandrini, masnadieri, ladri, fuorusciti, banditi, briganti, furfanti, ecc.
Nella seconda metà del Cinquecento, anche lo Stato Pontificio, certamente non esente da tali manifestazioni, il brigantaggio era tornato ad acuirsi per un concorso di cause, quali la fame, il deteriorarsi delle condizioni climatiche e l’erosione di strutture feudali, davanti alle quali lo Stato della Chiesa sapeva reagire soltanto in modo scoordinato e contraddittorio, con l’adozione di provvedimenti, che mettevano in luce la debolezza degli apparati giudiziari e si rilevavano addirittura controproducenti per la soluzione dei problemi di ordine pubblico (doc. n. 1).
Di quel periodo abbiamo notizia del noto brigante Antonello della Fara che, fra il 1583 ed il 1584, terrorizzava la Sabina con le sue gesta, coadiuvato dai suoi 50 gregari "robbando li mercanti et altri che da Roma si recavano alla fiera di S. Maria di Farfa nel mese di settembre," mentre negli altri periodi, i suoi obiettivi preferiti erano le fiere di Toscanella e di Bolsena[1].
Nel 1585 si ha notizia di un altro brigante, Flaminio da Castel del Piano, che insieme ad una decina di compagni era arrivato a Bracciano, sicuro della protezione degli Orsini; "et in quel viaggio", racconta uno della banda nell’interrogatorio del processo, "rubammo una cavalla per uno et nel Castel del Piano passammo per innanzi verso Nepi e c’accompagnammo con Sacripante da Toscanella et Annibale Catalano da Nepi et havemmo con essi loro fino 28 o 30 banditi, et in tutto eravamo 40, et scorrimmo più et più paesi verso Stabbia et altri luoghi et poi ne venimmo a Civitella della Teverina, dove lì, su la porta della terra, Annibale prese un uomo qual menorno in una casa dentro la terra, vicino a Orbetello, et poi ammazzato d’ordine d’Annibale a furia di pugnalate, et dopo questi, ne venimmo a Ronciglione, a Monte Duosoli et ci fermammo nella strada sparsi in più luoghi, et aspettammo passassi la gente, che allora s’andava alla fiera di Toscanella, che io stavo a far la sentinella a una torre, et allora furono svaligiati certi Ebrei, che fu detto che gli tolsero circa 300 scudi, et fermammo quelli che gli pareva di quegli che passavano".[2]
Tra Seicento e Settecento, il fenomeno "brigantaggio" ha avuto manifestazioni minori, ma torna ad acuirsi nel XIX secolo, in quanto è segnato dalle grandi innovazioni in campo politico e sociale che scaturiscono dalla Rivoluzione Francese, promotrice dei concetti di Libertà, Fratellanza e Uguaglianza, i presupposti che stravolsero la stabilità di tutte le monarchie europee e, in particolare, dello Stato Pontificio. Tale sconvolgimento determinò solo il passaggio di potere dalla nobiltà alla borghesia, che si arricchiva grazie al noto fenomeno parallelo delle "Rivoluzioni" agricola e industriale, rendendo sempre evidente la forbice che separava la ricca borghesia dal proletariato, sempre più povero.
Nel 1815, a seguito della scomparsa di Napoleone dalla scena politica, le monarchie ed i vari regnanti deposti si riunirono in congresso a Vienna dove ridisegnarono la carta politica della nuova Europa.
Gli Stati italiani, compreso quello Pontificio, avevano subìto radicali mutamenti politici, amministrativi e religiosi. Il papa Pio VII, appena eletto, trovò lo Stato Pontificio nel totale sconvolgimento civile e religioso, pertanto si adoperò fattivamente per migliorare la situazione. Aveva posto al suo fianco, come Segretario di Stato, il Card. Ercole Consalvi[3], che, appena rientrato a Roma dal Congresso di Vienna, intraprese un’opera veramente riformatrice. La popolazione era allo stremo e carica di tasse. Alle scorrerie dei briganti si univa la povera gente che, in preda alla fame, commetteva i più efferati delitti contro la persona ed il patrimonio.
Tra le prime preoccupazioni del Cardinal Consalvi ci fu quella di riordinare gli organi preposti alla sicurezza e dell’ordine pubblico, sciogliendo i bargelli[4] e i birri[5] che sfacciatamente erano divenuti collusi con la delinquenza: le città, le campagne e le strade erano completamente insicure ed il brigantaggio imperversava senza limiti; quella di farsi giustizia da soli, compiendo reati contro la persona ed il patrimonio, era divenuta la realtà quotidiana!
Il 31 luglio 1816 il Cardinale Consalvi, nella sua duplice funzione di Segretario di Stato e di Presidente della Congregazione Militare, emanò una Notificazione con la quale veniva istituito il Corpo dei Carabinieri Pontifici[6], con il particolare incarico di curare il mantenimento dell’ordine pubblico, l’esecuzione delle leggi ed una intensa vigilanza repressiva all’interno dello Stato.
I compiti devoluti ai Carabinieri Pontifici erano estesi anche alla sicurezza delle strade e delle campagne che, a causa della virulenza del brigantaggio e della inefficienza delle forze dell’ordine, erano divenute particolarmente insicure.
Lo Stato Pontificio, al fine di combattere tale fenomeno, istituì dei comandi territoriali Carabinieri che avevano sede nei centri maggiori. Nella Tuscia li troviamo a Viterbo, Toscanella[7], Civitacastellana, Montefiascone, Monterosi, Sutri, Vetralla, Valentano, Soriano, Acquapendente, Bagnoregio, Grotte di San Lorenzo, Bracciano, Tolfa, Civitavecchia, Corneto, e Cerveteri.
I Carabinieri Pontifici svolsero la loro azione, dapprima con efficacia, ottenendo risultati sorprendenti, assicurando alla giustizia i briganti e persone dedite a commettere reati, confinandoli nei vari bagni penali. Con l’evolversi della situazione Italiana, tendente verso l’unità nazionale, i Carabinieri Pontifici cessarono di esistere alla fine della stagione rivoluzionaria del 1848, con la breve istituzione della seconda Repubblica Romana del 1849.
Nello Stato Pontificio, la terra era rimasta nelle mani dei grandi proprietari latifondisti e della Chiesa, che la gestiva nelle varie mense episcopali e benefici ecclesiastici in genere. Il povero era costretto a lavorare in condizioni disumane con orari che andavano dall’alba al tramonto. I continui passaggi di potere significavano per il popolo pagare gabelle sempre più salate.
In questo contesto trovarsi, poi, implicati in questioni di giustizia era molto facile. Le prigioni erano affollate come pure i bagni penali. La malavita comune aumentava vertiginosamente anche per ragioni di esistenza e sfociava nelle estorsioni, grassazioni, rapine, sequestri di persona e delitti in genere contro il patrimonio. Gli autori di questi crimini amavano rifugiarsi nelle vaste ed intricate macchie mediterranee, assai numerose nello Stato Pontificio. A questa manifestazione delittuosa fu attribuito il nome di brigantaggio.
I briganti erano quasi tutti di mezza tacca, violenti e sanguinari, che non avevano però né lo spessore, né la ferocia, né le motivazioni socio-
I banditi operanti nella Delegazione Apostolica di Viterbo, non numerosi per la verità, erano sopportati ed approvvigionati con rassegnazione dai proprietari, che in cambio erano tutelati dal pericolo di delinquenti minori, in eterna lotta anch’essi per la sopravvivenza. Il tributo versato dai ricchi latifondisti ai briganti era una forma di assicurazione per vivere tranquilli e per ottenere il rispetto dei fondi agricoli con tutto ciò che contenevano e producevano.
Quanto ai doni e gli aiuti elargiti ai poveri ed ai deboli, si tratta di verità, ma i briganti accompagnavano a questa loro munificenza una notevole dose di minacce, incutendo terrore nell’animo di coloro che meditavano la delazione, e finendo per propagare tra la popolazione analfabeta, soprattutto nei piccoli centri, una fitta coltre di omertà, che riusciva ad intralciare l’azione dai pochi rappresentanti delle forze dell’ordine, ostacolati anche dalla scarsa conoscenza del territorio nonché dai frequenti trasferimenti e sostituzioni di coloro che coordinavano le azioni di repressione: se invece costoro fossero stati lasciati più a lungo sul posto, avrebbero certamente avuto l’opportunità di utilizzare al meglio i progetti per estirpare quel triste fenomeno.
I briganti del Viterbese[9], tutti di estrazione popolare e contadina, trovavano sempre nei piccoli centri di origine parenti ed amici disposti ad aiutarli e reclutavano con facilità i propri manutengoli tra i miserabili delle campagne, i quali intravedevano nell’opera del bandito "livellatore" l’unica forma di rimedio ai torti ed alle ingiustizie sociali.
Anche i latifondisti avevano tutto l’interesse ad accattivarsi i briganti per evitare incendi di boschi e di coltivazioni o danneggiamenti agli allevamenti. Molti assoldavano i malviventi, dietro il pagamento della nota "tassa sul brigantaggio", per tenere lontane dalle aziende altre bande di malfattori. In maremma la fitta e rigogliosa vegetazione della Selva del Lamone, i boschi di Montalto e di Castro, ricchi di anfratti, di grotte e di tombe etrusche, presentavano larghissimi tratti inaccessibili e costituivano un sicuro rifugio ideale per i briganti ed un autentico labirinto per le forze dell’ordine. La conformazione geografica del territorio contribuì senza dubbio ad allungare i periodi di latitanza dei briganti maremmani.
Il fenomeno si mantenne grave, se non altro per le rappresaglie dei banditi, che sentendosi stringere a poco a poco in un cerchio, cominciarono a commettere efferati delitti per intimidire quanti, indotti dalla speranza nella giustizia, decidevano di collaborare.
Il brigantaggio maremmano non ebbe connotati politici e mancò di un attivo supporto da parte delle popolazioni. Essi, però, costituirono un problema dai risvolti politici soprattutto per le polemiche generatesi in seno alla classe dirigente liberale, le cui diverse correnti riversavano colpa del perdurare del fenomeno o il merito della repressione a questo o a quel governo, in base alle rispettive simpatie o antipatie o, per meglio dire, dei rispettivi collegamenti con le grandi forze politiche nazionali.
Il fenomeno del brigantaggio investì le varie realtà locali, che oggi rappresentano e s’identificano nella provincia Viterbese. Anche Tuscania, o Toscanella come allora si chiamava, non fu affatto risparmiata da tale fenomeno, anche se le sue manifestazioni furono piuttosto contenute, perché le scorribande e gli atti deplorevoli messi in atto dai briganti non la coinvolsero con la stessa intensità con cui vennero interessati gli altri Centri limitrofi. Non va sottovalutato, però, il fatto che una tra le peculiarità del territorio tuscanese è la presenza di intense zone boschive con folta vegetazione attraversati da alcuni corsi d’acqua, un territorio cioè che si prestava a divenire appannaggio dei briganti, pronti a sfruttare queste caratteristiche impervie, assai utili non solo per nascondersi, ma anche per sferrare attentati ai militari dell’Arma in perlustrazione. Ecco perché le zone boschive del vasto ed articolato territorio della giurisdizione tuscanese divenne uno dei covi dei briganti che quotidianamente l’attraversavano sia prima che dopo aver dato esecuzione ai propri piani criminali. Inoltre, bisogna anche ricordare che il territorio di Tuscania rappresentava per i briganti una meta obbligata, per la sua centralità e come momento di collegamento tra i Monti Cimini ed il Mare, tra il Lago di Bolsena ed il porto di Civitavecchia. Di qui, si poteva raggiungere qualsiasi località senza passare per le strade carrozzabili o per i centri abitati. Qui, tra la ricca vegetazione dei boschi, un brigante poteva giungere, trovare un rifugio per la notte e poi transitare indisturbato alla volta di vari centri, dalla stessa Toscanella o dirigersi verso Farnese, Ischia, Cellere Canino, Valentano, Piansano, Monteromano, Tarquinia, Civitavecchia ed i Monti della Tolfa, o ridiscendere per Vetralla e raggiungere i Monti Cimini, senza essere controllato da alcuno.
Oltre alla varietà del paesaggio, vi sono altri elementi che devono essere tenuti presente per comprendere meglio le peculiarità del territorio: in tutto il percorso Viterbo -
Solo in un secondo momento, e precisamente nel 1880[16] fu rafforzata la Stazione Carabinieri, attraverso il suo elevamento a Sezione con competenza anche sui territori di Canino, Valentano, Farnese, Ischia di Castro, Latera e Piansano. In effetti, proprio in questi luoghi, ove attecchiva maggiormente tale fenomeno, occorreva dare delle risposte immediate e concrete.
Dei fatti salienti sul brigantaggio, annoverati dalla storia locale tuscanese, rimane appena una traccia nella metà del XIX secolo.
La mattina del 16 agosto 1850, lungo la strada provinciale, che da Tuscania conduce a Viterbo, quattro sconosciuti aggredirono la diligenza e rapinarono i quattro viaggiatori, togliendo loro gli oggetti di valore che avevano addosso.
All’avvocato Carlo Emanuele Muzzarelli[17] fu tolto un portafoglio verde, con fermaglio elastico in acciaio, nel quale erano segnate diversi appunti di suo pugno e conteneva un bono di scudi cinque nominati della Repubblica; altri boni più piccoli per la somma complessiva di circa cinque scudi cinque; un mezzo scudo di Papa Pignatelli[18] di grande dimensione, minuziosamente descritto (avente da una parte il triregno con tre pile, e dall’altra un pellicano, che si squarcia il seno per nutrire tre figli); alcuni biglietti da visita, ed altre carte, che non rammenta; un orologio d’oro così descritto: ripetizione d’oro a cilindro di forma piatta, con cristallo ordinario, quadrante di argento opaco, calotta di metallo e molle. Il gambo ove si preme per la batteria lascia vedere il fusto di ferro essendo staccata la fascetta d’oro, che lo copriva, che si conserva dal grassetto è del valore di scudi settanta circa; la catena dell’orologio era d’oro, lunga un palmo abbondante con chiavetta d'oro ed aveva la forma di alcune aste martellate che scendevano gradatamente e nel mezzo campeggiava un nodo assai aggruppato, ed era delle moderne del valore di scudi venti; otto monete di rame da baiocchi cinque l’una; un fazzoletto turchino con le iniziali C.M. (=Carlo Muzzarelli) contenente una camicia di tela bianca fina, nel petto lavorata a pieghette, quasi nuova, marcata colle iniziali A.M. e numero arabico progressivo; un rasoio; un pettine bianco d’osso col manico; una pettinina di bosso scritta; una forbice; uno scopettino da pettini senza manico; alcuni numeri del Foglio la Concordia; un fazzoletto di tela di filo, stampato in bianco a due facce colle iniziali A.M.; due paia di pedalini di filo di canepa con le iniziali M,. o A.M.; un Palton (Paletot) di panno Scebriè, ossia spinato doppio, color mattone a doppia cucitura ribattuta, con trapunto all’attaccatura dei bottoni di cocco grandi, concavi, con gambo di osso bianco, foderati di flanella color Maria Luisa, con saccocce laterali, de in petto con sue pattuelle in seta cenerina.
All’avvocato Secondiano Campanari[19] vennero rubati alcuni bajocchi da 10 e mezzo; un bono di scudi dieci di quei nuovi sostituiti; un soprabito di panno color marrone quasi nuovo; diverse camicie di mussolo pieghettate in vari modi, quasi nuove, tutte marcate colle iniziali S.C.(=Secondiano Campanari) e numero arabico progressivo; diverse paia di pedalini di filo colle stesse lettere, alcuni fazzoletti da naso di seta, ed altri di cotone marcati come sopra; due cravatte di seta nera, ed altra simile, ma con strisce bianche colla stessa marca; due rasoi con manico di osso bianco, uno dei quali rotto, e l’altro con lastrine di argento dorato nelle estremità del manico; un gilet di raso nero.
Al signor Angelo Arieti venne sottratto un portafoglio di pelle paonazza contenente una quantità di boni di diversa specie, fra i quali ve n’erano di quei che si rilasciano a Toscanella dai negozianti in luogo di resto; diversi conticini, ricette ed alcuni ricordi; diversi mezzi paoli di argento e tre bajocconi di rame; una scatola di tabacco di osso nero avente nel coperchio un rilievo di una immagine miracolosa della Francia con analoga iscrizione francese; un fazzoletto di cotone col fondo color Nascin fiorato rosso e nero, marcato con due A gotiche; alcune carte, che aveva in tasca.
A Roberto Sposetti, conduttore della diligenza, venne tolto un fucile da caccia a percussione lungo, ad un solo colpo, con rubinetto rotto; sei boni da bajocchi 10 e mezzo;
A Felice Zoia i ladri rubarono un portafoglio di pelle verde contenente tre boni da bajocchi 15 e mezzo; quattro da bajocchi da 10 e mezzo; uno da paoli tredici; una lettera con entro un ordine diretto al sig. Giuseppe Batoli, cameriere dell’Eccellentissimo Pianetti[20]; altra lettera al signor avvocato Vincenzo Frezzi di Viterbo; altre due lettere dei fratelli Pompei di Viterbo dirette al derubato Zoja; un libretto di conti di spese di campagna di carattere dello stesso derubato; una nota di tutte le misure dei beni spettanti al Signor Gio: Tommaso Silvestrelli[21]; un fazzoletto da naso di cotone color turchino.
1l 15 ottobre 1855 fu eseguita la giustizia a Toscanella per aver commesso un omicidio di certo Guenzi Alessandro di Sinigallia di anni 31[22].
Vi sono altri episodi che, considerati isolatamente, sono scarni e quasi irrilevanti; mi limito a segnalarli semplicemente per completezza d’esposizione.
Sul finire del 1870 il brigante Porta detto il "crudo"[23] si spinse nel territorio di Toscanella.
Nel 1872 Domenico Tiburzi evase dalle saline di Corneto e dopo qualche giorno inviò un biglietto minatorio a Giovan Battista Ghezzi[24], proprietario terriero di Toscanella. Tale reato frutta al Tiburzi quindici anni di lavori forzati.
Il 19 settembre 1874, alle ore nove ed un quarto, il sindaco di Toscanella Imperio Marcelliani[25], unitamente ad un guardiano campestre si recava a Viterbo, sopra un calessino e quando giunsero in località Riosecco, sullo stradale Toscanella – Viterbo, sbucarono fuori i briganti Rufoloni[26] e Ciocco[27], che intimarono ai passeggeri di scendere a terra e dopo averli perquisiti e depredati complessivamente di circa 200 lire, vennero rilasciati dopo un vago abbozzo di ricatto. La notizia della grassazione giunse presto a Viterbo; il sottoprefetto si affrettò ad assicurare il Procuratore del Re ed inviare sul posto i Carabinieri di Viterbo, Toscanella e Montefiascone ed in breve tempo assicurarono alla giustizia i malfattori.
Il 17 maggio 1876 Domenico Tiburzi compì un’estorsione per la somma di lire sessantacinque lire ai fratelli Luigi e Filippo Balestra[28], proprietari terrieri di Toscanella e per tale reato fu condannato a quindici anni di lavori forzati.
Agli inizi del 1879 Geremia Margiani[29] di anni 43 di Toscanella di professione ortolano, pregiudicato, già condannato per estorsione e sottoposto a sorveglianza speciale, da qualche tempo soleva aggirarsi nelle campagne di Montefiascone. Per il suo comportamento di persona losca veniva segnalato alle forze dell’ordine, che iniziarono ad indagare. In breve vennero alla conclusione che il Margiani il 3 gennaio si era reso responsabile dell’invio di una lettera anonima, con minacce di morte, ed aveva affrontato, con un revolver, il possidente terriero Mario Mimmi, riuscendo estorcendogli la somma di dieci lire. Nello stesso giorno si rese responsabile anche di una grassazione a danno di Pancrazio Sacripanti, facendosi consegnare con armata mano un mantello. Il Margiani fu catturato; ai reati commessi furono aggiunte altre due imputazioni: anzitutto quella di aver falsificato il passaporto "per uso proprio" (non era consentito ad un sorvegliato speciale spostarsi da un luogo all’altro, e in quel periodo gli spostamenti, anche nell’interno dello Stato, era oggetto di rigoroso controllo) e quindi l’altra imputazione di porto abusivo di revolver, "con la circostanza aggravante di essere persona sospetta, diffamata e sottoposta a speciale sorveglianza". Per i reati commessi fu condannato a dieci anni di lavori forzati ed alla sorveglianza per cinque anni, all’interdizione dai pubblici uffici e all’interdetto legale[30] .
Nel mese giugno del 1882 Sante Pozzi[31] detto "Caccasigari", uscito dal carcere di Soriano dopo aver scontato una pena, non curante delle restrizioni di sorvegliato speciale, invece di ritornare presso i suoi al paese natale, San Michele in Teverina, per presentarsi al sindaco, preferì aggirarsi nel circondario di Viterbo, perpetrando delle estorsioni a vari possidenti terrieri e chiedendo loro alimenti e danaro. Il solo fatto che il Pozzi si facesse vedere armato ed in compagnia di altri malavitosi, incuteva grave timori nelle sue vittime, minacciandole pesantemente. Tra i malcapitati, ricordo Bacchi e Mimmi da Montefiascone, Caramora e Paoletti da Toscanella, Manetti di Capodimonte, Scerra e Calcagnini di Viterbo.
Il brigante Canale[33] compì delle scorribande nelle tenute di S. Bernardino (Montefiascone) a danno dei possidenti Mario Mimmi e Gaetano Bacchi e nel territorio di Toscanella nelle località di Castel Ghezzo e Poggio Martino.
L’unico brigante nativo di Tuscania è Damiano Menichetti di Domenico e di Pellegrini Geltrude, nato il 1° aprile 1858, il quale unitamente alla famiglia si trasferì ancora bambino a Bassano in Teverina.[34]
Il 23 ottobre 1889 i briganti Leonardo Sinopoli[35], Ignazio Pascarelli[36] e Giuseppe Puggini[37], dopo numerose scorribande nel Viterbese, si macchiarono di innumerevoli reati, poi si portarono in Maremma; da dove inviarono all’ingegner Vittore Caramora, nella sua tenuta di San Giuliano (Toscanella), una lettera minatoria[38] con richiesta di danaro. L’ingegner Caramora, per nulla intimorito, finse di non capire ed inviò ai tre malfattori solamente delle provviste alimentari. Una settimana più tardi, sollecitato ancora a pagare, l’ingegnare aggiunse ai viveri la somma di lire dieci, che i tre rifiutarono con sdegno ed annunciarono minacce e vendetta, che in realtà non si concretizzarono mai.
L’episodio di brigantaggio più efferato verificato a Tuscania, accadde il 19 dicembre 1896, con l’uccisione del giovane carabiniere Fortunato Cristanelli[39]. Mi limito a riportare i fatti ufficiali, senza alcun commento.
Il 18 dicembre 1896 perveniva notizia al comando della tenenza dei Carabinieri Reali di Toscanella (Roma) che, verso le ore 14.00, era giunto in Roccarespàmpani un tipo losco, che, dalla descrizione somatica, poteva configurarsi con il latitante Pietro Pappatani fu Michele, nato a Leprignano (attuale Capena)[40] il 17 settembre 1841, noto brigante autore di numerosi reati contro il patrimonio e contravventore alla vigilanza di P.S. Il comandante della tenenza dispose immediatamente l'invio a Roccarespàmpani del brigadiere a cavallo Rossi Giuseppe, che prestava servizio presso la stazione Carabinieri di Viterbo ed in servizio temporaneo a Toscanella quale comandante interinale e il Carabiniere a piedi Fortunato Cristanelli.
Alla pattuglia si unì l'ispettore delle guardie daziarie di Toscanella Placido Quarantotti.
I militari intrapresero il loro servizio alle ore 16.00 del 18 dicembre e pattugliarono la suddetta zona per tutta la sera e la notte successiva solo alle ore 09.00 del giorno 19 un certo Angelo Bugati di Antonio di anni 30 abitante a Roccarespàmpani, di professione pagliarolo, informò il brigadiere Rossi e il carabiniere Cristanelli che uno sconosciuto armato e dai connotati corrispondenti al Pappatani[41] era transitato in quella località con direzione di marcia verso la contrada Vaccareccia (territorio di Toscanella).
I Carabinieri avuta l'indicazione dal Bugati si diressero verso la località indicata. Giunti al casale di Pian del Giunco, ormai stanchi per il lungo camminare, si concessero una meritata sosta. Al termine della sosta, l'ispettore Quarantotti si congedò dal brigadiere Rossi e dal carabiniere Cristanelli, ritornando a Toscanella mentre i due Carabinieri ripresero il cammino verso Pian della Selva.
Lungo il percorso il Brigadiere Rossi e il Carabiniere Cristanelli notarono sulla strada la presenza di orme lasciate da un uomo. Seguirono le orme e costatarono che le stesse erano dirette dentro una capanna la cui porta di accesso era nella parte opposta rispetto la loro direzione di marcia. I militari giunti a circa 200 metri dalla capanna videro che un individuo armato e dai connotati corrispondenti al Pappatani si dava a precipitosa fuga con direzione di marcia verso il fosso di Pian della Selva.
Il Brigadiere Rossi ed il Carabiniere Cristanelli si posero all'inseguimento, intimando lo sconosciuto di fermarsi e, con lo scopo di intimorirlo, esplosero anche dei colpi di moschetto in aria.
L'uomo per nulla intimorito proseguì la sua corsa.
Nel frattempo, il carabiniere Cristanelli più agile e veloce stava per raggiungere il malvivente quando quest’ultimo si voltò bruscamente e scaricò il suo fucile contro il militare. Il carabiniere Cristanelli fu colpito al lato destro della faccia e cadde terra esanime.
Il brigadiere Rossi raggiunse il carabiniere Cristanelli e lo trovò in una pozza di sangue e già cadavere. Resosi conto dell'accaduto cercò di inseguire il malvivente ma lo stesso si era dileguato lungo il fosso.
Il sottufficiale chiese aiuto ad un pastore, che era nelle vicinanze, Giandomenico Antonelli fu Domenico, di anni 56, dipendente del Sig. Marini. Attese l'arrivo tenente CC.RR Tondi, comandante della tenenza di Toscanella e quindi proseguire la ricerca del famigerato brigante Pappatani.
Il corpo del coraggioso carabiniere, riverso a terra coperto con un mantello da carabiniere, fu lasciato in quella posizione, fino al giorno dopo, quando il medico dr. Monti di Toscanella fece la ricognizione del cadavere e le formalità di rito. Lo ritrovò ai piedi del fosso della Cacarella con la rivoltella ancora in pugno, immerso in "una larga pozza di sangue, in mezzo al quale si vede un dente".
Il fatto, se per un verso fece un eroe dello sventurato Cristanelli, per un altro mise in allarme le Autorità di Polizia e una settimana dopo il giudice istruttore di Viterbo spiccò mandato di cattura mobilitando le tenenze di Toscanella, Viterbo e Civitavecchia.
Le attive indagini (doc.n. 2) espletate al fine di assicurare alla giustizia il Pappatani terminarono il 20 dicembre 1897 quanto i Carabinieri della Tolfa catturarono il brigante in località "Macchie Macinelle".
La Corte di Assise di Viterbo condannò il Pappatani a 30 anni di reclusione.
Al carabiniere Cristanelli Fortunato fu concessa (alla memoria) la medaglia d'argento al valor militare con la dizione:
""visto uscire, da una capanna, un pericoloso latitante ricercato dalla forza pubblica, non curante del pericolo si dava ad inseguirlo, ma, mentre stava per raggiungerlo, fatto segno ad un colpo di fucile esplosogli contro dal malandrino, rimaneva all'istante cadavere"".
Toscanella (Roma) 19 dicembre 1896.
Il comune di Toscanella,[42] a seguito del decesso del Carabiniere Fortunato Cristanelli, decretò il lutto cittadino facendosi carico delle spese funerarie e la tumulazione nel cimitero cittadino ove fu apposta una lapide con la seguente dizione:
Fortunato CRISTANELLI
Colpito da mano aliena
morì nel campo
vittima del dovere
nella florida età
di anni 24
pregate per lui
Per anni la Prefettura di Viterbo inviò del danaro al comune di Tuscania perché nel giorno della ricorrenza dei defunti per provvedere a comprare dei fiori da riporli sulla tomba dell'eroico carabiniere ma col passare degli anni anche questa finì nell'oblio.
Nel 1985 i componenti della Compagnia Carabinieri di Tuscania, fu risistemata la tomba e con una solenne cerimonia fu posta una lapide a ricorso dell’evento con la seguente dizione
Anno 1985
i componenti della
Compagnia Carabinieri
Tuscania
Il 5 settembre 1993 l'Associazione Nazionale Carabinieri in congedo -
Luigi TEI
[1] Roma, Archivio di Stato, Trib.Gov. Proc. Crim., n.196, ins. 22, cit. in I. POLVERINI FOSI, La società violenta. Il Banditismo dello Stato Pontificio nella seconda metà del cinquecento. Roma 1985, pp.11,12,92. BERTOLINI Giuseppe, Il Brigantaggio nello Stato Pontificio.Tipografia dell'Unione. Roma 1897; LUZI R., Il Brigantaggio "di confine" al tempo del ducato farnesiano di castro (1547-
[2] I. POLVERINI FOSI., op. cit., p. 94.
[3] CONSALVI Ercole, cardinale, patrizio Tuscanese, nato a Roma il giorno 8 giugno 1757 fu ministro delle Armi sotto papa Pio VI (Braschi) e Segretario di Stato con il papa Pio VII (Chiaramonti). Figlio del marchese Giuseppe e della Contessa Claudia Carandini di Modena. Il nonno di Ercole Consalvi a nome Giovanni Gregorio (in vari atti chiamato Giovanni Crisostomo) era nativo di Tuscania ed appartenente alla famiglia dei marchesi Brunacci, avevano il loro palazzo (ora Pocci) sulla strada maestra (oggi via Cavour). La burrascosa epoca napoleonica causò la caduta dello Stato Pontificio il Cardinal Consalvi fu esiliato da Roma e condotto in esilio unitamente al Papa (1814). Il Pontefice lo incaricò di trattare, presso le grandi potenze, per la difesa dei diritti della Santa Sede. Il Cardinale Consalvi si portò a Parigi, Londra mentre a Vienna prese parte al famoso congresso ed ovunque dette prova della sua grande abilità diplomatica. E' storicamente provato che Napoleone I° invidiò il Papa Pio VII per avere un abile e valoroso Segretario Stato e dichiarò apertamente di essere stato superato e vinto in più circostanze dal cardinale Consalvi. Il Cardinal Consalvi avvalendosi della fraterna amicizia del Cardinal Fabrizio Turriozzi più volte si adoperò per la salvaguardia dei monumenti religiosi di Tuscania che erano in rovina. Il suoi interventi valsero a restaurare la Basilica di S. Pietro. Il Card. Ercole Consalvi morì il 24 gennaio 1824 ad Anzio e le sue spoglie furono tumulate in Roma presso la chiesa di s. Marcello. Nel 1841 il comune di Tuscania, in riconoscenza all’illustre concittadino, commissionò un pregevole busto marmoreo allo scultore Vincenzo Bordoni che attualmente si conserva presso il palazzo comunale. AA.VV. Atti del Convegno interregionale di storia del Risorgimento – "Pio VII e il card. Consalvi: un tentativo di riforma nello Stato Pontificio" Istituto per la storia del Risorgimento Italiano – Comitato di Viterbo. Viterbo. 1981. AA.VV. Nel I Centenario della Morte del Card. Ercole Consalvi. XXIV Gennaio MDCCCXXIV – MCMXXIV;
[4] Il capitano dei birri veniva chiamato anche bargello e comandava le truppe di Polizia. Per Bargello s’intendeva anche il Palazzo in cui risiedeva il capitano e il carcere in cui erano reclusi i malfattori.
[5] Il Birro o sbirro era il tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica; stava alle dirette dipendenze del Capitano o Bargello. I Birri erano organizzati in squadre, non erano sottoposti a particolari selezioni e venivano assoldati anche tra soggetti la cui condotta non era scevra da vicende giudiziarie talora anche gravi. La generale disorganizzazione dello Stato Pontificio, i comportamenti spesso violenti ed illegali, la stretta dipendenza dei Birri dai Bargelli, che li impiegavano talvolta come milizia privata, li rendevano invisi alla popolazione; erano costosi per lo Stato e completamente inefficienti. Pertanto i Birri, arruolati, pagati e licenziati dal Bargello, riconoscevano lui solo come Padrone e la loro inefficienza non consentiva un razionale impiego, a seguito della mancanza assoluta di coordinamento tra i vari "Bargelli" e la non omogeneità d’azione e di rispetto delle leggi. V. DEVOTI, Il Corpo del Carabinieri Pontifici. Lunario Romano – Insorgenza e Brigantaggio nel Lazio dal XVI al XX secolo, Palestrina novembre 2001. pp. 113 -
[6] Il corpo militare dei Carabinieri Pontifici fu istituito con funzioni di Polizia su ordinamento ed istituzioni di origine napoleonica ed acquisiti dallo Stato della Chiesa, dietro l’esempio di quanto avevano già fatto da altri Stati Italiani sul modello della gendarmeria francese. I primi, in realtà, furono i carabinieri di Sardegna, istituiti nel 1814 da Vittorio Emanuele I, e giunti fino a noi dopo l’unità d’Italia. Ivi pag.115-
[7] A Tuscania i Carabinieri Pontifici ebbero la loro sede in Piazza Matteotti "Palazzo della Meridiana".
[8] GALASSO G. L’Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Volume diciottesimo, Tomo Primo, anno 1986 pagg. 623-
[9] DI PORTO B., Il primo ventennio di Viterbo italiana, in "ANNALI, Libera Università della Tuscia", anno accademico 1972 – 73, Anno IV fasc. III e IV pp.147-
[10] Domenico Tiburzi "detto Domenichino" nacque a Cellere (VT) il 28 maggio 1836 da Nicola e Lucia Attili. Fu il più famigerato brigante della Maremma e, per oltre un trentennio, si rese responsabile di numerosi reati contro la persona ed il patrimonio. All’età di 16 anni è incluso in un elenco di ricercati per furto, a 19 è condannato per furto campestre dal Pretore di Toscanella. MATTEI A., "Brigantaggio Sommerso – Storia di doppiette senza leggenda" – Scipioni Editore-
[11] Domenico Biagini "detto il Curato" nacque a Farnese il 12 luglio 1831 da Giuseppe e Maddalena Narcisi unitamente al Tiburzi commise efferati reati.
[12] Luciano Fioravanti, di Luigi e Francesca Corboli, nato ad Acquapendente il 12 dicembre 1857: fu persona incline a commettere reati contro la persona ed il patrimonio.
[13] Fortunato Ansuini di Francesco e di Antonia Coccia, nato a Norcia (PG) il 30 aprile 1844, si rese responsabile con Damiano Menichetti di numerosi reati contro la persona ed il patrimonio: ricordo in particolare l’omicidio del Brig. CC.RR Sebastiano Preta comandante della stazione di Latera.
[14] Desidero ringraziare il Dott. Antonio Mattei, autore del volume "Brigantaggio Sommerso – Storia di doppiette senza leggenda" – Scipioni Editore-
[15]La Pretura di Toscanella fu istituita nel 1872. COSTANTINI D. – L’archivio giudiziario del Governatorato di Toscanella –Tesi di laurea – anno 1999. COSTANTINI D. L’archivio Giudiziario, in "Omnia Tuscania" anno II, n. 9 – nov. e dic. 1999. MATTEI A. , Op. Cit. pag.44.
[16]Nel Giornale Militare Ufficiale n. 13 del 10 aprile 1874 (atto n. 63 Scompartimento Territoriale dell'Arma dei Carabinieri -
[17] Il conte Carlo Emanuele Muzzarelli (fratello di Carolina Muzzarelli, moglie dello storico tuscanese Secondiano Campanari) fu un personaggio di un certo rilievo; tra l’altro contribuì alla costituzione della Seconda Repubblica Romana del 1849 con Terenzio Mamiani e fece parte del governo, ricoprendo la carica di ministro. Mario Caravale-
[18] Papa Innocenzo XII (1691-
[19] L'avvocato Campanari Secondiano, (1805-
[20] Gaspare Bernardo Pianetti fu vescovo di Viterbo e Tuscania dal 3 luglio 1826 al 4 marzo 1861. GIONTELLA G. Cronotassi dei vescovi della diocesi di Tuscania, in "Rivista Storica del Lazio", n.7, anno 1977, pp. 65 e 66;
[21]Gio: Tommaso Silvestrelli nato a Toscanella nel 1776, fu un ricco possidente di professione commerciante. Si trasferì a Roma nel 1820. Nel 1826 si sposò con Teresa Gozzani di San Giorgio ed ebbero ben sette figli in 10 anni: Luigi 1827, Giuseppe 1829, Cesare 1831, Elisa Maria 1833, Maria Luisa 1835, Caterina 1837, La fortuna economica veniva da larghi possedimenti da un fiorente allevamento di cavalli di razza, da stabili entro la città morì a Roma il giorno 11 novembre 1853. Fu grande benefattore tanto che presso il Comune di Tuscania una lapide che ne ricorda l'operato:
AL CITTADINO PATRIZIO TOSCANESE / GIO' TOMMASO SILVESTRELLI / AGRICOLA SAGACE / INDUSTRIOSO / BENEFATTORE INSTANCABILE INTELLIGENTISSIMO / CHE NEL TEMPO MAGGIORE /
VOLLE IN CIASCUN GIORNO / NELLE PRIME ORE DEL MATTINO / ASSECURATO DAI CAMPAGNUOLI /
IL RELIGIOSO CONFORTO / DELL'INCRUENTO SACRIFICIO / PROVVIDE AGLI INFERMI NELLO SPEDALE /
AGLI ORFANI ED AI POVERELLI / ASSEGNO' DOTE AL MONISTERO / TESTANDO IN PERTPETUO LA SOMMA / DI SCUDI 13.200 / IL CONSIGLIO DELLA PATRIA / NEL GIORNO 5 MARZO 1854 / A PROPOSIZIONE
DEL GONFALONIERE GIUSEPPE DOTTARELLI / PLAUDENTE / IL PRESTANTISSIMO PRESIDENTE DELLA PROVINCIA / MONSIGNOR PIETRO LASAGNI / A SEGNO DI PUBBLICA RICONOSCENZA / DECRETO QUESTA LAPIDE /
Ad Ischia di Castro (attuale Piazza Eraclio Stendardi) è stata posta un'altra lapide a ricordo del benefattore:
LA PUBBLICA RICONOSCENZA / PIU' CHE IL MARMO RICORDI / GIO' TOMMASO SILVESTRELLI
PATRIZIO TOSCANESE / CHE NEL 1853 / LASCIO' AI POVERI D'ISCHIA / LA RENDITA ANNUA DI SCUDI SESSANTA / QUESTO MUNICIPIO / CON ATTO DEL 13 APRILE 1890 / ALL'ILLUSTRE BENEFATTORE
DECRETAVA
Il figlio Bernardo Maria, al secolo Cesare (nato a Roma il 7 novembre 1831) fu Padre Passionista -
[22] JANNATTONI L., Mastro Titta boja di Roma, Roma, 1984 pag.115.
[23] Nicola Porta "detto il Crudo", nato a Soriano del Cimino (Viterbo) nel 1836, si rese responsabile di rapine, incendi, grassazioni, ricatti, ed omicidi. Ha capeggiato una banda che raggiunse anche quaranta unità. MATTEI A., Op. Cit. pag. 60.
[24] MATTEI A. op. cit. pagg.35-
[25] L’ing. Cav. Imperio Marcelliani ha retto la carica di sindaco di Toscanella nel periodo 10 settembre 1880 -
[26] Luigi Rufoloni, di Mariano e di Maria Rosa Cimichella, nato a S.Angelo di Roccalvecce il 3 dicembre 1835 si rese responsabile con altri di estorsioni e rapine. MATTEI A. , Op. Cit. pagg.91-
[27] Bonaventura Pompei detto il "ciocco"
[28] I fratelli Balestra erano proprietari di terrieri in località San Giuliano ubicata ad ovest di Tuscania di S. Giusto ed in località denominata "la Cavallaccia" LA BELLA A. – MECAROLO R. op.cit., pag.85 .
[29] Dai Registri dei battesimi della Cattedrale di Tuscania n. 15 (1830 -
[30] BARBINI B.Briganti…senza pretese nella Tuscia di fine ottocento. Lunario Romano – Insorgenza e Brigantaggio nel Lazio dal XVI al XX secolo. Palestrina novembre 2001 pag. 150; A.S.V. Corte Assise. ASV Busta 71 fascicolo 470.
[31] Sante Pozzi è nato a San Michele in Teverina nel 1853. MATTEI A. , Op. Cit. pagg.194-
[32] L’AVVENIRE (quotidiano) del 20 settembre 1883. pag. 4.
[33] Pasquarelli Ignazio "detto Canale" fu Filippo e Marta Lucia nacque a Marta (VT) il 24 gennaio 1850 era solito aggirasi nei dintorni di Marta e Toscanella e sovente girava disarmato e cadde nelle mani dei carabinieri mentre dormiva sotto un fienile. MATTEI A., op.cit pag.132-
[34] Archivio storico comunale di Tuscania – registro n.3 – nati (1857 – 1858) c.20r n.35 (del 1858) "Die 1° aprilis 1858 – Damianus, Aloysius filus Damiani defunctis Menichetti et Gertrudis Pellegrini, coniugum tuscanesium, natus 1° aprilis hora 22 sub paroecia Archisbyteratus (attuale chiesa concattedrale di San Giacomo), baptizatus fuit a me infrascripto; quem de sacro fonte levavit Petrus Fiorucci; obstetrix vero fuit Ursula Capodicasa, Ita est Joannes Cesetti pro-
Dal curriculum del Menichetti si rilevano numerosi reati e di condanne contro la persona ed il patrimonio: a suo carico figurano: tre mesi di reclusione per tentato furto (Tribunale di Civitavecchia, 9 gennaio 18975); tre mesi di prigione per ferimento volontario (Pretura di Soriano nel Cimino, 16 maggio 1878) due mesi di reclusione per oltraggio e violenza alla forza (Tribunale di Roma, 23 ottobre 1885); altri cinque giorni per violenza alla forza (Pretura di Roma , 25 marzo 1887); un mese di carcere per appropriazione indebita (Pretura di Roma 23 maggio 1888); lavori forzati a vita per alcune rapine e un mancato omicidio (Corte d’Assise di Roma, gennaio 1889). Il 3 giugno 1891 si rese responsabile, unitamente a Fortunato Ansuini, dell’omicidio del brigadiere CC.RR Sebastiano Preta Comandante della stazione di Latera (Viterbo) e, dopo una precipitosa fuga, le forze dell’ordine riuscirono ad arrestarlo in località "la macchia di Acquarossa" e a tradurlo in stato di arresto dapprima a Valentano e successivamente a Viterbo. Il Menichetti inizialmente declinò false generalità, asserendo di chiamarsi Cesare Proietti da Toscanella. Per questo reato fu condannato all’ergastolo e non uscì più dalla prigione, dove ebbe seri problemi di salute e perse completamente la vista. Il Menichetti fu anche poeta e, tra un omicidio ed una grassazione, componeva dei versi; fu il giornalista Adolfo Rossi a scoprirne lo spessore del pensiero. ROSSI Adolfo nel suo libro "Nel regno di Tiburzi" pubblica una lettera del Menichetti in risposta alla madre, preoccupata delle pessime condizioni di salute del figlio recluso. Il Menichetti, invece di tranquillizzare l’accorata madre, inveiva contro di lei, rinnegandola ed indirizzandole cattive parole per averlo messo al mondo. LUZI R.. Una tomba per un eroico "figlio di mamma" ricordo del Brigadiere dei CC.RR Sebastiano Preta Lunario Romano – Insorgenza e Brigantaggio nel Lazio dal XVI al XX secolo. Palestrina novembre 2001 pagg. 221 -
[35] Leonardo Sinopoli, calabrese, di Borgia fu trovato cadavere nella vallata di Paolaccio il 30 dicembre 1889 dal Brigadiere di Latera Sebastiano Preta, sottufficiale dei CC.RR che rimarrà ucciso il 3 giugno 1891 in uno scontro a fuoco con i briganti Fortunato Ansuini e Damiano Menichetti. MATTEI A., op.cit pagg.117-
[36] Pascarelli o Pasquarelli: si veda la nota 32.
[37] Giuseppe Puggini di Giacinto e di Rosa Buttarini, detto il "Moretto" era nato a Marta (Viterbo) il 3 giugno 1853. Alto m.1,69, piuttosto tarchiato, aveva capelli, barba, ciglia, ed occhi neri e per questo fu soprannominato "il Moretto".
LA BELLA A.. – MECAROLO R. op. cit. pag.298 nota 50.
[38] La lettera inviata dai tre briganti Sinopoli, Pasquarelli, e Puggini era del seguente tenore:
"Pregiatissimo Signore
vi precamo di vero core di mandare la soma di Lere 300 che navemo un gran besogio duque pessatice pene che melo il vostro e questa sarà ultima volta che noi ve comendamo e vi saluta de vero core e siamo Sinopoli, Pascarelli e Puggini.
MATTEI A. , Op. Cit. pagg.128-
[39] Il Carabiniere a piedi Fortunato Cristanelli di Giovanni e di Zavatteri Maria era nato ad Avesa (Verona) il 18 aprile 1872 ed era in servizio presso la stazione CC.RR di Toscanella.
[40] Pietro Antonio Pappatani detto "Pappatà" o "Pipone", nato a Leprignano (oggi Capena) il 17 settembre 1841. Fin da giovanissimo conosce più volte la galera dove finisce anche per aver ucciso il proprio patrigno e per aver minacciato a mano armata la propria madre (1862). Dal 1865 al 1879 nulla si sa di lui. Nel 1880 era nel carcere di Soriano dal quale dopo poco tempo verrà dimesso. Anziché tornare a casa, prende la via della macchia. Il primo aprile dello stesso anno i Carabinieri di Ronciglione e di Capranica lo arrestano di nuovo nella campagna di Nepi. La Corte d’Assise di Viterbo lo condanna a quattro anni di reclusione e cinque di sorveglianza speciale che non rispetta; per cui, nell’aprile 1885 la Corte di Cappello di Roma e lo condanna con altri tre mesi di reclusione. Dopo aver scontato la pena torna imperterrito a briganteggiare. Viene nuovamente arrestato ed inflitti dieci anni di detenzione per due estorsioni e un omicidio volontario. Nel 1896, ormai cinquantaduenne esce dalla colonia penale di Castiadas (CA), e si rende ancora una volta latitante affliggendo alle popolazioni della costa tirrenica da Orbetello a Nettuno. Il 19 dicembre 1896, sorpreso dalle forze dell’ordine nelle vicinanze di Toscanella (oggi Tuscania), riesce a mettersi in salvo dopo aver ucciso il ventiquattrenne carabiniere Fortunato Cristanelli. La sua carriera di brigante finisce la mattina del 10 gennaio 1897, quando una pattuglia di militi della stazione di Barbarano Romano lo cattura presso la capanna di un carbonaio. Condannato a trent’anni di carcere, è presumibilmente morto in qualche penitenziario. MATTEI A., op.cit., pagg.154-
[41] Statura mt.1,73, corporatura regolare, capelli tendenti al grigio, color bruno, barba castana, occhi cerulei, naso aquilino con perme dilatato che sembra schiacciato. A.S.V. Processi Corte d’Appello, b.84, f.578 e P.C.A, b.166, f.2022.
[42] La giunta del comune di Toscanella in data 20 dicembre 1896 fece la seguente delibera ""Ieri alle ore pomeridiane, trovavasi di servizio a Pian della Selva il Carabiniere Fortunato Cristanelli s'incontro col latitante, tal Pappatani attivamente ricercato dalla polizia. Il carabiniere Cristanelli inseguì coraggiosamente il latitante datosi alla fuga nello intento generoso di prenderlo vivo non fece uso delle armi: ma tale atto umanitario doveva avere tristi e dolorose conseguenze. Infatti l'animoso e generoso giovane colpito dalla palla dell'assassino e ci rimetteva la vita. La giunta unanime delibera rendere solenni onoranze funebri al valoroso giovane a spese del Municipio. Firmato Candido Onofri Sindaco"". A.s.co.T., Consigli, 1896-