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IL SAVIOZZO ALLA CORTE DEL TARTAGLIA
L'ITALIA DELLA SECONDA METÀ DEL XIV SECOLO È CARATTERIZZATA DALL'ATTIVITÀ MERCENARIA DEI CAPITANI DI VENTURA CHE OFFRIVANO I PROPRI SERVIZI MILITARI AL VARI SIGNORI E SVOLGEVANO UN RUOLO DETERMINANTE NELLA VITA POLITICA DEI VARI STATERELLI.
Nell'Italia centrale i più importanti di essi furono: Braccio da Montone, che riuscì ad ottenere la Signoria di Perugia e di gran parte dell'Umbria; Muzio Attendolo Sforza, poi suo figlio Francesco, che ebbe dapprima il Marchesato di Ancona e, verso la metà del XV secolo, divenne addirittura Duca di Milano; Angelo Broglio da Lavello, detto "il Tartaglia", che lottò con tutte le sue forze per costruirsi un proprio feudo nello Stato della Chiesa. A tale scopo, nel 1414, il Tartaglia si impadronì di Toscanella e, data la sua posizione strategica, la scelse come residenza facendo ristrutturare alcuni edifici nella zona di Poggio Fiorentino, realizzando così una roccaforte all'interno della città.
Il Tartaglia era sempre immerso in intrighi, scorrerie e violenze che terminavano quasi sempre in grandi abbuffate. Il bellicoso condottiero era al soldo del signore che pagava meglio. Iniziò la sua carriera alle dipendenze del capitano Cecchino di Broglia da Trino (vercellese), con il quale combatté al soldo di Firenze, poi dei Senesi, quindi di Ladislao di Durazzo, re di Napoli. Fu al seguito di costui che arrivò a Toscanella, durante la tempesta religiosa che portò al grande scisma d'Occidente. Dal papa Martino V (Colonna) fu nominato Conte di Toscanella. Come tutti i potenti di quel tempo, anche il Tartaglia amava circondarsi di poeti e eruditi.
A Toscanella giunse così, dopo aver girovagato in molte corti italiane (Rimini, IMontefeltro) il poeta senese Sìmone Serdìni detto "il Savìozzo". Grazie alla sua spiccata erudizione poetica il Saviozzo entrò dapprima in amicizia con il Tartaglia e poi nelle grazie di una sua cortigiana. Scoperta la tresca amorosa, il Tartaglia fece imprigionare il poeta nelle segrete del suo palazzo. E' probabile che l'avrebbe sommariamente processato e giustiziato se non fosse stato improvvisamente chiamato da papa Martino V a combattere, insieme a Muzio Attendolo Sforza (suo acerrimo nemico) nel Napoletano in favore del pretendente al trono Luigi III d'Angiò. Il Saviozzo restò a languire in carcere ben sapendo che il Tartaglia al ritorno lo avrebbe fatto morire tra mille tormenti.
Preso da un profondo sconforto, dopo aver scritto l'ultima poesia (Le infastidite labbra in cui già posi....) si suicidò con un coltello. Il poveretto non avrebbe attuato l'insano gesto se solo avesse immaginato che il Tartaglia non avrebbe mai più fatto ritorno a Toscanella. Proprio in quei giorni, infatti, Muzio Attendolo Sforza aveva scritto al Papa accusando il Tartaglia di intendersela con il nemico. Il Pontefice aveva risposto dando l'ordine di eliminarlo cosa che lo Sforza non tardò a mettere in pratica facendolo arrestare e decapitare nella piazza principale di Aversa: era il dicembre del 1421.
Le poesie del Saviozzo sono state di recente riproposte dall'attore Pietro Benedetti durante una singolare performance che ha avuto come scenario il Lavatoio di largo delle Sette Cannelle (ndr).
LUIGI TEI