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14. GIOVANNI III DI VICO E COLA DI RIENZO.
Dopo la morte di Matteo Orsini, era entrato sulla scena un nuovo personaggio, Giovanni III di Vico, che debuttò con l’assassinio del fratello Faziolo (aprile 1338) divenendo signore incontrastato di Viterbo.
Quando Giovanni di Vico si interessò a Tuscania, da diverso tempo la Città era tornata sotto il Campidoglio. Forte dell’alleanza di Benedetto, Monaldo e Corrado Monaldeschi, Giovanni la occupò, unitamente a Piansano.
Con l’acquisto di Vetralla e Bagnoregio, si era già creato una discreta base territoriale, con centro in Viterbo. In base agli impegni assunti scambievolmente, Benedetto Monaldeschi divenne podestà di Tuscania, ma Giovanni vi mandò ad abitare suo fratello Sciarra di Vico, per controllare meglio la situazione. Al principio i senatori romani lasciarono fare, ma, nell’inverno del 1347, scacciarono dall’ufficio di podestà Benedetto Monaldeschi e vi misero un uomo di loro fiducia.
Poco dopo, a Roma, accaddero fatti di vasta risonanza. Cola di Rienzo, già sulla scena capitolina da qualche anno, il 20 maggio 1.347, operò un arditissimo colpo di stato: si proclamò "Tribuno" e piegò tutti al suo volere.
Nell’assetto amministrativo, Cola si occupò anche di Tuscania, stabilendo un trattamento "di grazia" piuttosto favorevole. Dopo aver inviato nella Città un uomo a lui fedele, Nicola di Fusca Berta, "podestà per il nostro signor Tribuno e per il sacro popolo romano", sostituì il censo annuo delle mille libbre di denari con cento fiorini d’oro (come tassa sul "focatico") e con un semplice cero, del peso di 100 libbre, che ogni anno i Tuscanesi avrebbero portato a Roma, in omaggio alla Chiesa di S. Maria dell’Aracoeli.
Di questa sua disposizione Cola ne scrisse anche al Papa (8 luglio 1347). Quasi certamente anche i Tuscanesi parteciparono alla grandiosa manifestazione del 2 agosto (c’erano più di 25 città), allorché Cola volle concedere la cittadinanza romana alle città italiane. Al termine ci fu la cerimonia dell’inanellamento, con più di 200 anelli, che gli ambasciatori delle numerose città misero al dito, "in segno di fraternità, di pace e di amore".
Cola di Rienzo, dopo aver schiacciato la nobiltà romana, volle anche sottomettere Giovanni di Vico, che fu costretto a recarsi a Roma, per giurare fedeltà, portandosi dietro il figlio Francesco e il fratello Sciarra ("Sciarra da Toscanella", lo chiama Cola, per la continua dimora che costui faceva nella Città).
Fu un brutto momento per Giovanni ed i suoi. Passata la paura, Sciarra corse a Tuscania per chiedere al Comune tutto il denaro di cui era creditore.
Lo aveva preceduto anche Benedetto Monaldeschi, che aveva mandato a chiedere il residuo del suo salario di podestà (49 fiorini d’oro), perché, fuggendo via da Tuscania quando era giunto il podestà capitolino, non aveva avuto il tempo farsi saldare il conto.