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4. NUOVI TIRANNI SUL FINIRE DEL SECOLO: FRANCESCO DI VICO.
Con la strada spianata dall’Albornoz, Papa Urbano V poté riportare la sede da Avignone a Roma. Il 4 giugno 1367 sbarcò a Corneto. .
Trascorse il 7 e l'8 a Tuscania, ospite dei Francescani presso il loroconvento della Madonna dell’Olivo, posto ad un paio di chilometri prima di giungere a Tuscania per chi proveniva da Corneto. Per l’ospitalità ricevuta il Papa donò ai Francescani 25 fiorini d’oro; altri 10 ne regalò alle monacheClarisse Urbaniste, perché, forse, provvidero alla cucina e alle faccende domestiche.
Qui Urbano V ricevette il beato Giovanni Colombini, che aveva fondato l’Ordine dei Gesuati, e gli approvò la "regola". Il convento dei Gesuati, a Tuscania, era nel terziere di Poggio, in contrada della Rocca: al Museo si conserva un pezzo d’architrave della porta del convento stesso.
Da Viterbo, poi, il Papa andò a Roma; ma fu un ritorno breve, perché, il 17 gennaio 1370, era di nuovo sulla via di Avignone. Altri disordini si preparavano nel Patrimonio. lt .
A procurarli erano gli stessi rappresentanti papali, che amministravano, rubando spudoratamente. Tutti gli storici, a questo punto, fanno il nome di un viterbese, Angelo Tavernini, che, dal 1350, faceva il tesoriere del Patrimonio. Che fosse un ladro e uno strozzino era notorio (anche Piansano era divenuto suo), ma non era certamente il solo! Gli animi erano giunti sull’orlo della sopportazione.
Il grido di guerra quella volta partì da Firenze, che ne aveva fin troppo delle pretese dei legati pontifici.
La "Guerra degli Otto Santi", appena scoppiò nel 1375, da Firenze si ripercosse immediatamente nel Patrimonio, dove prese le redini della rivolta il prefetto Francesco di Vico, il figlio di Giovanni IlI, morto tempo prima. Viterbo lo acclamò come « signore ».
A Tuscania un moto popolare dei primi di dicembre scacciò i pontifici ed aprì le porte a Francesco. Lo stesso fecero Corneto ed altri castelli. Il rettore non aveva forze sufficienti per opporsi; allora si chiamò l’esercito del Campidoglio, guidato da Giovanni Cenci, che riuscì a recuperare Tuscania, ma Francesco di Vico continuava a dominare indisturbato.
Questo e molti altri problemi convinsero il Papa a partire per l’Italia. Fu la volta decisiva, perché non ritornò più ad Avignone. Egli, però, morì poco dopo (27 marzo 1378).
Al successore Urbano VI, fu subito opposto un altro Papa, Clemente VII, e si aprì uno Scisma che doveva dilaniare la Chiesa per 40 anni.
Il primo restò a Roma, il secondo andò ad Avignone. Francesco di Vico, manco a dirlo, fu dalla parte del Papa avignonese. Lo scisma favoriva Francesco, che si dette da fare per recuperare il terreno perduto. Nel novembre 1378, cercò subito di riassoggettare Tuscania servendosi anche delle milizie dei soldati bréttoni, lasciategli dal Papa avignonese. lt .
A Tuscania qualcuno gli aveva promesso di aprire, nottetempo, le porte. Visto che queste erano aperte, infatti, Francesco fece entrare una parte delle sue truppe, ma... era una trappola! Le porte furono subito richiuse e un esercito di Tuscanesi piombò sui malcapitati, facendone una strage: 50 morti. Gonfio di rabbia, Francesco andò a scaricarla sui poveri castelli di Ancarano e Rocca Glori.
La guerriglia continuò per diversi anni. Il territorio di Tuscania subì continuamente dei guasti da parte di Francesco, che, ripresa la Città il 3 aprile 1386, la tenne fino alla sua morte, quando fu massacrato a furor di popolo, in Viterbo, l'8 maggio 1387.
Il nipote, Giovanni IV di Sciarra di Vico, continuò sulle orme dello zio, ma, alla fine, dato che nel Patrimonio il séguito del Papa romano (Bonifacio IX) andava aumentando notevolmente, egli chiese la pace (1396), staccandosi dal Papa avignonese, troppo lontano.
Tuscania passava continuamente da una "sottomissione" ad una "liberazione", tanto che a ricordarle dettagliatamente ci si ridurrebbe ad aridi e noiosi elenchi.
Accenniamo solo all’occupazione del capitano di ventura Bernardone della Sarre, nel giugno-