Menu principale:
FORMAZIONE DEL “COMUNE” DI TUSCANIA
Dopo la costituzione dello Stato Pontificio, per qualche secolo (IX-
Nella ex-
Roma, cioè il Campidoglio, fu alla ricerca costante di uno "spazio vitale", sottraendo terre e castelli dalla diretta dipendenza della Chiesa, la quale talvolta si opponeva ma più spesso lasciava correre, anche perché le ricchezze che affluivano alle casse del Campidoglio, alla fin fine servivano sempre per una causa comune: sfamare il popolo romano e creare opere assistenziali.
Fu quindi la nuova realtà "comunale" di Roma, che, dopo il 1143, venne recepita dalle città della Tuscia, sedi di diocesi. Queste identificarono il territorio "diocesano" con quello "comunale", perciò mirarono subito a mantenerlo integro. up
Tra le diocesi di Orvieto, Tuscania, Bagnoregio e Castro, emerse decisamente Orvieto che riuscì ad attuare completamente le sue aspirazioni comunali. In tono alquanto minore si eressero a Comuni le ultime due.
La diocesi di Tuscania presenta uno sviluppo alquanto complesso. La Città non riuscì a convogliare attorno a sé tutto il territorio diocesano, anche se era in una posizione geografica ideale, per farlo. Uno dei fattori negativi fu la mancanza di potenti famiglie antagoniste, che si spronassero a vicenda, in una continua emulazione nel tenere in pugno il territorio.
Tutto ciò perché mancò un forte ceto commerciale e le famiglie nobili locali condussero, quasi sempre, una vita monotona e piatta, priva di grandi passioni, dedicandosi totalmente all’agricoltura e all’allevamento. La causa prima di tali fattori negativi va vista nel graduale abbandono della Via Clodia, già da tempo interrotta in più punti.
Ciò contribuì notevolmente a rallentare lo sviluppo di Tuscania, mentre un castello della diocesi, Viterbo, situato nei pressi della Via Cassia, si sviluppò rapidamente, nel giro di un quarantennio (dal 1150 al 1190), beneficiando del flusso continuo di Papi, Re, Imperatori, vescovi e pellegrini, che, proprio della Cassia si servivano per raggiungere Roma: da "castello", Viterbo salì presto al rango di "città" e, nel 1192, divenne diocesi, equiparata a Tuscania.
Anche se minore, non dissimile fu lo sviluppo di Corneto. Sfruttando la vicinanza del mare, attivò il porto ed intraprese una attività commerciale, legata alla sua produzione agricola interna e all’industria del sale, ponendosi in posizione autonoma rispetto a Tuscania.
Nella seconda metà del XII secolo, i giovani "liberi Comuni" della Tuscia ebbero la possibilità di svilupparsi senza troppe difficoltà, perché la massima autorità, il Papa Alessandro IlI, era troppo occupato nella lotta contro Federico Barbarossa.
Chi dette, invece, un serio colpo allo sviluppo esuberante dei nostri comuni, fu certamente il riordinamento dello Stato Pontificio (le "recuperationes") operato, con mano ferma, da Innocenzo III, alla fine del secolo: i "Comuni" della Tuscia dovettero abbandonare definitivamente l’idea di essere "liberi", tuttavia l’accorta politica di Innocenzo III permise loro di conservare una certa "autonomia", nel campo amministrativo e giudiziario, ma sarebbe, forse, più esatto parlare di "autarchia".
Il Papa divise lo Stato Pontificio in sei zone: la Romagna, la Marca d'Ancona, il Ducato di Spoleto, la Campagna, la Marittima e la Tuscia, che prese il nome di Patrimonio di S. Pietro in Tuscia.
A capo del Patrimonio il Papa nominava periodicamente due rettori: uno per gli affari amministrativi, uno per quelli spirituali; spesso, però, le due cariche coincisero in una sola persona.
Il rettore, con la sua curia, aveva sede a Montefiascone.
Solo alla fine del XIII secolo, Tuscania divenne sede invernale del rettore del Patrimonio.