Menu principale:
TUSCANIA ATTRAVERSO I SECOLI
di Giuseppe Giontella
L’ALTO MEDIOEVO (secc. VI-
Delle vicissitudini attraversate da Tuscania durante il Basso Imperonon sappiamo nulla, tranne che il Cristianesimo attecchì molto presto.
I Barbari non risparmiarono di certo la Città; ma, all’arrivo deiLongobardi nella Tuscia (574), Tuscania ci si presenta come una tra le città più importanti della zona: non per nulla era già da tempo sede di Diocesi ed il suo Vescovo aveva un’ampia giurisdizione, in un territorio compreso tra i fiumi Fiora e Mignone, dal lago di Vico al lago di Bolsena, fino al mare (figura n. 7). La sua autorità dovette certamente diminuire con l’invasione longobarda.
Quando Autari fu proclamato re dei Longobardi (584), ottenne da tutti i duchi la metà delle terre in loro possesso, per amministrare le quali egli nominava un gastaldo. Così fecero pure i suoi successori.
Nel Ducato di Tuscia, il gastaldo risiedeva a Tuscania, ma non sappiamo nulla della sua attività di funzionario regio, anche perché ne conosciamo uno solo: Ramningo, che, nel 742, fu mandato dal re Liutprando ad accompagnare il Papa Zaccaria, da Terni fino ai confini del Ducato Romano.
Il centro abitato di Tuscania si presentava ancora come durante l’epoca romana. La cinta muraria racchiudeva i tre colli della Civita, delRivellino e di Poggio Fiorentino. I documenti ci dicono che i colli diMontàscide, di S. Pellegrino e del Cavaglione rimanevano ancora fuori (figura n. 6).
Nella Città e nell’esteso territorio era un pullulare di vita agricola abbastanza attiva, che prendeva le direttive dall’Abbazia di S. Salvatore sul Monte Amiata, dall’Abbazia di Farfa e dal vescovo di Tuscania, i tre proprietari terrieri più importanti.
Il monastero dell’Amiata possedeva vasti appezzamenti nella fascia occidentale del territorio, nei villaggi di (Castel) Marano (presso Piansano), Arnena (Arlena di Castro) e, via via, lungo il corso del fiume Arrone.
Farfa possedeva, qua e là, beni disseminati nel castello di Viterbo e lungo il fiume Marta, soprattutto nella zona attigua al castello di Corneto.
Il mondo campagnolo era tipicamente longobardo, sia nei nomi come nelle leggi. I numerosissimi documenti (compravendite, locazioni e donazioni), oltre allo studio del diritto longobardo (un atto dell’809 è uno dei contratti di colonia parziaria più antichi che si conoscano in Italia) ci sono utilissimi per ricostruire l’estensione esatta del “comitato” tuscanese.
Tuscania veniva a trovarsi proprio nel cuore del suo “comitato”. Dall’alto del colle della Civita, la sede dell’Episcopato, adiacente alla cattedrale di S. Pietro, costituiva il fulcro dell’attività economica locale, anche se alcuni centri incominciavano ad evidenziarsi per una certa vita autonoma, come il castello di Viterbo, nei pressi della consolare Via Cassia, e il castello di Corneto, sul mare.
Rimanevano invece molto legati a Tuscania, oltre al Monastero di S. Stefano nell’Isola Martana (Lago di Bolsena), i centri agricoli abitati diPlazianula (Piansano) con il vicino Marano) S. Martino in Colonnata (oggi Poggio Martino), Quintignano (oggi Montebello), Arnena e Tessennano. LeAbbazie di S. Giusto e di S. Savino, la prima sul Marta, l’altra sul Maschiolo, avevano una propria individualità, ma dovettero certamente partecipare alla vita economica locale.
Con la fine del Regno longobardo (774), il territorio, conquistato da Carlo Magno, passò, a poco a poco, sotto il dominio dei Papi, per cui, in Tuscania, riprese certamente vigore l’autorità civile dei vescovi.
Non possiamo ricordarli tutti; ma dobbiamo accennare almeno a Virbono II, che, nell’852, ottenne un “privilegio”, dal Papa Leone IV, contenente il lunghissimo elenco dei beni della “mensa vescovile” nonché i confini precisi della sua diocesi.
Così pure ricordiamo la figura di Giovanni III, il vescovo che, nell’876, fu inviato in Francia, in qualità di legato pontificio, al Concilio di Pontigon, al quale partecipò l’imperatore Carlo II il Calvo.
Anche se scarsamente documentati, sono questi, per Tuscania, dei secoli di piena vitalità, i cui riflessi toccano ogni ramo dell’attività umana, non ultimo il campo artistico.
Già da tempo (almeno dal VI secolo) era cattedrale di Tuscania la chiesa di S. Maria Maggiore, che non siamo in grado di conoscere nelle sue forme originarie, perché ristrutturata dopo il X secolo.
Nell’852 questa chiesa, però, era già ridotta a semplice “pieve”: probabilmente le esigenze dei tempi richiedevano una sede più comoda e meglio difesa dalle incursioni saracene. In tale anno, pertanto, sul colle della Civita, era già stata innalzata la nuova cattedrale di S. Pietro. Molti resti, soprattutto nella cripta, testimoniano tale periodo storico, mentre altre parti (come la facciata) furono ristrutturate successivamente, nel Duecento.
Nel secolo X, pieno di disordini e particolarmente triste per l’Italia, in Tuscania dovette perdere d'importanza la figura del vescovo; anzi, forse la stessa diocesi cadde nello squallore. Non troviamo più il nome di un solo vescovo, fino al 1027, e il territorio sembra essere stato in balìa dei conti Aldobrandeschi, che possedevano quasi tutta la Maremma grossetana[1].
Della presenza degli Aldobrandeschi sappiamo poco, perché essi, in breve tempo, furono offuscati dai Marchesi di Toscana, la cui presenza, in territorio tuscanese, è evidente, soprattutto nel campo giudiziario, ma, accanto al tribunale del Marchese, siede anche il vescovo di Tuscania.
Quando il Papato cercò di scuotersi dal grigiore ed intraprese una radicale riforma ecclesiastica (la cosiddetta “Lotta per le Investiture”), svincolandosi dalla soggezione all’Impero, la posizione di Tuscania non fu molto chiara, trovandosi, come diverse altre città, ora dalla parte del Papa ora dalla parte dell’Imperatore.
Quando la “Lotta» fu al culmine” (1075-
Anche il vescovo tuscanese Riccardo, si trovò coinvolto nella lotta e si mantenne dalla parte imperiale, con l’antipapa Clemente III, almeno fin dal 1086, In cambio degli aiuti prestati, Riccardo riuscì ad ottenere da Clemente III un ampliamento territoriale: le diocesi di Blera e di Centumcellae (Civitavecchia) non ebbero più i vescovi titolari e furono unite per sempre a Tuscania; sicché, da Riccardo in poi, i vescovi si fregiavano con il titolo di “episcopus Tuscanensis Centumcellensis et Bledanus”.
Al di là di questi successi personali, la realtà quotidiana doveva presentarsi ben diversa, perché la posizione di Tuscania era quella del classico vaso di coccio costretto a viaggiare tra tanti vasi di ferro, perché, durante l’infuriare della lotta, nel 1077, subì considerevoli danni (si parla di mura spianate e case bruciate) da parte dell’esercito della Chiesa, che riprese Tuscania, scacciando gli uomini di parte imperiale.
Assediata, poi, ma inutilmente, nel 1081, dall’esercito di Enrico IV (composto di uomini raccolti alla rinfusa ad Orvieto, Amelia, Corneto e Vetralla), venne liberata dalla morsa dell’assedio, per l’intervento di un esercito pontificio, organizzatosi presso Montefiascone.
Qualche anno, finalmente, poté trascorrere in pace e i cittadini, nel 1082, incominciarono a rimettere in piedi le case bruciate e diroccate cinque anni prima; ma, poco dopo, si era nuovamente da capo, con assedi e saccheggi sempre più rovinosi.
Nel secolo successivo, anche se in tono minore, il discorso non è diverso: tra i cittadini di Tuscania prevale ora il gruppo dei filoimperiali ora quello dei filopontifici (basti ricordare la lotta fra il Barbarossa e Papa Alessandro IlI, nella seconda metà del secolo), Tutto ciò, naturalmente, senza alcun vantaggio per lo sviluppo di Tuscania, ma sempre a discapito di una sua potenziale fioritura economica.
________________________________________
[1] Non era sottomesso agli Aldobrandeschi il comune di Massa Marittima.