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Sul periodico viterbese “L’Altolazio” del 16-31 luglio 1981 pubblicai un articolo sugli scavi nell’acropoli di Tuscania, con la consulenza di Veniero Vacca, un caro amico deceduto prematuramente nello scorso anno.Con Veniero, oltre a trascorrere qualche ora di svago giovanile, il discorso finiva sempre sulla storia di Tuscania e, soprattutto, sull’Etruscologia, materia nella quale egli era particolarmente ferrato essendo addetto al museo nazionale di Vulci. In quel periodo la Soprintendenza stava effettuando degli scavi archeologici sul Colle di San Pietro e Veniero, con semplicità e competenza, mi rendeva edotto sullo stato dei lavori affinché potessi compilarne una breve sintesi.Oggi sento il dovere di rievocare il suddetto articolo per dedicarlo alla memoria di Veniero, un tuscanese sicuramente amante della storia del suo paese, un concittadino cui devo essere riconoscente perché mi ha sempre incoraggiato e spronato ad effettuare studi, ricerche e pubblicazioni sulla Tuscania etrusco-romana; inoltre, con le sue proposte e i suoi consigli, offrì un valido contributo nell’ambito del vecchio Centro Studi Storici “V. Campanari”, i cui soci lo ricorderanno sempre con affetto.L’articolo, compilato con la consulenza di Veniero, era del seguente tenore: nel 1800 fu rinvenuto sul Colle di San Pietro (chiamato anche Civita) il celebre sarcofago in nenfro del magistrato Arunte Larisal, preceduto dai littori, simbolo della sovranità statuale etrusca.Poi gli scavi sono cessati e soltanto ai tempi del sisma del 1971, nei pressi della strada per la cartiera, la Soprintendenza all’Etruria Meridionale rinvenne frammenti di ceramica villanoviana (circa sec. X a.C.).Successivamente, proprio sul Colle, a sinistra della Basilica di San Pietro, è stata portata alla luce una strada basolata (probabilmente una diramazione della Via Clodia) che immetteva all’interno di un abitato di epoca romana, con mosaici a tessere bianche e nere. Sopra tali costruzioni sono emersi manufatti medioevali: generalmente torri, bastioni ed opere in reticulatum, ecc.In taluni punti dell’area in oggetto, sotto le strutture romane, sono state rinvenute grosse cisterne per la raccolta idrica, scavate nel masso ed intonacate, oltre a cunicoli per il convogliamento delle acque con relativo deflusso e pozzi per l’attingimento.In altri punti sono emerse tracce di fondi di capanne con recupero di frammenti di villanoviano ed un frammento di sub-appenninico (circa XI sec. a.C.).La parte a destra della Basilica di San Pietro è caratterizzata dall’esistenza di strutture di epoca romana del periodo tardo-repubblicano. Queste strutture in alcuni punti “si lanciano nel vuoto” a causa del fenomeno di franamento delle pareti collinari per erosione idrica, onde è da presumersi che gran parte dei manufatti sia rovinata a valle.La Soprintendenza era occupata al restauro delle opere portate alla luce, consolidandole con precisione e competenza per renderle all’ammirazione del pubblico. L’elevato interesse che la Soprintendenza dimostrava per Tuscania derivava dalla notevole quantità di monumenti e di reperti che essa ha sempre restituito al mondo della cultura, collegandola alle principali città dell’Etruria antica.Ritornando al Colle di San Pietro va ricordata l’esistenza in loco di un buon tratto di muro etrusco in blocchi di tufo giacenti a destra della nominata Basilica, a dimostrazione che quivi si trovava l’Acropoli, ma la funzione specifica delle opere sarà descritta dagli studiosi al termine degli scavi.Allora gli appassionati potranno sentire, dalla viva voce del soprintendente e del direttore dei lavori, la conclusione di tanti anni di studio e di paziente ricerca.Infatti gli organi competenti programmarono di “scoperchiare” buona parte del Colle per poter stabilire, attraverso un accurato studio stratigrafico, la funzione precisa della zona e se quivi si trovasse effettivamente la “Civita”, cioè la città etrusca e romana.Tutto il materiale rinvenuto fu restaurato e collocato all’interno del museo di Santa Maria del Riposo in corso di allestimento, ma gli scavi sul Colle non furono più ripresi.Il Museo Archeologico nazionale fu inaugurato nel 1986 e arricchito progressivamente di numerosi altri reperti, alcuni dei quali di grande valore artistico, così da divenire una delle più importanti istituzioni culturali del Lazio per la storia etrusca e Veniero ne era veramente orgoglioso.Mi auguro che il ricordo di quest’uomo rimanga sempre presente e possa costituire un incentivo per gli studiosi e le associazioni culturali che operano per il progresso della nostra città.Tratto da Miscellanea di Storia Tuscanese,a cura di G.B. Sposetti Corteselli