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Il visitatore diretto a Tuscania, avvicinandosi alle basiliche di S. Maria Maggiore e di S. Pietro che domina dal colle, si pone la domanda: perché queste chiese a Tuscania? Una domanda legittima, dal momento che la storia tuscanese presenta numerosi punti oscuri che attendono di essere chiariti e apparenti aporie che necessitano di essere risolte.
La posta in gioco non è da poco: costituisce un aiuto ad una maggiore comprensione dello sviluppo della nostra civiltà. Tuscania non è un centro antico le cui espressioni rimangono circoscritte in ambito locale.
E' piuttosto una significativa pagina della storia della Tuscia ed una pagina della civiltà etrusco-romana ancora da decifrare.
Le sue manifestazioni escono dai suoi confini e contemporaneamente rimangono uniche nel panorama dell'antichità, a cominciare dal nome: Turskana per gli Etruschi, secondo l'interpretazione di A. Morandi, e Tuscana per i Romani. Cioè la Città degli Etruschi.
Qui tocchiamo il primo punto oscuro. Se Tuscania fu un punto di riferimento del mondo antico, perché tacciono le fonti? E perché gli studiosi di professione, senza una conoscenza diretta, sia dei luoghi come pure dei reperti sparsi nei cinque continenti, l'hanno considerata un sito tardo-etrusco, imbalsamandola in questa classificazione?
A questo proposito non è fuori luogo segnalare che già nel 1967 G. Colonna rilevava sulla rivista Archeologia che il caso Tuscania, cioè la falsificazione del suo passato, "è tra i più singolari nella storia dell'etruscologia". Sottolineando preventivamente che riguardo all'avarizia delle fonti ci troviamo di fronte ad un silenzio che in realtà grida, cercheremo di esaminare due aspetti di questo problema.
Il primo riguarda l'atteggiamento che possiamo chiamare "ufficiale".
Ritenuta inizialmente un sito di scarsa importanza, l'etruscologia, dopo le scoperte della seconda metà del Novecento, è passata ad una nuova classificazione: Tuscania è un centro intermedio tra le metropoli e i centri minori. Ma, osservando con obiettività tutto ciò che presenta il suo territorio e la sua storia, anche "un occhio non esperto" (G. Colonna) rileva che il nostro centro sfugge ad ogni classificazione. Tuscania non fu una metropoli come lo furono Caere, Veio, Vulci o Tarquinia e non fu nemmeno un centro minore.
Tali furono la vicina Musarna, Acquarossa o Corchiano, tanto per rimanere nel Viterbese.
Anche la definizione di centro intermedio sembra inconsistente e non ci aiuta a capire Tuscania. Nessun centro intermedio ha prodotto infatti espressioni come la Grotta della Regina, la cosiddetta Tomba degli Scanni, la Tomba con Portico tetrastilo di Pian di Mola o il Colle di S. Pietro, riguardo al quale nel 1986 A. Sgubini Moretti in Archeologia della Tuscia II scriveva che presenta "una sequenza stratigrafica che ha dell'eccezionale".
Allora come uscire dal buio?
Prima di rispondere è necessario soffermarci sul secondo aspetto del problema che stiamo esaminando. A rafforzare l'abbaglio "ufficiale" sta un fatto inquietante: Tuscania sembra aver attraversato i secoli passati senza "padrone", senza nessuno interessato a difenderne, conservare e accrescere in modo decisivo storia e memorie.
La storia è svanita, il patrimonio disperso e l'identità irriconoscibile. Da queste pagine già è stato segnalato come Tuscania sia stata considerata nel corso dei secoli una miniera da spogliare, con il risultato che quando il filone sarà esaurito, piomberà nel nulla, priva di ruolo e identità. Il confronto con altre realtà ci dà per risultato il fatto che il nostro centro non ha avuto mai personaggi come, ad esempio, il conte Mauro Faina ad Orvieto, che hanno raccolto e conservato.
A Tuscania è avvenuto il contrario. E' stato venduto e disperso. E come ha potuto prodursi questa estraneità tra gente e patrimonio, questa cesura della tradizione?
Questo è un altro dei punti del passato tuscaniese che necessita di un vigoroso chiarimento. Perché sia il presente che il passato parlano di numerose operazioni autolesionistiche. Nessuno si è accorto che nelle tombe di Ara del Tufo stanno svanendo segni che potrebbero essere salvati a costo zero e studiati, come probabilmente nessuno sa che agli inizi dell'Ottocento la basilica di S. Pietro era un cumulo di rovine e che allora, come sempre, si è dovuto intervenire dall'esterno. E non c'era nessuno, negli anni '80, a fermare la cementificazione del sito archeologico di Campo della Fiera, a due passi dalle chiese preromaniche del colle di S. Pietro.
Questa ondata devastatrice di una eredità che potrebbe essere invece trasformata in conoscenza, lavoro, prosperità per tutti, ha fortunosamente risparmiato le chiese di Tuscania e i siti etruschi di cui abbiamo detto.
Testimonianze che parlano di un aspetto, e di un aspetto solo, che ha salvato Tuscania dal naufragio e la rendono inconfondibile nel panorama dell'antichità: la religione.
Questa è la chiave per forzare i numerosi enigmi tuscanesi, questa è la pista più promettente che può aiutarci a capire il ruolo rivestito da Tuscania nell'antichità, quando si strutturò come area sacra e tale rimase ininterrottamente fino al medioevo. L'opera di "pulizia" di fonti e memorie condotta nel passato non ha potuto cancellare tutto e attendendo pazientemente all'opera di raccolta e connessione delle numerose tracce superstiti, potremmo rendere un prezioso servizio alla verità.
Il nostro lavoro può utilmente cominciare dalle basiliche tuscaniesi che, per fortuna, non sono state ancora cementificate, e indagandone i molteplici segni possiamo aprirci un varco verso la comprensione del loro significato e risalire ai culti pagani che vennero sostituiti da Cristo.
In questo percorso occorre preventivamente soffermarci su una considerazione relativa ai numerosi studi sulle due basiliche che si sono succeduti nel tempo: tutti appaiono contraddistinti da una settorialità che lascia inspiegate numerose espressioni, come ad esempio il motivo della loro presenza a Tuscania, la loro collocazione entro un'area ristretta e la disposizione spaziale, S. Maria Maggiore ai piedi del colle e S. Pietro alla sommità, ma sul ciglio.
Di volta in volta gli studiosi hanno preso in esame o la facciata, o la pittura, o l'architettura o una basilica alla volta, dimenticando che i due monumenti sono intimamente connessi e insieme al colle costituiscono una vera e propria configurazione. Il significato di essa, allora, apparirà chiaro solo quando chiesa di S. Pietro, chiesa di S. Maria Maggiore, colle e segni verranno studiati come intimamente correlati.
E' del resto un'autorità come Richard Krautheimer, esperto di architettura paleocristiana e bizantina, a ricordarci che il simbolo non è precedente all'edificio di culto, né conseguente, ma si precisa e cresce all'interno di una configurazione. E qual è il valore simbolico del Colle di S. Pietro? Tutti gli elementi analizzati portano ad un'unica conclusione: per pagani e cristiani il colle tuscaniese fu il colle della luce.
Di una importante divinità solare nell'epoca pre-cristiana e di Cristo-Sole durante il Cristianesimo emergente. I principali elementi che ci hanno condotto a questa conclusione sono il volto trifronte presente nella facciata di S. Pietro, sotto la bifora di sinistra e l'arco dislocato nel sagrato. Interpretato come un demonio, il volto è in realtà una divinità pagana della quale la comunità cristiana vuole mostrare la natura demoniaca reiterandone la rappresentazione sopra la bifora.
Ma, mentre, sotto, la chioma è costituita da inequivocabili raggi solari, nel volto superiore compaiono le corna.
E questo è un programma iconografico coerente con la situazione di IV-V secolo quando lo sforzo del cristianesimo era quello di battere il politeismo sul piano ideologico. E i Padri della Chiesa del tempo furono impegnati non tanto ad abbattere templi, quanto ad abbattere idee.
Sono valide queste argomentazioni in una facciata romanica, concordemente attribuita all'XI secolo?
Questo è il secolo attribuibile a quello che vediamo, ma molti segni indicano che la prima edificazione della chiesa di S. Pietro va retrodatata ad epoca costantiniana.
Tra questi segni risultano immediatamente evidenti l'abside quadrata posta a base di quella semicircolare, ricorrente negli edifici paleocristiani; il fatto che le due cattedrali furono edificate entro la cerchia urbana e l'orientamento, facciata ad est e abside ad ovest, tipico delle chiese di IV secolo.
E' però l'orientamento a metterci sulla strada del dato più sorprendente. Ad una paziente verifica realizzata nell'arco dell'anno, abbiamo constatato che la basilica di S. Pietro è orientata al solstizio d'estate e quella di S. Maria Maggiore al solstizio d'inverno.
Abbiamo così le prove che le due chiese presidiano le porte solstiziali e delineano un cammino ascendente che con il crescere della luce nello svolgersi dei mesi, conduce alla massima manifestazione di essa sul piano materiale, che si realizza nel solstizio d'estate e a Cristo sul piano spirituale.
Le due chiese e il colle, quindi, marcano anche a livello materiale una iniziazione cristiana che partendo dal fonte battesimale ottagonale all'interno di S. Maria Maggiore portava il fedele alla "Gerusalemme Celeste" attraverso il portale di S. Pietro.
Il capitello nella prima colonna del portale, interpretato come emersione dalle acque lustrali del battesimo, sta ad indicarci proprio la conclusione di questo percorso.
Nell'altomedioevo le due basiliche segnavano il punto iniziale e il punto finale di un itinerario sacro da percorrere con una processione che verosimilmente sostituiva l'omologa cerimonia pagana.
Appare così nel suo pieno significato l'arco nel sagrato interpretato come una porta.
L'arco, cioè, non aveva una funzione pratica, ma simbolica: era la porta del Sole, che al solstizio d'estate, nel pieno del fulgore dell'astro, produceva un corridoio di luce che centrava la facciata della chiesa e conduceva al vero sole: Cristo.
Tutto il percorso cristiano finiva per essere marcato da tre porte simboliche: S. Maria Maggiore, la Janua Coeli che faceva passare da una condizione profana ad una spirituale, immettendo nel sacro; l'arco nel sagrato, la porta del Sole che si apriva all'alba e si chiudeva al tramonto; la terza porta era la porta del cielo costituita dal portale della basilica di S. Pietro: la processione giungeva a conclusione, l'iniziazione cristiana poteva dirsi conclusa.
E il culto pagano che era stato sostituito? Con tutti gli elementi forniti la risposta non presenta ostacoli.
Basta prendere un libro di storia e rendersi conto che sul Colle di S. Pietro a Tuscania, dove si sono sedimentati trenta secoli di storia con i loro segreti, veniva praticato un culto solare.
A Roma il culto del Sole era stato portato dall'imperatore Elio-gabalo ed era stato istituzionalizzato in tutto l'impero da Aureliano. Costantino prima della conversione al Cristianesimo era stato un adoratore del Sole e la ricerca di un collegamento a livello figurativo e ideologico tra la sua persona e quella del dio impronta la sua politica lasciando cospicue testimonianze.
In molte monete l'imperatore appare accanto all'immagine del Sole, mentre le statue lo rappresentano con i raggi in capo secondo lo schema iconografico tipico del nume. L'arco di trionfo fatto erigere nel 315 in occasione della vittoria di Ponte Milvio presenta una chiara simbologia solare, ma soprattutto il trifornice era in asse con la base del Colosso, il gigantesco idolo di Sol-Helios nelle vicinanze del Colosseo, per mostrare l'indissolubilità tra ispirazione divina e azione imperiale.
Tuscania, dove l'arco nel sagrato è in asse con il corpo centrale della facciata dell'antica cattedrale, presenta un'eco di tutto questo, solo che l'accento è spostato dal Sole a Cristo. L'astro materiale, cioè, che sovrintende e assicura la vita del cosmo, è una creatura del Vero Sole, Cristo. E' la sua luce a diffondersi su tutta la terra e a illuminare ogni uomo.
I simboli solari largamente presenti nelle basiliche tuscaniesi parlano di questo. E parlano di una luce che ancora non si è spenta e continua a illuminare la Tuscia e tutti coloro che cercano la verità.
Mario Tizi
socio Archeotuscia
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