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Il 6 febbraio 1971 alle 19,10 di sera un violento terremoto distrusse il centro storico di Tuscania, seminando lutti, furono 33 i morti, e disperazione, e costringendo gli abitanti a trasferirsi per alcuni anni all’interno della cosiddetta “baraccopoli”, un vero e proprio paese di case in legno sorto lungo la provinciale per Piansano.A trentasette anni dal tragico evento la cittadina può dirsi quasi interamente ricostruita anche se, forse a testimonianza della forza della natura, rimangono ancora alcuni grandi edifici da ultimare e altri che non hanno ancora riassunto la loro antica funzione.L’esempio più eclatante è il complesso di S. Agostino, un antico convento utilizzato nel secolo scorso come Seminario, situato all’interno delle mura cittadine proprio nel bel mezzo del paese.I tuscanesi hanno avuto l’opportunità di visitarlo, come fosse appunto un monumento al terremoto, nel dicembre scorso grazie ad una mostra fotografica allestita dal centro studi V. Campanari all’interno della chiesa, dove, tra l’altro, è ospitata la magnifica cappella Ludovisi.Trattandosi di un ex convento l’edifico presenta un piccolo chiostro, numerose sale e, al piano superiore, le celle dei monaci.Un ampio giardino si affaccia infine su viale Trieste, il vero centro nevralgico del paese.La struttura, per metà proprietà della Curia vescovile, attende di essere completata essendo stata ricostruita solo per quanto riguarda i muri interni.Varie le ipotesi sul suo possibile utilizzo. Le più accreditate: sede di una facoltà universitaria o di uffici comunali.Un altro cantiere ancora aperto è quello del palazzo Vescovile nel quartiere San Pellegrino.Situato in una posizione davvero magnifica all’interno del centro storico il prestigioso palazzo avrebbe dovuto ospitare il controverso centro Alzhaimer.Ancora da ricostruire, o demolire del tutto, anche una piccola struttura nei pressi dell’ex convento di S. Francesco mentre rimane da realizzare il progettato parcheggio nei pressi di un altro convento, quello delle Clarisse.Infine, due strutture, importantissime in chiave turistica, completate ma non ancora riaperte al pubblico. Si tratta del palazzo vescovile e dell’area archeologica situati sull’acropoli di San Pietro.Al momento del sisma il palazzo ospitava il museo civico. Oggi potrebbe divenire un suggestivo centro congressi, utilizzabile, magari al posto della basilica, anche per concerti di musica da camera.Scoperta in gran parte proprio a seguito del terremoto, (vedi articolo a pagina 3) l’area archeologica è costituita dal vecchio abitato romano, con edifici, strade percorribili, cisterne e altro, da una sepoltura longobarda e dai resti delle mura medioevali con tanto di torri.Uno straordinario itinerario turistico chiuso al pubblico - quindi non fruibile né culturalmente né economicamente - perché, come per la necropoli della Peschiera e la tomba a dado, (o anche la necropoli di Pian di Mola?) non sembrano risolvibili i problemi con i proprietari delle aree su cui sorgono. Vorremmo sapere se qualcuno se ne sta interessando.Giancarlo Guerra