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La chiesa di San Pantaleo o San Pantaleone sorgeva sulla riva destra del fosso di Pantacciano presso il colle detto Poggio Volone, in prossimità dell’attuale strada provinciale Vetrallese, all’altezza dell’omonima strada vicinale.
È documentata fin dal 1097 da una pergamena, oggi perduta, già esistente nella Collegiata di Santa Maria Maggiore e citata dal Turriozzi e dal Barbacci. In quell’anno Hegro di Cardillo e sua moglie Caramanna donarono al priore e monaci dell’eremo e chiesa di San Pantaleo un appezzamento di terreno attiguo alla loro chiesa, a suffragio delle loro anime. Sembra però che i due donatori vennero sepolti altrove.
Non sappiamo quando venne abbandonata, né come entrò in possesso, con la tenuta attigua, al Capitolo della Collegiata di Santa Maria Maggiore. Sappiamo solo - e ce lo ricorda il Barbacci - che lungamente l’Arciospedale di Santo Spirito in Sassia avanzò delle pretese sulla chiesa (e sulla tenuta, naturalmente!) finché, nel 1542, non ne venne sancito il pieno possesso a favore della chiesa di Santa Maria Maggiore.
Sempre secondo il Barbacci, la chiesa originaria cadde in rovina con l’eremo e sul medesimo sito venne ricostruita la nuova ad opera del Capitolo della Collegiata.
La chiesa era ancora officiata nel Settecento, nel solo giorno della festa di San Pantaleone (27 luglio), quando vi erano celebrate sei messe delle quali una cantata.
Trovandosi a tre miglia dalla città ed essendo utilizzata un solo giorno, la chiesa era priva di arredi con esclusione del quadro, posto sull’unico altare, rappresentante la Santissima Assunta tra San Pantaleone e San Gerolamo, tutto il necessario alle celebrazioni vi veniva portato dalla chiesa di Santa Maria Maggiore i cui canonici avevano l’obbligo delle celebrazioni. La chiesa era anche priva di campanile e campane.
La chiesa di San Pantaleone Martire, come lamenta il priore della collegiata di Santa Maria Maggiore nel 1802, è […] “distante dalla Città circa le tre miglia presso una Selva, ed alla confluenza di fosso, situato in una Valle per cui vi si respira un aria grave, e malsana, massime ne’ tempi estivi, motivo di non rare malattie degli Oratori. Fin dalla prima edificazione dell’indicata Chiesa fù poco decente per celebrarvi il Divin Sacrificio, ora poi per essere stato il ricovero nell’Accesso, e recesso delle Truppe Francese, Napolitane, e degl’Insorgenti da questa Città a Vetralla, ed a Monteromano, e ridotta del tutto indecente per l’effetto di sopra indicato, avendo l’indiciplinatezza, e la militara licenza lacerato interamente il quadro dell’unico Altare ivi esistente, brugiata la Porta della Chiesa, e ciò che è più, avendo acceso il fuoco in mezzo della Chiesa stessa perché piccola, e in conseguenza bassa è stato l’origine, che siasi demolite una gran parte di tetto […]. Quindi si chiese dispensa dall’officiarla, trasferendo le messe in onore di San Pantaleone ed in suffragio di Hegro e Caramanna nella chiesa di San Lorenzo Martire”, cosa alla quale in Vescovo e la Sacra Congrgazione dei Riti acconsentirono, sancendo di fatto, l’abbandono dell’antico edificio.
Della chiesa, negli anni Settanta del secolo scorso, restavano solo le fondazioni ricoperte di sterpi anche se, qualche decennio prima, sembra fossero ancora in piedi alcune strutture murarie.
Probabilmente, come per altri ruderi di edifici della zona, vi furono prelevati materiali per la costruzione della chiesa della Rocca Respampani. Quindi nulla possiamo dire della sua struttura e della sua conformazione.
San Pantaleone
Morto martirizzato a Nicomedia di Bitinia il 27 luglio 305, secondo al leggenda, durante le persecuzioni di Diocleziano, era il medico personale di Galerio.
È considerato, assieme ai SS. Cosma e Damiano, patrono dei medici e, in particolare, delle ostetriche. È invocato contro le infermità di consunzione.
Il culto, antichissimo, è molto diffuso in Oriente, dove è venerato come santo taumaturgico.
La leggendaria biografia del santo è cosparsa di inutili tentativi consumati, dai persecutori, contro di lui, nonché episodi miracolosi di cui è fautore o testimone.
Tra i tanti giova ricordare che il suo battezzo seguì alla resurrezione di un bimbo, morto per il morso da una vipera, avvenuta alla sola invocazione del nome di Cristo.
Mancando una consolidata tradizione iconografica, il santo viene spesso viene raffigurato con accanto un fanciullo ed una vipera, con vasi di unguenti in mano o dappresso, nell’atto di curare un infermo ed, infine, con la palma del martirio.
Stefano Brachetti