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IL CONTE ENRICO POCCI
"Ama Dio, ama il tuo prossimo": l’adesione convinta all’insegnamento evangelico è stata alla base di tutta la vita del Conte Pocci e si è tradotta, anzitutto, nell’accettazione della volontà divina, anche nelle prove più difficili, quali possono essere state la morte dei figli. Quando nel 1913 morì la piccola Isabella, il Conte scrisse, nelle memorie di famiglia: Sia fatta la volontà di Dio! E quando morì il primogenito, Cesare, a 16 anni, il padre commentò: Il Signore ha voluto toglierlo dai pericoli del mondo. Inchiniamoci e adoriamo.
E nel dolore che si prova la fede: quella del Conte Pocci ne uscì rafforzata e gli fece accogliere come una grazia speciale il sacerdozio del suo don Filippo.
Tale fede non avrebbe potuto mutare se non fosse stata sostanziata dalla preghiera e il Conte fu assiduo in questo incontro con Dio, tanto da farne un rifugio in qualsiasi momento delle giornata; non si limitava, però, ai momenti di raccoglimento e di orazione personale, ma si preoccupava di fare opera di apostolato in ogni ambiente, prima di tutto in famiglia, poi tra i giovani, i lavoratori, i militari di cui si occupò giovanissimo e per i quali in occasione della campagna d’Africa compose la Preghiera dei soldati alla Vergine SS.
Intese l’amore per il prossimo come apostolato, ma anche come servizio generoso e disinteressato: in questo senso svolse la sua attività di avvocato e il suo impegno di amministratore pubblico, prima come Consigliere provinciale, in un periodo particolarmente difficile della nostra storia. Di lui scriveva Manlio Pompei su "L’Idea Nazionale" del 13 ottobre del 1920: …Questo Conte cattolico e devoto si afferma con le buone opere; mostra di intendere la funzione sociale della ricchezza, raccoglie i figli del popolo in sane istituzioni e li educa; lavora per gli umili e li sovviene e li conforta; incanala per giusta via l’esuberanza dei combattenti suoi cittadini, soddisfacendo così con suo personale sacrificio, dando del suo e persuadendo a dare chi può e deve dare, le sacrosante aspirazioni al lavoro e al benessere di chi salvò il paese.
Dal 1927 al 1932 fu Podestà di Tuscania. La popolazione accolse con entusiasmo la sua nomina ed egli si prodigò come sempre per il bene della sua gente compiendo numerose benefiche realizzazioni. Purtroppo in seguito ad alcune incomprensioni nel 1932 presentò le dimissioni in un manifesto in cui, tra l’altro diceva: Assicuro quei pochi che mi hanno combattuto ad amareggiato, anche se lo fecero per ignoranza o per cattiveria, che non serbo loro alcun rancore; io ignoro l’odio e la vendetta! Anche in quella occasione si riconfermava la sua profonda coerenza di cristiano; nel mettersi da parte continuando però a fare del bene fino alla fine.
Ma è giusto parlare di fine? Egli con la sua fede si direbbe che ha continuato ad essere tra noi, col suo esempio, con la sua attività di apostolato che, attraverso le generazioni è arrivato fino a noi proponendoci un modello di vita che non appartiene al passato, ma che deve seguitare ad essere punto di riferimento nel nostro tempo così distratto da falsi miti, confuso, disorientato e quindi tanto bisognoso di veri autentici esempi di un cristianesimo concretamente vissuto.
La famiglia fu originaria di Roma. Egli nacque a Viterbo il 25 agosto 1875 da Piergiovanni Pocci e Martia Brawndlyngt. Si laureò in legge presso l’Università di Roma nel 1896. Fu ufficiale di complemento di artiglieria, promosso maggiore il 16 settembre 1917.
Divenne cameriere segreto di cappa e spada di Sua Santità dal 4 febbraio 1902, sotto il pontificato di Leone XIII. Verrà riconfermato da tutti i successori. Venne nominato commendatore della corona d’Italia il 29 luglio 1922. Grand’Ufficlale il 22 dicembre 1932. Commendatore di san Gregorio Magno il 2 ottobre 1920. Cavaliere di Gr Croce dell’Ordine di san Silvestro il 12 febbraio 1942. Commendatore della Polonia restituita l’8 novembre 1923.
Fu eletto Consigliere Provinciale per il mandamento di Tuscania nell’ottobre del 1920 ( I cittadini di Arlena e Tessennano lo vollero nominare cittadino onorario)
Risolse in Tuscania e in Arlena le questioni delle terre ai combattenti, inducendo gli altri proprietari e dando egli per primo l’esempio a fare concessioni di favore.
Ha fatto parte del Consiglio Provinciale di Viterbo fino allo scioglimento; dal 1922 fece parte anche della Giunta Provinciale Amministrativa.
Fu Podestà di Tuscania dal 1927 al 1932: al Comune di Tuscania sono note le realizzazioni di questo periodo nel campo dei lavori pubblici e nel campo amministrativo. A quel periodo risale la fondazione del Pio ricovero di san Giuseppe (ospizio dei vecchi) e il dono che come prova del suo affetto per la città volle fare della statua marmorea della Madonna nel giardino antistante l’edificio scolastico di cui aveva provveduto al compimento.
Nel campo della beneficenza è da ricordare anzitutto l’Oratorio san Luigi, da lui fondato nel 1902 e sempre mantenuto a sue spese, in locali suoi.
Dal 1940 fino al 1952 fu presidente dell’Istituto dei ciechi di Sant’Alessio in Roma, fu consigliere e poi Commissario Straordinario dell’Istituzione Umberto e Margherita per gli orfani di operai caduti per infortuni sul lavoro.
In Tuscania avendo poi formato nel periodo in cui resse il Comune l’ospizio delle vecchie lo aiutò sempre largamente di persona e moltissime persone furono da lui beneficiate.
Nel 1922 fu nominato membro del Comitato per il Congresso Eucaristico Internazionale di Roma e presidente della sottocommissione per gli alloggi.
Morì a Roma il 13 aprile 1952 e fu sepolto nella cappella di famiglia nel cimitero di Tuscania.