La torre del Bargello - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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La torre del Bargello

Luoghi di Tuscania

LA TORRE DEL BARGELLO (di Remo Amici)

Torri rotonde, quadrate, esagonali, ottagonali; torri mezzo dirute lungo le mura merlate medioevali. Torri che hanno avuto una storia. Torri di un tempo lontano che, pezzo per pezzo, si sgretolano, cadono, perché nessuno a Tuscania ci tiene a tenere in piedi delle vestigia che potrebbero dire qualcosa al turista e allo studioso.

Se una casa, un chiostro, una chiesa, una torre non riescono più a stare in piedi, crollino pure! Per il tuscanese tutto quello che sa di storia, di arte, di antico è tutta roba inutile e mai spenderebbe un soldo per riattare, rafforzare mura, torri, chiese, chiostri, che in altri luoghi verrebbero considerati tesori inestimabili.

Come possono quelli di Tuscania salvaguardare lo storico patrimonio tramandato dagli avi se non hanno fatto nulla per una torre che era stata parte attiva della cittadinanza per centinaia di anni ed era per tutti tanto familiare da essere considerata indispensabile?
La campana del Bargello suonava per avvertire i ragazzi che era l'ora di andare a scuola. D'inverno, con le mani nelle tasche della giacca a contatto con le castagne lesse, ancora calde, i ragazzi ubbidivano e per vie traverse si affrettavano a raggiungere le loro classi. Sergio Testa, Biagiotti ed altri maestri di allora segnano una tappa nella vita di quelli del mio tempo. Sarebbe bastato il suono di quella campana per ricordarli e ricordare a noi la felice epoca della fanciullezza.

Per molte generazioni l'orologio, incastonato a metà della torre, che di notte si illuminava e sembrava una luna piena, ha segnato il tempo battendo col suo caratteristico suono i quarti, le mezzore e le ore. Era un suono che scendeva dall'alto, allegro, civettuolo e si spandeva nei campi, negli orti, nelle vigne e veniva accolto come una voce amica.
La torre quadrata si ergeva snella, al disopra del palazzo municipale. La voce della campana arrivava dovunque, in Piazza, in Poggio a San Pellegrino ed io qui a Milano ancora lo odo.

Spesso in alto, sul castelletto di ferro, veniva issato il tricolore.
Quelli del mio tempo hanno amato la torre civica. La guadavano ed essa era lì come un baluardo che dava sicurezza, un monumento vivo per i colombi che l'abitavano, per lo scandire del tempo, per lo sventolio del tricolore. Le notizie che Gorizia, Trento e Trieste erano ormai italiane i tuscanesi le hanno apprese dallo sventolio del tricolore al sommo di quella torre e dal suono a distesa del campanone.

Quella torre è caduta senza fare una vittima. Anche per questo avrebbe il diritto di risorgere. Se si pensa che alla sua base c'era la sede del teatro comunale, trasformato in sala cinematografica e da ballo, si può dire che quella caduta ha del miracoloso. Perfino i colombi, avvertiti dallo scricchiolio, poterono mettersi in salvo.

Oggi nei campi, nelle vigne, nelle strade si tende l'orecchio alla ricerca di quella voce che purtroppo non si può più udire. E quando lo sguardo si posa sulla città, al disopra dei tetti gialli di licheni, si cerca la torre amica, ma essa con la sua voce è sparita, è crollata, sepolta nel tempo. Di lei non rimane che il nostalgico ricordo.

E tutti i tuscanesi che l'hanno vista, che hanno udito la sua voce, la voce delle sue campane, che l'hanno amata, nulla hanno fatto, perché la torre risorgesse più forte più sicura; perché continuasse ad essere amica per gli occhi e per l'udito dei loro figli.
Quelli che attualmente reggono le sorti del Comune sanno benissimo che quanto ho scritto risponde a verità e non credo che sia tanto difficile alzare una torre, la loro la nostra torre.

 
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