La Ciaffa - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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La Ciaffa

Personaggi tuscanesi

LA CIAFFA
(da un racconto di Franco Rosati)

La guerra era ormai finita. I superstiti tornavano a casa, alcune donne si vestirono di nero, un medaglione appeso al collo con la foto del marito che non sarebbe più tornato. Qualche residuo bellico, per fortuna sempre più raro, purtroppo però a volte falciava giovani e quando andava bene strappava loro gambe e braccia e peggio ancora la vista. L’anno dopo la fine della guerra iniziai le scuole medie, chissà perché, da semplice studentello, mi sentivo importante, forse perché fra i tanti ragazzi eravamo in pochi a fare le superiori, in maggioranza infatti erano ragazze. Al tempo mi servivo da un barbiere, dove c’era un ragazzo, poco più grande di me, che generalmente mi tagliava i capelli.

Un giorno entrai nel negozio e non lo vidi, chiesi spiegazioni al principale e alla sua risposta rimasi incredulo, mi sentii male, non potevo accettare che anche lui era morto per una mina. C’era tra noi una simpatica amicizia e provavo disperazione per non averlo saputo in tempo, almeno per andarlo a salutare per l’ultima volta. Cambiai barbiere e vivendo la prima adolescenza, dimenticai. A scuola feci nuove amicizie; ero felice quando arrivava l’ora del disegno, anch’io ora possedevo l’album per disegnare.
Ricordo, quando in quinta elementare, il dispiacere, se non l’invidia, quando gli altri ragazzi, figli di piccoli benestanti, portavano album straordinariamente enormi, ma sui quali non sapevano disegnare.

Una volta il maestro disse di fare un disegno a piacere, non avevo nemmeno i colori, cosa potevo fare? Sfogliai il libro, vidi un ermellino graziosamente sdraiato sopra un ramo d’albero, allora senza perdermi d’animo lo ritrassi con la penna sopra un foglio di quaderno a righe, poi gli disegnai intorno una cornicetta, infine, da un vicino di banco mi feci prestare le forbicine, lo ritagliai e lo consegnai al maestro. L’insegnante ne fu entusiasta ed oltre a darmi un bel voto, mi chiese se poteva portarselo a casa, quale suo ricordo. Fu per me la rivincita dello sfollato dalle poche possibilità sul benessere dei ragazzi del luogo.

Quel maestro lo ritrovai in terza media. Era un professore di lettere, aveva fatto il maestro per necessità, capii così il perché mi chiese quel disegnino. Superai facilmente le medie. Quello fu un periodo molto strano in paese, c’erano fra anziani e giovani, che oggi si chiamerebbero invalidi civili, delle persone che facilmente venivano quasi sconosciute e abbandonate dagli stessi familiari perché si vergognavano delle loro possibilità. Fra quei poveretti ce n’era uno chiamato la Ciaffa.

Non capisco il perché lo deridessero. Non era quello che oggi chiamano subnormale, era invece una persona per me normale, certo non aveva nessuna cultura e professione, purtroppo per lui, aveva un viso un po’ buffo e viveva arrangiandosi con lavoretti di ogni tipo e per chiunque.

Comunque quello fu un periodo strano, perché molti avevano apparizioni di santi, di Madonne e qualcuno anche del Diavolo. In questo contesto, presso un vicino paese (Marta) dentro una grotta, un uomo ebbe, almeno secondo lui, l’apparizione della Santa Vergine. Immediatamente quel luogo divenne meta di pellegrinaggi per una moltitudine di persone. Anche nel paese dove abitavo c’era una bella ragazza che poco creduta, diceva di vedere la Madonna. Molti viaggi venivano organizzati per andare a visitare la grotta dell’apparizione, ovviamente i viaggi si facevano in camion, proprio per mancanza di pullman. Anche mia madre volle fare il suo pellegrinaggio e poiché mio padre lavorava toccò a me accompagnarla.

Per la numerosa folla, fummo costretti ad una lunghissima ed estenuante attesa per di più sotto un sole per niente primaverile. Raggiungemmo finalmente la sbarra che permetteva solo a piccoli gruppi di fedeli di entrare in quella grotta. Una volta all’interno tutti ci inginocchiammo, chiusero la porta d’ingresso e rimanemmo al buio, quindi iniziarono a pregare. Con noi c’era anche quella ragazza che diceva di vedere la Madonna. Dopo alcuni minuti un grido interruppe la preghiera: quella ragazza, inginocchiata proprio dietro mia madre, urlò che la Madonna era lì di fronte a lei. Ci fu un momento di grave tensione, mia madre, pensando che la Vergine le fosse sopra, per paura mi abbracciò così forte quasi da soffocarmi. Qualcuno prontamente aprì la porta e tornata la luce, tutti potemmo vedere quella ragazza sdraiata a terra svenuta.

Fu portata fuori dove ben presto riprese, più tardi ripartimmo; certo l’impressione fu grande e in particolare per me, appena quattordicenne. Era già buio, quando il giorno dopo passando accanto ad una automobile, in un punto ben nascosto, notai, con mia grande sorpresa quella ragazza che si sbaciucchiava con un giovanotto. Pensai che san Tommaso forse aveva ragione e da quel giorno la mia fiducia negli altri, avanzando con l’età, è venuta sempre meno.

Arrivò così l’autunno e la custode dell’oratorio dove abitavo, chiese a me e a mia sorella se la accompagnavamo al cimitero per aiutarla a mettere in ordine la tomba del povero marito.
Questo per l’approssimarsi della ricorrenza dei defunti, il 2 novembre.
La signora e mia sorella ripulirono la tomba dalle erbacce che nel frattempo erano cresciute all’intorno, lavarono il vaso di vetro, dove metteva i fiori, invece a me spettò di riverniciare la catenella che contornava la tomba, i paletti che ai quattro lati la sostenevano e poi il portavasi in metallo. A quel punto la signora mi chiese, conoscendo le mie qualità nel disegno, se le verniciavo di nero anche le scritte ad incavo della lapide. Avevo da poco incominciato, cercando di non fare sbaffature quando da una tomba vicina sentii qualcuno parlarmi. Mi girai e vidi quel piccolo uomo, detto la Ciaffa, che sorridendomi in modo cordiale mi diceva: "A giovinò che fai? Me voi levà el lavoro?" Lo guardai un po’ sorpreso, non sapevo cosa dirgli ma il suo atteggiamento cordiale e una risatella scherzosa, mi dettero il coraggio di rassicurarlo.

Gli spiegai che ero lì solo per dare una mano e niente più alla signora, e che non mi sarei mai permesso di togliergli il lavoro.
La Ciaffa mi fece un altro sorriso e continuò a sistemare un’altra tomba. Poco dopo con la signora e mia sorella lasciammo il cimitero, ma ancora la Ciaffa mi fece ciao con la mano. Questo fu l’unico momento di contatto che ebbi con la Ciaffa. Chissà quale era il suo vero nome? Lo vedevo per il paese abbastanza spesso, ma non ci fu più occasione di parlargli.

Passò così un altro anno, nel frattempo io avevo preso a lavorare presso un laboratorio di analisi cliniche che mi occupava molte ore; nel tempo libero andavo a lezioni private di francese, e come tutti i ragazzi, a giocare a pallone. Un pomeriggio però vidi moltissima gente affacciata alla balconata della piazza comunale; incuriosito mi avvicinai e la parola che correva di bocca in bocca era: la Ciaffa, la Ciaffa.

Impressionato volli vederci chiaro, con la bici raggiunsi il punto dove tutti guardavano, guardai anch’io e vidi un corpo sotto ad una coperta.

C’erano i carabinieri che non facevano avvicinare nessuno, lasciai la bici da un lato della strada e raggiunsi un milite che già conoscevo, chiedendogli che cosa fosse accaduto. Fu lapidaria la sua risposta: s’è ammazzato la Ciaffa. Ci rimasi male, ma purtroppo confermava la prima impressione avuta tra la gente. Stavano solo aspettando il medico per il verbale del decesso, se avvenuto per suicidio o se, in altro caso dar modo ai carabinieri per aprire un’inchiesta per avvenuto omicidio.

Poveretto, cosa era stato a spingerlo a tale gesto? Forse la solitudine, l’impossibilità di sostenersi, non avendo un lavoro fisso, oppure una malattia. Chi può mai capire un simile gesto? Più tardi lo portarono via, se ne andava un’altra persona innocua e chissà quante persone malvagie vivono magari nei lussi più sfrenati. Pensando a questo risalii sulla mia inseparabile bici e tornai alle mie occupazioni.
Come è strana la nostra vita, donata da qualcuno lassù. Che è sempre definito misericordioso.

Il giorno dopo nessuno più parlava di lui, ma dopo all’incirca cinquanta anni ho voluto ricordare quel piccolo uomo un po’ curioso chiamato la Ciaffa.

 
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