Vincenzo Campanari - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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Vincenzo Campanari

Personaggi tuscanesi

VINCENZO CAMPANARI

Vincenzo Campanari nacque a Tuscania il 27 luglio 1772 da una famiglia benestante, che si dedicava all’agricoltura, come quasi tutte le famiglie locali di quel tempo. I Campanari non erano tuscanesi; provenivano dalle Marche dietro l’impulso di quel fenomeno che va sotto il nome di transumanza. Dopo un certo numero di anni diversi transumanti marchigiani finivano per stabilirsi in Maremma pur mantenendo contatti, soprattutto nel periodo estivo, con la terra d’origine; è il caso della famiglia di Carlo Campanari (bisnonno del nostro archeologo e poeta) che viveva nella ridente cittadina marchigiana di Fiastra, intorno alla seconda metà del Seicento.

E’ probabile che egli facesse la spola tra Fiastra e Tuscania. Grazie alle ricerche di don Antonio Paranzoni, parroco di San Paolo in Fiastra, si può stabilire che il secondo dei suoi sette figli, Vincenzo (nato il 22 gennaio 1693) ebbe contatti con Tuscania, forse insieme al fratello Nicola ed alle cinque sorelle. Anzi ad un certo punto Vincenzo si trasferì definitivamente a Tuscania dove nel gennaio del 1729 sposò Domenica Conti, una ragazza di Canino; dieci anni dopo nacque Carlo, quarto di cinque figli. Della sua giovinezza non sappiamo nulla; il suo nome compare solo nei Registri dei matrimoni allorché nel 1763 sposò Maddalena Dolci da Vetralla.

Tra gli elenchi degli amministratori comunali Carlo non c’è mai (forse perché morirà alla giovane età di 35 anni) mentre suo padre Vincenzo si interessava alla cosa pubblica; almeno due volte (1762 – 1766) compare tra i consiglieri popolari ( i consiglieri comunali erano divisi in due categorie: cittadini, (nobili locali) e popolari, che non potevano vantare una stirpe locale, per cui non erano iscritti al Patriziato tuscanese). Dal matrimonio di Carlo e Maddalena nacque Vincenzo, il futuro archeologo e poeta. Dei sei figli (tre maschi e tre femmine) Vincenzo fu l’unico maschio a sopravvivere, ma non poté trascorre un’infanzia circondata dall’affetto dei familiari, perché alla sua nascita il nonno Vincenzo era già morto da due anni, mentre il padre Carlo morì (22 luglio 1774) quando il piccolo compiva due anni appena; anche la madre Maddalena scomparve qualche anno dopo.

Attese alle cure di Vincenzo una zia materna. Avviato agli studi presso il seminario di Viterbo il ragazzo rivelò subito un vivacissimo ingegno. Oltre agli studi letterari approfondì la matematica, la filosofia e la teologia. Uscito dal seminario tornò a vivere a Tuscania in casa della zia dove continuò interamente a studiare Dante e ad approfondire la storia dell’arte, soprattutto l’archeologia. A 26 anni sposò Matilde, figlia di Gianfrancesco Persiani, un ricco fattore che curava gli affari dei nobili locali, Consalvi e Pocci. E fu proprio il suocero ad introdurlo nella città pubblica tuscanese e nell’amicizia con il Cardinal Consalvi. Il matrimonio di Vincenzo campanari e Matilde Persiani portò alla luce sei maschi, solo tre dei quali sopravvissero: Carlo, Secondiano e Domenico.
Fin dai primi anni dell’800 Vincenzo appare tra i consiglieri comunali, sia sotto il governo pontificio, sia sotto la parentesi dell’Impero francese di Napoleone. Tra le pause dell’attività pubblica egli continuava a coltivare indefessamente i suoi studi, scrivendo numerose poesie e due poemetti: La Redenzione e Il sacro Libro di Rut.

Il 18 febbraio 1812 un’altra disgrazia lo colpì negli affetti più cari: morì la moglie Matilde, appena trentaquattrenne.

Oltre agli studi letterari e di archeologia Vincenzo si dedicò personalmente all’educazione dei suoi tre figli. Ricordiamo la buona riuscita di Secondiano, che studiò per sei anni nel seminario di Tuscania, dove insegnava anche suo padre Vincenzo; mandato poi a continuare gli studi all’Università di Roma, Secondiano si laureò e esercitò la professione di avvocato, ma non cessò mai di dedicarsi, sotto la guida paterna, allo studio dell’archeologia e della storia.

Non restò difficile a Vincenzo, anche per l’amicizia con il cardinal Consalvi, inserirsi nell’ambiente culturale romano. Divenne socio di numerose Accademie, alle cui attività partecipava assiduamente presentando relazioni seguite ed apprezzate dagli altri soci. Tanto per ricordarne alcune: fu membro dell’Accademia romana di archeologia, dell’Istituto romano di corrispondenza archeologica, della Società Colombari di Firenze, dell’Accademia Calamense di Napoli e di tante altre. Nell’ambiente romano conobbe certamente il pittore francese Francois Marius Granet che venne in visita a Tuscania. Con il trascorrere degli anni la vera vocazione del Campanari si andava delineando sempre più chiaramente: lo studio intenso dell’archeologia divenne quasi l’unico valore della sua esistenza.

Nel 1825 perlustrava una zona presso il fiume Fiora, poco più a valle del ponte dell’Abbadia: "…a me pareva di sentirmi muovere sotto de’ piedi i nascosti monumenti e le ossa e le urne dei sepolti; quasi che questi si accorgessero del mio talento di turbare il loro riposo. Amena era quella campagna, alte e maestose le ripe del fiume. Deserto e tacito il luogo; io solo, io, di niuna cura accompagnato fuori che quella di scoprire antiche cose, non ho passate più liete ore di quel giorno e degli altri quando vi tornai a meditare." Quel presentimento doveva divenire presto una realtà, perché sotto quel terreno, che stava calpestando, di lì a poco avrebbe scoperto l’antica Vulci.

Il 25 settembre dello stesso anno chiese al Governo Pontificio l’autorizzazione ufficiale per scavare in quel posto; intanto aveva trovato a Tuscania un sarcofago che mostrava scolpito sul cassone un viaggio all’aldilà di un magistrato tuscanese scortato da un corteo.

Ne fece subito argomento di una pubblicazione intitolata: DELL’URNA CON BASSO RILIEVO ED EPIGRAFE DI ARUNTE FIGLIO DI LARE, che è forse la prima trattazione organica di un sarcofago etrusco. In questo periodo (aprile – giugno 1828) le consecutive assenze dalle riunioni del Consiglio Comunale fanno ipotizzare una lunga permanenza fuori Tuscania, per accelerare il sospirato permesso a scavare nella zona di Vulci, permesso che ottenne appunto nel 1828, dopo tre anni dalla richiesta. Gli scavi e i ritrovamenti dettero a lui un grande prestigio personale: Nel marzo del 1832 da semplice consigliere comunale quale egli era, fu nominato Governatore interinale di Toscanella (il governatorato si estendeva sui territori di Tuscania, Canino, Arlena, Cellere, Tessennano e Piansano); quindi ottenne la carica di Gonfaloniere (corrispondente al nostro Sindaco), che conservò ininterrottamente per cinque anni fino al 1837. Sfogliando i Registri dei verbali del Consiglio Comunale è frequente il caso di trovare stanziamenti di denaro per il restauro e la conservazione dei monumenti artistici di Tuscania, ma è sorprendente constatare come, durante gli anni in cui il Campanari fu Gonfaloniere, numerosissime somme sono erogate a questo scopo.

Gli scavi di Vulci, iniziati nel 1829, portarono alla luce un’ingente quantità di reperti: era stato un investimento di denaro veramente azzeccato per la famiglia Campanari, che provvedeva ad esportare all’estero la cose migliori; si tenga presente che allora lo Stato Pontificio non mostrava un serio interesse a trattenere i reperti archeologici etruschi; anzi proprio verso i reperti etruschi si verificava un disinteresse per il poco valore che si dava alla materia.

La merce era spedita da Vincenzo al figlio più piccolo, Domenico, che si era trasferito definitivamente a Londra ed aveva aperto una bottega d’arte per promuovere negli studiosi la conoscenza dei reperti etruschi ( e negli acquirenti la vendita!).
Intanto a Roma il papa Gregorio XVI, gli artisti e gli archeologi della corte pontificia venivano maturando l’idea di creare un museo etrusco. Per accumulare i reperti archeologici nel 1834 essi presero accordi con il Campanari e i suoi figli, creando una società: tutto ciò che si scavava doveva essere direttamente venduto al Governo Pontificio.

Se i reperti affluivano a Roma certamente Domenico a Londra non stava a guardare con le mani in mano; alla fine del 1835, forse tutti e quattro i Campanari erano riuniti nella capitale britannica per concertare un piano grandioso: una mostra promozionale da realizzare con rigorosi criteri scientifici d’avanguardia.

Vincenzo, dopo un breve rientro in Tuscania, ritornò di nuovo a Londra per dare gli ultimi ritocchi alla mostra che fu allestita in Pall Mall.

Venuto a conoscenza della partenza del Campanari alla volta di Londra, Papa Gregorio XVI decise in tutta fretta di anrticipare le mosse del Campanari e il 15 novembre 1836 ordinò l’immediata realizzazione del museo etrusco, che fu allestito con sorprendente rapidità in meno di tre mesi. I Campanari inaugurarono a Londra la mostra; il museo etrusco fu aperto pochi giorni dopo.

Venduto tutto il materiale della mostra al British Museum di Londra lascio immaginare quale fonte di guadagno inesauribile si aprì da quel momento per i Campanari, che tornati a Tuscania continuarono a far affluire a Londra materiale sempre più numeroso. Si aprirono anche i mercati della Prussia e della Baviera. L’inglese George Dennis, ospite di Carlo Campanari a Tuscania, annotò nel suo famoso volume Le città e le necropoli d’Etruria, che in Germania affluiva solo materiale etrusco di prima qualità, mentre gli inglesi acquistavano coccetti di qualsiasi tipo.

Nel 1839 Vincenzo, scavando a Tuscania in località Carcarello portò alla luce la tomba della famiglia Vipinana: 27 sarcofagi di pietra con coperchio scolpito, molte iscrizioni e vasellame a non finire. Si ripeté l’esperienza di Pall Mall: Vincenzo e figli trasportarono i sarcofagi nel giardino della loro casa ed intesero ricreare l’ambiente dal quale li avevano prelevati: costruirono la copia della tomba scoperta ponendovi all’interno dieci dei sarcofagi rinvenuti, mentre i restanti furono distribuiti in studiato disordine tra la verzura e i pergolati:

Vincenzo Campanari, tornato dall’Inghilterra lasciò l’ufficio di Gonfaloniere, perché divenne consigliere della Delegazione Apostolica di Viterbo.
Rimasto improvvisamente paralizzato si spense poco dopo il 13 giugno 1840, aveva 68 anni. Fu sepolto nella chiesa di Santa Maria del Riposo, dove anche oggi si può leggere l’epigrafe funeraria in latino dettata dal figlio Secondiano.

 
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