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LA FONTANA DEL DUOMO
Agli inizi del 1619 l'acquedotto era pressoché ultimato e Tuscania, ricca ormai di acque, poteva pensare ad abbellire le sue piazze con splendide fontane.
Il 20 maggio 1619 fu dato l'appalto per la costruzione della fontana del Duomo a Mastro Antonio di Michelangelo da Cortona. La prima cosa che fece Mastro Antonio fu quella di cercare nei dintorni di Tuscania una buona cava di pietra; c'era scritto nel contratto di appalto: "provveda di cava di buona pietra altrimenti lavorando cappellaci non si accetteranno".
Di cave ce n'erano tante; c'era quella della Solfatara, quella della Petrara..., ma dopo accurati sondaggi, prove e controprove Mastro Antonio scelse quella della Petrara.
I vari elementi della fontana erano lavorati sul luogo e poi condotti a Tuscania da Vincenzo Pierini e da Matteo di Paolo.
Non sappiamo chi abbia lavorato e scolpito il piedistallo, le Sirene, i conci, le colonnine; conosciamo però chi lavorò la grande vasca: Pompilio Rosi.
Cavarla e lavorarla in blocco fu certo un lavoro improbo, ma ancora più improbo fu trasportarla a Tuscania. Dalle poche delibere che ci restano in merito dobbiamo dedurre infatti che si trattò di una cosa non certo semplice.
Fu fatto venire da Viterbo un carro mastodontico a quattro ruote di proprietà di Mastro Ascanio della Manichina. Una volta issata con argani e leve sul carro la grossa vasca, questa fu fissata con travi e travette di sostegno per fermare i quali il fabbro Alessandro Mamocci fornì trenta chilogrammi di bulloni.
Quando fu tutto pronto il carro cigolando e crosciando si mosse. Non fu però un viaggio facile: per fare quattro chilometri ci si impiegò tre giorni. Quattro operai armati di zappe e di badili, spianavano la strada perché il carro potesse passarvi senza tante "treggiate". Durante il tragitto l'assale principale del carro si ruppe e -
Una volta portata la grande vasca sulla Piazza del Duomo, i lavori non andarono per le lunghe, perché il 15 giugno 1622, dopo che due scalpellini romani, Mastro Bartolomeo Vitali e Paolo Fasoli, ebbero verificato la bontà dei lavori, alla presenza del Vice Legato e di tutto il popolo ci fu l'inaugurazione. Dallo zampillo centrale e dai sette zampilli disposti in cerchio l'acqua eruppe festosa e ricadde sulla vaschetta e si rovesciò rumoreggiante nella vasca sottostante formando "candide, mobili, soffici, tremule stalattiti dai riflessi argentei ai raggi del sole" mentre le Sirene da una tromba sorretta dalle braccia ( che oggi non hanno più, poverine!) gettavano in alto quattro zampilli che cadevano nella vaschetta superiore.
CHI FU L'AUTORE DELLA FONTANA?
Il Bramante (immagine a sx), no, senz'altro, come comunemente si crede. Era già morto da un secolo quando a Tuscania si cominciò a ventilare l'idea dell'acquedotto.
Escluso il Bramante, al quale come ho detto anche oggi si attribuisce cervelloticamente il disegno della fontana, chi ne fu l'ideatore, il progettista?
E' strano come nei registri contabili dell'epoca, così esatti, precisi e circostanziati, dove non si trascurava di fare menzione perfino di colore che prestavano i più umili servizi, riscuotendo compensi irrisori (Basti un esempio: A Vincenzo Vasconi per numero sei grappe di ferro per fermare le canne di piombo della fonte di San Giacomo, baiocchi 42) non ci sia, o almeno non venga ufficialmente precisato, il nome di chi aveva progettato la fontana, al quale sarà stato dato per forza un compenso.
Per le caratteristiche stesse di quei registri, essendo inammissibile una tale omissione, dobbiamo arguire che l'ideatore della fontana fu lo stesso Mastro Antonio di Michelangelo, scalpellino, perché spesso a quel tempo l'esecutore materiale di un'opera ne era anche e spesso l'ideatore e il progettista.