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gennaio 2009
da latuavoce.it del 16/01/2009
Al termine di una vicenda giudiziaria faticosa che ha influito per oltre due anni, dolorosamente, nella mia vita, quella della mia famiglia, e quella dei miei amici più cari, mi sembra opportuno fare alcune considerazioni, se non altro perché la storia di cui sono stato, mio malgrado, protagonista passivo, insieme ad altri galantuomini, non è stata circoscritta dall’ambito personale, ma, viceversa, ha trovato di frequente, qualche volta in modo chiassoso, una dimensione pubblica.
Innanzitutto mi preme sottolineare il privilegio che ho avuto, di trovare sulla mia strada magistrati scrupolosi, preparati e attenti, che hanno verificato, con atti d’indagine precisi e puntuali, i Sostituti Procuratori incaricati dell’inchiesta, e con il minuzioso esame delle carte processuali emerse, il Giudice dell’Udienza preliminare, l’insussistenza delle accuse mosse nei mie confronti, per altro anche di recente con l’opposizione alla richiesta di archiviazione, da parte di personaggi sulla cui consistenza morale e umana preferiscono sorvolare.
Fatta questa doverosa premessa, anche a ulteriore conferma della fiducia e della stima che, come cittadino e come persona più volte impegnata nelle istituzioni, ho sempre riposto nell’operato di un organo dello Stato imparziale e indipendente, ritengo però sia utile ricordare il travaglio, a volte dirompente, patito non solo da me, ma anche da coloro che mi sono stati vicini, a partire dai mie familiari, che ringrazio per la spirito di sopportazione con cui hanno affrontato questa vicenda, a causa delle infamie di cui sono stato oggetto. Si è trattato di una lunga traversata del deserto, che ha avuto conseguenze non solo personali e umane, ma che si è riverberata, giocoforza, seppur in maniera latente, pure sugli aspetti legati al mio essere, con convinzione e spirito di servizio, uomo pubblico.
Anche se la tranquillità che deriva dalla cristiana certezza della giustizia mi ha sempre indotto ad attendere con serenità ogni passaggio, non posso nascondere che ci sono stati momenti in cui l’ottimismo della ragione ha vacillato.
Ma si è trattato di attimi: la granitica convinzione che nessuna ombra aveva attraversato né il mio operato, né quello delle persone che con me hanno contato i grani di questo rosario doloroso, mi ha sempre confortato e dato fiducia, così come mi ha aiutato il sostegno dei mie avvocati, Giorgio Barili e Titta Madia, che ringrazio pure per la paziente rassegnazione con cui mi hanno assecondato.
Nella questione, come sempre, il sottoscritto non ha avuto rapporti con chiunque sia stato portatore di interessi opachi: la mia posizione è stata sempre cristallina e evidente.
Mi limito, dunque, a prendere atto, a questo punto, e dopo non poche sofferenze, che la credibilità di coloro che volevano infangarmi è stata sbriciolata dalle indagini, prima, e dal pronunciamento di un giudice terzo, poi.
Certo è che i patimenti, le amarezze, in dolori, che io, la mia famiglia, le persone care, abbiamo sopportato in questi due lunghissimi anni, non possono essere cancellati con un colpo di spugna. Non cerco rivalse, né sono animato da spirito di vendetta: la fede, che mi ha sempre confortato in ogni momento della mia vita, e ancor più in questa vicenda, mi impedisce di voler il male di chicchessia.
Ma il senso di giustizia a cui qualsiasi cittadino per bene deve far riferimento, mi obbliga a fare in modo che chiunque abbia avuto un ruolo, sia stato protagonista, sia stato comprimario, nella sistematica campagna di diffamazione di cui sono stato oggetto, paghi per le sue azioni.
Tutelarmi è per me un diritto e un dovere, anche per rispetto delle tante persone che mi sono state a fianco in questa brutta storia. E’, giusto, quindi, che ognuno risponda delle proprie azioni. Io, nella mia vita, l’ho sempre fatto: è sacrosanto che lo facciano anche coloro che credevano di poter, impunemente, coprirmi di melma.
Regino Brachetti
16 gennaio 2009