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1. Il quadro storico dell'Italia tra la fine del Trecento e gli inizi del Quattrocento.
Per comprendere pienamente lo spirito del nostro convegno sul condottiero lavellese Angelo Tartaglia, ci sembra opportuno fornire un sintetico quadro del contesto storico in cui egli si trovò a vivere ed operare.
Il primo concetto da tenere ben chiaro è il fatto che l'Italia non era uno stato unitario, come lo è oggi, ma era sede di varie forze autonome: Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli ed altre città, come Genova, Lucca, Pisa, Bologna, Siena e Perugia, non meno influenti. Per poter vivere, l'Italia aveva bisogno della concorrenza di tutte queste forze, non della soppressione di qualcuna. Se una forza cercava di prevalere sulle altre, arrecava un danno a tutto l'organismo Italia e provocava una sicura reazione. Il punto d'incontro dei vari interessi era costituito da Roma, ma, con il trasferimento della sede ad Avignone, i pontefici tradirono l'Italia, anche se in realtà non se ne resero conto, e la lasciarono senza un centro ed una difesa: la loro prolungata assenza, però, portò alla disgregazione del sistema politico italiano (Paolo Brezzi).
Durante la cattività avignonese (1305-1367), molti furono i contrasti tra i vari Stati italiani, senza che nessuno riuscisse a prevalere sugli altri. Il Grande Scisma d'Occidente del 1378, che dette alla Chiesa due papi, uno romano (Urbano VI) ed uno avignonese (Clemente VII) non fece che peggiorare la situazione.
Qui intendiamo invitare il lettore a guardare ai pontefici non come capi di una entità spirituale, ma come sovrani di una Stato, centrale rispetto a quella decina di entità politiche in cui l'Italia era divisa.
Il fatto che coesistessero due pontefici, per l'Italia significava la perdita della polarità di Roma; e ciò induceva i vari centri a guardare ora all'una ora all'altra osservanza, romana e avignonese, in funzione degli interessi che ciascuno aveva da tutelare, ma, contemporaneamente, ad ostacolare quegli Stati che, ligi al papa avignonese, favorivano l'ingerenza della Francia in Italia.
In questo clima contrastato di fine Trecento, va tenuta ben presente anche la figura di Giangaleazzo Visconti, Signore di Milano, che si inserì nelle contese fra i vari Stati per costituire un dominio diretto ed unitario su tutti, secondo un ambizioso disegno già perseguito dai suoi avi.
Egli promosse una Lega contro il prevaricare dei capitani di ventura, alla quale aderirono Firenze e le altre Signorie dell'Italia centrale, papa romano compreso. Giangaleazzo cercò di sfruttare anche i contrasti fra i due Papi: trasse profitto dagli errori di quello romano, Urbano VI, fingendo di aiutarlo, mentre in realtà rimaneva sempre ben disposto verso l'avignonese Clemente VII. Firenze ebbe paura delle mire espansionistiche di Giangaleazzo, mentre il nuovo papa romano Bonifacio IX, comprendendo che la guerra fra i vari Stati era imminente, cercava inutilmente di mettere pace. Il 25 aprile 1390 Giangaleazzo muoveva contro Bologna e Firenze, con grande gioia della Francia che aiutò Giangaleazzo, facendogli riconoscere il Papa avignonese Clemente VII.
Il papa romano Bonifacio IX provò a contrastare i piani di Giangaleazzo mediante la creazione di una Lega italiana appoggiata dall'Inghilterra e dall'Imperatore del Sacro Romano Impero, Venceslao, in senso antifrancese e antiavignonese.
Firenze, per parare i colpi di Giangaleazzo, arrivò perfino a stipulare un'alleanza "difensiva" con la Francia (29 settembre 1396), pur dichiarando di riconoscere il papa romano e non quello avignonese (Benedetto XIII, succeduto nel 1394 a Clemente VII). Successivamente Firenze propose una Lega (19 ottobre 1399) a Bonifacio IX e a Ladislao di Durazzo, Re di Napoli, ma senza risultati concreti, per cui si vide costretta a rivolgersi al duca di Baviera, Roberto, nuovo Re dei Romani (aspirante Imperatore), che scese in Italia contro Giangaleazzo Visconti. Lo scontro avvenne, alla fine del 1401, presso Brescia, ed in sé non ebbe alcuna valenza pratica, ma fu sufficiente a far dire a Giangaleazzo che egli aveva di nuovo combattuto per la libertà italiana contro lo straniero!
A questo punto Giangaleazzo, nel giugno del 1402, marciò contro Firenze. I suoi condottieri (Alberico da Barbiano, Facino Cane e Francesco Gonzaga) il 26 giugno sconfissero, a Casalecchio di Reno, le milizie Fiorentine ed occuparono Bologna. Chiudiamo qui la nostra premessa, dato che tra i condottieri dell'esercito fiorentino (guidato da Bernardone della Sarre) c'erano, tra gli altri, Muzio Attendolo Sforza e Angelo da Lavello, il protagonista del nostro convegno.
Per completezza aggiungiamo, però, che Venezia ed il papa romano Bonifacio IX, pur essendo antiviscontei, non si mossero per prudenza, in attesa che la bufera passasse. E la bufera passò: a meno di 51 anni, Giangaleazzo morì all'improvviso (3 settembre 1402) ed i Fiorentini ringraziarono Dio, la Vergine ed i Santi per l'insperato miracolo.
Ricordiamo che la presente Introduzione non fa parte degli interventi presentati dai quattro relatori (Antonio Di Chicco, Mauro Carretta, Giuseppe Giontella ed Enio Staccini), ma è stata aggiunta durante la fase di stampa degli Atti, per offrire al lettore una cornice entro la quale inquadrare gli interventi dei due sindaci di Lavello (avv. Luigi Lomio) e di Tuscania (rag. Regino Brachetti) nonché le quattro relazioni del Convegno. Per questa Introduzione abbiamo utilizzato vari testi editi e, in particolare, l'esauriente e pregevole monografia di Antonio Di Chicco, Tartaglia di Lavello - Condottiero del Primo Quattrocento, Melfi 1990, alla lettura della quale rimandiamo coloro che desiderino conoscere maggiori dettagli.