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Ladislao, irritato dalle manovre del Papa Giovanni, pretese di avere la custodia dello Stato della Chiesa, ma il Papa non ne volle sapere, allora Ladislao decise di invadere lo Stato della Chiesa, nonostante che Firenze si interponesse per evitare una rottura tra Ladislao ed il Papa Giovanni. Ladislao rimase nelle sue decisioni ed inviò una flotta (44 legni tra fuste e galere), che il 31 maggio 1413 giunse alle foci del Tevere; poi egli, via terra, arrivò alle porte di Roma con il Tartaglia, nominato capitano generale, mentre lo Sforza fu inviato nelle Marche ad assediare Paolo Orsini a Roccacontrada.
Alla mossa repentina di Ladislao, il 5 giugno 1413 Giovanni XXIII dichiarò che la pace di S. Felice non annullava i diritti di Luigi II d’Angiò sul trono di Napoli; e in tal modo cercò riprendere i contatti con quest’ultimo ai danni di Ladislao. Cercò pure di accattivarsi l’animo dei Romani: tolse l’odiata tassa sul vino, restituì al Campidoglio la libertà di nominare i conservatori ed i caporioni. L’entusiasmo generale si diffuse per Roma. Nell'assemblea generale del 6 giugno, in Campidoglio, venne proclamato solennemente: "Noi Romani mangeremo prima la carne dei nostri figli piuttosto che subire la signoria di quel dragone!", con allusione a Ladislao.