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Anche i Perugini respiravano; i capitani loro difensori erano finalmente pronti a resistere all’attacco. Fin dal 2 luglio si trovarono sul posto Ceccolino Michelotti, suo nipote Guido di Biordo Michelotti, Carlo Malatesta, suo nipote Galeazzo Malatesta con 8000 uomini, Carlo de Piis, Angelo della Pergola ed altri capitani.
Braccio, oltre al Tartaglia, contava anche sui fuorusciti perugini, come Cherubino degli Armanni e Malatesta Baglioni, nonché su Niccolò Piccinino, il futuro grande capitano che in questa occasione ebbe il battesimo della gloria.
La battaglia di S. Egidio fu una tra le più grandi e cruente del tempo, e per i condottieri che vi presero parte, e per l’odio di cui erano infiammati. Venne combattuta dalle 9 alle 16 pomeridiane della domenica 12 luglio 1416, nella vasta pianura tra Collestrada e l’attuale aeroporto di S. Egidio, tra il Chiascio ed il Tevere, dove la perspicace previdenza di Braccio ebbe ragione dell’inconsulta temerità di Carlo Malatesta.
La battaglia è narrata dal Campano, biografo di Braccio, con particolari così minuti, precisi nei toponimi e nella strategia, da lasciar chiaramente trasparire di avere utilizzato dei testimoni, sopravvissuti alla battaglia stessa. Chi vuole conoscere meglio lo scontro descritto nei suoi dettagli, può leggere il citato volume del Di Chicco(pp. 53-57).
Secondo lo storico Lorenzo Spirito ed altri, il merito della vittoria è da attribuire principalmente al Tartaglia ed al Piccinino, che avrebbero attaccato rapidamente i nemici mentre, tormentati dall’arsura e dal polverone, ripiegavano verso il Tevere a dissetare loro ed i cavalli. Riferisce il Billia, poi, che l’ordine di attaccare in quella circostanza, l’avrebbe suggerito il Tartaglia a Braccio.
Tutti i capitani perugini, che ho nominato prima, furono fatti prigionieri, tranne Angelo della Pergola che riuscì a fuggire con 400 cavalieri.
La notizia della battaglia di S. Egidio fece in breve il giro di tutta l’Italia. Si parlò di 160 morti, poi di 300, senza calcolarvi i dispersi, i prigionieri, i feriti, i cavalli uccisi. Ogni superstite, che giungeva nelle città vicine, aveva nuovi orrori, nuove curiosità da raccontare e nuove gesta da esaltare. Per fare in modo che il fetore dei cadaveri in decomposizione non infettasse l’aria estiva e causasse epidemie, furono scavate larghe fosse, dove alla rinfusa trovarono sepoltura uomini e cavalli. Sembra che Braccio desse al Tartaglia ben 10.000 fiorini, somma cospicua, di cui Tartaglia, però, nel suo intimo, non fu soddisfatto, perché s’aspettava da Braccio - commentano il Campano ed il Montàuri - un compenso maggiore, in quanto aveva catturato numerosissimi prigionieri e capitani, tra i quali Carlo Malatesta e Ceccolino Michelotti, fatto poi uccidere da Braccio. Il Tartaglia fece buon viso a cattivo gioco, accettò il compenso, ma - conclude il Montàuri - "poi no’ li fu mai amico come prima".