In quei giorni di maggio 1417, stando al campo di Sorano, Tartaglia riuscì anche a risolvere una questione privata, intervenendo a favore di Giacomina, la moglie di suo nipote Cristoforo da Lavello.
Giacomina doveva riscuotere certi soldi da alcuni suoi debitori abitanti a Santa Fiora, ma costoro non pagavano; ed allora lei si rivolse al potente zio. Il Tartaglia non fece altro che passare la raccomandazione ai Priori della Signoria di Siena, che chiesero giustizia al conte di Santa Fiora.
Il processo venne sùbito istruito ed il Giudice di Santa Fiora costrinse i debitori a pagare quanto dovevano a Giacomina, che però non si ritenne soddisfatta. Ma non fu sufficiente: Giacomina non si sentì interamente soddisfatta e, tramite lo zio Tartaglia, pretese che i giudici tornassero a modificare la cosa giudicata. Questa volta, però, i Priori di Siena, dopo aver assunte le dovute informazioni, risposero al condottiero di calmare l'irruenta nipote Giacomina, perché il giudice si era comportato egregiamente, nel pieno ossequio della legge:
“Preghiamo adunque - concludono i Senesi - la vostra magnifica fraternità che vi piaccia ordinare ad essa madonna Iacobina che rimanga contenta, per quello che di ragione le si è dato”, in quanto i Senesi erano sicuri del corretto comportamento sia del conte di Santa Fiora che dei suoi giudici[68].