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Alla fine di febbraio 1417 Braccio rientrò a Perugia dall’impresa contro i Malatesta, lasciando Bernardo da Camerino a presidiare i territori occupati. La pace definitiva con i Malatesta venne siglata verso la fine di marzo dai rappresentanti di Braccio (c’era anche un rappresentante del Tartaglia, che, il 10 aprile 1417, quando Carlo Malatesta rientrò a Rimini, gli regalò un cavallo bianco a nome del Tartaglia).
Rientrato a Perugia Braccio, cominciò ad organizzare l’impresa che l’avrebbe potuto portare alla Signoria di Roma.
Anzitutto era necessaria a Braccio la collaborazione del Tartaglia e bisognava accontentarlo sùbito nelle sue richieste: il lavellese voleva le terre di Maremma che lo Sforza, in carcere a Napoli, aveva lasciato in custodia a Micheletto Attendoli, che militava con Braccio. Fu duro per Braccio accontentare il Tartaglia, ma l’ambizione lo aiutò moltissimo nell'amara decisione: licenziò Micheletto Attendoli ed il Tartaglia ebbe mano libera sulle terre sforzesche, che erano comprese tra le vie consolari Cassia ed Aurelia, nonché in parte dell’Umbria. Micheletto, con poco denaro e pochi soldati, si trovò nell'impossibilità di difendere le terre che teneva per conto di Muzio Attendolo: non gli restò, pertanto, altra scelta che rinchiudersi in Acquapendente, conservando soltanto Porano (non Sorano, che era degli Orsini).
L’avventura romana di Braccio e Tartaglia poteva, ora, avere inizio.
Il 12 maggio 1417 Braccio era a Spoleto, il 20 a Collescipoli, fra Terni e Narni. Braccio faceva i conti senza i cardinali del Concilio di Costanza e s’illudeva, forse, di vedere sul trono di S. Pietro il papa avignonese Benedetto XIII, che se ne stava a Valenza e si ostinava a rifiutare l’ordine di deposizione. Del progetto di Braccio non siamo sicuri al cento per cento; lo conosciamo solo da una lettera che il cardinale Isolani scriverà poi, il 5 dicembre 1417, ai Senesi, dal cotesto della quale sembra che Braccio intendesse impossessarsi di Roma per poi farne merce di scambio con il nuovo pontefice, Benedetto XIII nella sua, uomo facilmente influenzabile secondo i calcoli di Braccio.
Verso i primi di giugno Braccio giunse alle porte di Roma. Invano l’Isolani gli si fece incontro il 9 giugno 1417 a S. Agnese sulla Via Nomentana, nel tentativo di farlo recedere dai suoi propositi, mentre Braccio si proclamava fedele servitore della Chiesa.
Alla fine i Romani, consigliati dal cardinal Stefaneschi, lo accolsero in Roma il 16 giugno: ebbe il titolo di defensor Sancte Romane Ecclesie ac protector rei publice Romanorum. L’8 luglio si portò in Vaticano, per assediare Castel S. Angelo sempre in mano ai napoletani dove s’era rifugiato anche l’Isolani. Finalmente il 24 luglio arrivarono da Tuscania i rinforzi dell’amico Tartaglia: mille cavalieri e duemila fanti, che si accamparono presso la Valca di S. Pietro.